Gian Antonio Stella, Sette 8/6/2012, 8 giugno 2012
VENERAZIONE (A OLTRANZA) PER IL LEADER
«Andate a prepararvi subito. Tra un’ora un aereo partirà per portarvi verso sud. Tutto è perduto, irrimediabilmente perduto», disse Adolf Hitler. Allora Eva Braun gli prese le mani tra le sue e gli sussurrò «come se stesse parlando con un bambino triste: “Lo sai che io resterò con te. Non ti permetterò mai di mandarmi via”. Allora gli occhi di Hitler cominciarono a illuminarsi e fece una cosa che nessuno avrebbe mai immaginato: baciò Eva sulla bocca».
Così Angela Lambert racconta le ultime ore di vita del dittatore nazista e della compagna sposata alla vigilia della fine, nella biografia La donna che amò Hitler. E non così diversa è la storia di tante altre donne che hanno seguito il loro amore, dopo i momenti di gloria e di trionfo, fino in fondo. Fino all’estremo sacrificio assieme all’amato.
Basti pensare a Elena Petrescu, che si stringeva nervosa il collo della pelliccia nella base militare dov’era stato allestito il «tribunale volante» per il processo-farsa a suo marito Nicolae Ceausescu e dopo avere goduto con lui di mille privilegi terminò con lui il percorso terreno urlando al plotone d’esecuzione: «Ma andate tutti quanti al diavolo!».
E come dimenticare altre figure tragiche come Claretta Petacci, che dopo avere accettato ogni umiliazione dal Duce lo seguì anche nella fuga conclusa a Dongo e di lì a piazzale Loreto? Crollato il regime, scrive in Appassionate Roberto Gervaso, «avrebbe potuto mettersi in salvo con i genitori e la sorella riparati in Spagna, ma preferì stare accanto al suo uomo, ormai ridotto a larva, ostaggio e zimbello di Hitler. Quando “Ben”, come lei lo chiamava, le mandò un comune amico per convincerla a fuggire all’estero, lei rispose: “No: mai. Dove va il padrone, va il cane”».
A Paola Goisis, una insegnante di Lettere cui la Lega Nord ha donato un seggio parlamentare, non è stato chiesto di immolarsi. Ci mancherebbe. Ma la deputata padovana, innamorata cotta (politicamente, si capisce) di Bossi e fino a ieri nota solo per aver detto che «Roberto Maroni ha pugnalato Umberto alle spalle» e avere sostenuto che «i nostri studenti hanno bisogno d’essere guidati, naturalmente dal nostro segretario Umberto Bossi e da professori del Nord», non ha voluto mancare il suo appuntamento con la (piccola) storia.
E così, mentre tutto intorno cadevano i calcinacci del reame personale del Senatur e della Real Casa Senaturia, ha gettato il cuore oltre l’ostacolo con parole d’amore che non meritano di essere dimenticate in qualche notiziola a piè di pagina.
Verde pisello e verde oliva. Macché scandalo! Macché vergogna per la candidatura al consiglio regionale lombardo del «Trota» o la paghetta sontuosa data a Riccardo o il lifting al nasetto di Eridano! Macché bisogno di pulizia! «Penso, e come me sono in tanti a pensarlo, che se i soldi della Lega vengono usati da Bossi e dalla sua famiglia, non ci sia nulla di strano né di sbagliato, visto tutto quello che ha fatto Bossi per noi e per il nostro movimento».
Di più: «I deputati, i senatori, i militanti versano liberamente dei forti contributi al partito. Lo fanno a titolo personale, lo fanno per scelta: non sono soldi pubblici ma soldi versati autonomamente da persone che lo fanno perché decidono di farlo. Umberto Bossi ha quasi dato la vita per la Lega, se usa i soldi (che i militanti e i parlamentari versano liberamente) per pagarsi il medico, per pagarlo ai suoi figli o per far fronte alle necessità della sua famiglia, io non ci vedo nulla di strano né di male. E per me può tranquillamente continuare a farlo, proprio perché quelli non sono soldi pubblici ma soldi della Lega».
E come li distingue, nelle stesse casseforti, i bigliettoni dati dai militanti e quelli del finanziamento pubblico dati controvoglia da tutti gli italiani compresi quelli che magari disprezzano la Lega? Di qua sono colore verde oliva e di là verde pisello? Ah, l’amore…