Costanza Rizzacasa d’Orsogna, Panorama 13 giugno 2012, 13 giugno 2012
Dimenticatevi le casalinghe disperate, arrivano le loro figlie, ancora più disperate– Quando Marc Cherry, genio di Desperate housewives, ha annunciato che dopo 8 anni di onorati ascolti la serie televisiva più amata d’America avrebbe salutato i fan causa esaurita vena creativa, il sottinteso era ben chiaro: «Bree e le altre non sono state mai così lontane dal reale»
Dimenticatevi le casalinghe disperate, arrivano le loro figlie, ancora più disperate– Quando Marc Cherry, genio di Desperate housewives, ha annunciato che dopo 8 anni di onorati ascolti la serie televisiva più amata d’America avrebbe salutato i fan causa esaurita vena creativa, il sottinteso era ben chiaro: «Bree e le altre non sono state mai così lontane dal reale». Non che (beninteso) della realtà a Dh importasse tanto, persa com’era, specie ultimamente, in intrighi a metà fra una soap e un «murder mystery». Ma oggi quei «suburbia» ricchi e glicinosi tipici della serie televisiva, dove anche i crimini sono patinati e sono il simbolo dell’ipocrisia della società del consumismo, sono stati rasi al suolo. La crisi dei mutui subprime ha invaso le Wisteria Lane d’America, i dirigenti licenziati in massa in coda sui marciapiedi davanti all’ufficio di collocamento dì New York sono arrivati anche a Fairview. La stessa Casa Bianca non è più quella «sciurettosa» di Laura Bush, che peraltro spesso lamentava come lei e Lynn Cheney (moglie dell’ex vicepresidente) non perdessero una puntata delle Casalinghe disperate. Onore al merito, per carità. In questi anni Desperate housewives ha denunciato la falsità dello steccato bianco e del filo di perle. È stata fenomeno di costume, satira sociale, cronaca corrosiva della periferia residenziale, sotto i cui prati perfettamente falciati si nasconde ogni perversione. Ma oggi le perle le abbia- mo portate al monte dei pegni per pagare le bollette. Mentre sul prato davanti a casa, che non viene tagliato più da un pezzo, c’è un cartello con la scritta «Vendesi». In questo scenario, per donne come Lynette, Gabrielle, Susan e Bree, femmine che si destreggiano senza mai spezzarsi un’unghia fra idraulici travestiti da Hugh Jackman, cucine ipertech e psicofarmaci, non c’è posto. Perché il problema oggi non è la vicina siliconata e ninfomane che ti porta via il marito. La donna, prima vittima della recessione tanto più se giovane, oggi è sospesa. Come Hannah & C. di Giris, la nuova dramedy dell’emittente Hbo, creata e recitata dalla 25enne Lena Dunham, e acclamata (quanto vituperata) come nuova bandiera di una generazione in crisi. Ragazze disfunzionali e incerte, dimesse nel guardaroba e nella personalità, che si arra- battano tra umiliazioni e fallimenti. Giovani disperate per davvero. Con tono sorprendentemente malinconico, Girls racconta una realtà di precarietà emotiva, ancor prima che professionale. Di ragazze che al posto dello shopping pirotecnico di Desperate e di Sex and the City indossano lingerie (ultra) low-cost, e al flirt allegramente spudorato sostituiscono il sesso dimenticabile con partner dimenticabili su un divano sfondato dell’estrema periferia di Brookiyn, in attesa dell’ennesimo lavoro non pagato. Perché, come sottolineava la costume designer Jenn Rogien, «a volte sta tutto in un paio di inguardabili mutande», e quelle di Giris, serie realistica fin nelle verruche, fino al nasone e ai chili in più della protagonista Hannah (mortificati da inquadrature ben ravvicinate), sono orridamente sfilacciate. Ma dove Girls stupisce maggiormente, anzi sconcerta, è il sesso. Che abbonda come in Sex and the City, ma non è mai fantastico, ne soddisfacente. Anzi è deludente, noioso, a volte atroce, e non perché queste quattro ragazze l’orgasmo non sembrano sapere cosa sia. Se in Casalinghe disperate Bree, frustino alla mano, faceva i conti con le tendenze masochiste del marito Rex, in Girls una delle protagoniste confessa: «Mi vedo con questo tipo e a volte gli permetto di sculacciarmi». Ad Hannah piace uno che la tratta come carne da macello, a letto le intima; «Slatti zitta»; in più fa il vago sull’uso del preservativo e lei non batte ciglio. Modi che evocano Fifty Shades of Gray, best-seller sadomaso ed evento letterario dell’anno negli Stati Uniti, divorato dalle ventenni. Disorientate, incapaci di decrittare il presente e affamate di chiunque dia loro istruzioni, le nuove Girls snobbano coetanei gentili in favore di ipernarcisi che dicano loro: «La prima volta che ti scopo potrà farti male, perché io sono un uomo e so come si fa». Di fronte a una frase simile, spesso indice in realtà di misure falliche non proprio esagerate, qualunque ragazza degli anni Sessanta e fino a ieri si sarebbe fatta una risata. Loro no. Anche per questo, secondo la sessuologa Erica Jong, Girls scaraventa la condizione della donna in- dietro di cent’anni. Tanto più che, metafora involontaria ma sublime, ne Hannah ne Dunham portano mai un paio di pantaloni. Fa sorridere come, dal New York Times in giù, sopraffini critici televisivi si siano alternati a disquisire su quanto realistica davvero sia una serie come Girls. Senza rendersi conto che la loro sincerità ha fatto sì che folle di ventenni americane si siano ritrovate in Hannah & C. Insomma, quelle di Girls sono quattro bamboccione ingenue in un mondo che non perdona l’ingenuità; ragazze che non sanno vivere perché abituate troppo bene; bimbe che al primo grosso intoppo, come papà che taglia i fondi e il lavoro che non si trova più, perdono ogni sicurezza. E dite voi se non è disperazione questa.