Mariano Maugeri, Il Sole 24 Ore 6/6/2012, 6 giugno 2012
LE COMMESSE CALANO E LO STATO NON PAGA: SEI MESI, POI SI CHIUDE - VICENZA
La Spoon River imprenditoriale del Nord-Est la riconosci dagli sguardi meditabondi di imprenditori che fino alla metà del Duemila apparivano più frizzanti del prosecco. Al posto delle bollicine dei ricavi ora ci sono le croci di aziende piantate su una terra diventata di colpo cruda e avara. La regione più laburista d’Italia si è risvegliata senza il valore fondante della sua economia. «Abbiamo tutto, tranne il lavoro» frantuma il tabù Angelo Fernando Gnoato, 51 anni, veneto di Laghi di Cittadella, uno strano paese che per metà sta nella provincia di Padova e l’altra metà, canonica compresa, in quella di Vicenza. La faccia cotta dal sole dei cantieri, i capelli grigi tirati all’indietro e la montatura degli occhiali dello stesso colore, Gnoato intercala in dialetto veneto («Cossa vuto che te diga?») per chiudere un ragionamento e riaprirne un altro. Alle spalle della poltrona del suo ufficio ci sono sette fogli di carta moneta incorniciati. Le vecchie lirette, da 500mila fino a mille lire. Nostalgia? La faccia di Gnoato s’illumina per un attimo ma lo stomaco comincia a strizzare succhi gastrici come calecestruzzo in una betoniera se il pensiero torna all’euro. Nel capannone da mille metri quadrati sono ben allineati caterpillar, asfaltatrici e autoarticolati. Solo una parte dei 25 mezzi di proprietà con su stampigliato il logo "Artigianstrade". «Sono armato fino ai denti!» dice per scacciare l’angoscia. Siamo a "Le Prese", l’ultima area industriale costruita a Rosà, il cuore della Pedemontana vicentina, terra di autonomisti e imprenditori. Gnoato indica i capannoni alzati appena una decina di anni fa: «Hanno chiuso tutti qui intorno: quella di fronte era una falegnameria industriale, sulla destra c’era una fabbrica di prefabbricati: entrambe vuote da mesi». Neppure l’Artigianstrade se la passa bene. Gnoato e altri due soci, tutti e tre capocantieri, nell’88 decidono di mettersi in proprio. Lavorano sodo. E non faticano a trovare clienti di rango: tirano su musei, scuole, case di riposo. Gnoato parla con foga: «La nostra forza sono le attrezzature e 15 operai, molti dei quali lavorano per me da vent’anni nel rispetto più rigoroso delle leggi sulla sicurezza, di cui mi sono assunto personalmente la responsabilità. Una volta prendevamo 200 mila euro di lavori pubblici al mese, ora a malapena 200mila l’anno. Con una complicazione in più: fino al 2007 per una commessa che valeva 4 facevamo lo sconto del 15 per cento. Adesso lo stesso lavoro è quotato a due e le amministrazioni pretendono lo sconto del 30. Perdiamo schei come una pentola bucata. Sono religiosissimo, ma confesso di non sapere più a che santo votarmi. Per far quadrare i conti ho tagliato tutte le spese: mi sono dimesso dalla carica di presidente della Laghi di Cittadella, una squadra di calcio che faceva la sua bella figura nel campionato di seconda categoria. Struca struca ho dimezzato pure il rimborso mensa degli operai. Adesso applico alla lettera il regolamento: 5,29 euro di rimborso, neppure un piatto di pasta. Una miseria. Cossa vuto che te diga?». L’umiliazione si legge in volto. Angelo stringe gli occhi azzurri e ringhia: «Dico la verità: più di sei mesi non siamo in grado di reggere. Sono in attesa di incassare 600 mila euro, 350mila euro dai Comuni qui attorno. Cittadella ha 13 milioni di attivo ma non può sforare il patto di stabilità. Due anni fa pensavamo di aver toccato il fondo. E invece si precipita sempre più in basso. Lascerò a casa quelli con una situazione familiare appena appena decente. È un colpo al cuore. Ho provato di tutto, ma le commesse pubbliche sono sparite. Comuni, Province e Regioni hanno chiuso i rubinetti: vantiamo crediti per opere di uno o due anni fa, l’anno prossimo non ci saranno neppure quei soldi. Lo dico in dialetto veneto, mi riesce meglio: ghe xé qualcosa che no va». Lunga vita a Gnoato ed Artigianstrade. Se la ditta di Rosà non dovesse farcela, allungherebbe un elenco che sempre di più assomiglia a una Spoon River. Tra il 2011 e il 2012 in Veneto c’è stata una morìa d’imprese. Un imprenditore di Galzignano Terme che vuole rimanere anonimo le elenca a memoria: la Gecchele e la Scavi Adami di Verona, la Baldizzera di Fonzaso, la Bortoluzzi di Puos d’Alpago, la Merlo di Borgoricco, la Giuseppe Alessio di Camposampiero, la Belluco di Cervarese, la Saf di Vigonza, la Sac e la Asergen di Padova. Spiega: «Erano aziende radicate nel territorio, solide. Il ritardo nei pagamenti e la pratica sempre più diffusa di gare d’appalto con il massimo ribasso sono stati fatali». Pure all’Ance di Padova si preparano al peggio. Tiziano Nicolini, il presidente, elenca i numeri di un arretramento che potrebbe essere il prologo di una disfatta: «Dal 2007 al 2011 le ore lavorate sono crollate del 30 per cento. Esattamente di un terzo sono calati gli appalti nello stesso periodo: da 308 a 181 milioni. A Padova e provincia ci sono 180 aziende edili in attesa di incassare crediti da committenti pubblici per un controvalore di cinque milioni. Il fallimento è alle porte: scriva che tra sei mesi chiuderemo tutti». Una boccata d’ossigeno è arrivata ai Comuni e alle Province dalla vendita ai privati del pacchetto dell’autostrada Brescia-Padova: dei 34 milioni incassati dal Comune di Padova 13 sono stati girati alle aziende creditrici. La stessa mossa delle Province di Vicenza e Padova dopo aver verificato che la sofferenza delle aziende avrebbe provocato l’abbandono dei cantieri. La Martini di Carbonara di Rovolon, che sta eseguendo il rifacimento del piazzale della stazione ferroviaria, ha annunciato al Comune con 24 ore di anticipo la sospensione dei lavori a causa del mancato incasso dello stato di avanzamento. Lo stato d’animo che serpeggia in quella che fu una delle aree più ricche e industrializzate d’Italia lo sintetizza Renzo Tessari, carpentiere di Mira, in provincia di Venezia, cresciuto nell’indotto del petrolchimico di Marghera e poi ingaggiato per i grandi lavori del Mose, le paratie mobili alle bocche di porto della Laguna: «Siamo passati da 160mila euro di fatturato al mese a 30 mila. Per la prima volta dopo quarant’anni mi ritrovo a non fare nulla: in ufficio regna il silenzio e il telefono non squilla mai. Non so più a chi chiedere aiuto: passo notti insonni e prego Dio che la conclusione dei lavori del Mose non coincida con la morte della mia azienda». Forse ha ragione Gnoato: c’è qualcosa che proprio non va.