Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 07 Giovedì calendario

LA POLIZZA SUI DISASTRI NON E’ UNA TASSA - C’è

un diluvio, on line, contro «la tassa sulla iella». Insulti, invettive, rivolte. Ma la spinta all’assicurazione contro i disastri naturali è davvero, come scrive qualcuno, «l’ultima porcheria della Casta»? Mah… Se fatta nel modo giusto, la svolta potrebbe dimostrarsi indispensabile. Non solo per sgravare un po’ lo Stato da un peso ormai insopportabile ma anche per battere l’abusivismo e, soprattutto, salvare la vita delle persone.
Partiamo da qui: ce lo possiamo permettere ancora, noi italiani, dato che le pubbliche finanze sono la nostra «cassa comune» e non un’entità astratta, di pagare i danni di ogni calamità? Anche di quelli magari aggravati dalla stoltezza di chi ha consapevolmente costruito la sua casa senza rispettare le norme antisismiche? Anche di chi l’ha tirata su più o meno abusivamente, nell’alveo di un torrente che una o due volte al secolo straripa o sui sedimenti di una vecchia frana o sulle pendici del Vesuvio?
No: abbiamo un problema. E la Casta stavolta non c’entra. Anzi, la distribuzione di soldi pubblici dopo le calamità è stata per decenni un affarone dei politici più spregiudicati, corrotti e clientelari. Che sarebbero i primi a perderci in un sistema misto che funzionasse bene.
Quanto siano costati nei decenni gli interventi dello Stato per le ricostruzioni di case, fabbriche, laboratori privati (quelle delle strutture pubbliche è un’altra faccenda, ovvio) non è chiaro. «Il danno medio annuo stimato al patrimonio abitativo da eventi sismici e alluvionali», dice un «Working papers» di Deloitte Consulting, «ammonta a circa 2,8 miliardi di euro». Ma la stessa Protezione civile pare non essere d’accordo. E scrive in un rapporto del 2010 di «un valore orientativo complessivo dei danni causati da eventi sismici in Italia pari a circa 147 miliardi e, di conseguenza, un valore medio annuo pari a 3.672 milioni». Solo per i terremoti. Poi ci sono le frane, le alluvioni… Franco Gabrielli lo ha detto: «Purtroppo, per il futuro dovremo pensare alle assicurazioni perché lo Stato non è più in grado di fare investimenti sulle calamità». Di qui il contestatissimo decreto legge 59. Dove si dice che, dopo l’avvio di un percorso, la definizione di regole e «un regime transitorio» si dovrà arrivare all’«esclusione anche parziale dell’intervento statale per i danni subiti da fabbricati».
«Mostruoso», strillano sul web. E sono in tanti ad affilare i coltelli per fare a pezzi il progetto governativo. Chi con la speranza di incassare voti, chi con motivazioni più serie come Salvatore Settis che scrive d’una «abdicazione dello Stato al suo compito istituzionale primario, la messa in sicurezza del territorio (…) Il teatrino dell’assicurazione obbligatoria pretende di archiviare decenni di inadempienze dietro uno scaricabarile indegno». E si chiede: «Che farà chi è troppo povero per pagare le alte tariffe che verrebbero richieste? E chi pagherà l’assicurazione degli edifici abusivi o fabbricati con materiali scadenti, il costruttore (colpevole) o il proprietario (spesso innocente)? Quale stato di polizia va instaurato per obbligare i riluttanti a pagare, anche se disoccupati, il dovuto balzello alle imprese private?» Messa così, non fa una piega. E la stessa Legambiente, pur ammettendo che «in linea di principio l’assicurazione obbligatoria è corretta», ha dei dubbi: «Potrebbe forse aver senso in un Paese con standard di sicurezza antisismica già elevati e una attività di prevenzione seria e avanzata. Da noi si rischia l’effetto opposto: lo Stato metterebbe un balzello in più sulla casa, non spingerebbe i privati ad adeguare le costruzioni agli standard antisismici e si sentirebbe anzi deresponsabilizzato rispetto ai suoi compiti di messa in sicurezza del territorio».
Ma l’esperienza di altri Paesi dice che oltre ai contro ci sono anche dei pro. In Francia, spiega la Deloitte Consulting, «i privati che stipulano una polizza incendio obbligatoriamente devono sottoscrivere una clausola di garanzia contro le catastrofi naturali». Premio fisso: il 12% del contratto base. E se arriva una catastrofe troppo grave per un’assicurazione privata? Subentra la Caisse Centrale de Reinsurance (CCR), pubblica. Per capirci: non sono le assicurazioni a scegliersi il cliente (tu sì, tu no, a seconda dei rischi e di quanto paga il cittadino) e lo Stato «fornisce garanzia illimitata».
Insomma, dice il Cineas, il Consorzio universitario del Politecnico di Milano che promuove la cultura del rischio, «un sistema ibrido: da una parte si rinvia al meccanismo classico dell’assicurazione, per cui i risarcimenti vengono erogati direttamente dalle compagnie; dall’altra è lo Stato che interviene in maniera significativa stabilendo l’obbligatorietà dell’assicurazione, la definizione di un premio unico per tutti gli assicurati e una specifica garanzia». E qui viene l’aspetto più interessante.
Nel 1995 il governo francese ha imposto agli enti locali l’obbligo di darsi dei «Piani di prevenzione del rischio naturale». E dal 1997 «le compagnie assicurative possono rifiutare la speciale copertura ai beni situati in aree definite ad alto rischio, nel caso gli insediamenti risalgano a epoca successiva all’approvazione dei Piani». Più semplice: chi «dopo» quei piani di prevenzione che lo hanno messo in guardia ha costruito senza rispettare le regole non può assicurarsi. Quindi se la sua casa fuorilegge casca, affari suoi. L’assicuratore non paga e lo Stato non mette un quattrino. È un sopruso? Difficile da sostenere.
Anche in Spagna, grosso modo, va così. E «l’obbligatorietà di questa copertura assicurativa è presente fin dall’epoca della guerra civile». E così altrove. Negli Stati Uniti, dove «i premi per catastrofe naturale vengono stabiliti secondo le normali regole del mercato assicurativo» com’è ovvio date le tradizioni, «il programma sulle inondazioni garantisce ai cittadini delle aree a maggior rischio l’accesso a condizioni di favore (fino al 45% di sconto sulla polizza), purché il governo locale abbia aderito agli standard indicati dal programma di prevenzione».
In sintesi: dove le cose sono fatte bene lo Stato usa questo sistema per imporre alle assicurazioni (vuoi entrare nel business? Accetti, a patti chiari, anche i clienti a rischio) e agli enti locali un sistema di regole. Sistema che innesca una spirale virtuosa spingendo i cittadini, gli amministratori e le compagnie a studiare meglio il territorio, prendere atto dei pericoli sismici o idrogeologici, fissare norme precise e rispettarle risanando via via ciò che può essere risanato. Insomma: fermi restando i doveri dello Stato nei soccorsi e nel ripristino delle opere di tutti, privati e enti locali sono chiamati ad assumersi più responsabilità. Un’indagine del Cineas afferma che gli italiani non sono contrari a priori: «Il 54% si dichiara propenso a sottoscrivere una polizza contro i rischi da calamità naturali per assicurare l’abitazione. Tale percentuale, se lo Stato si facesse carico di prevedere una defiscalizzazione dell’importo, crescerebbe fino al 72%».
Certo, non è un percorso facile. E il progetto governativo, con l’assicurazione «su base volontaria» non convince. «Non risolverebbe nulla», polemizza il presidente del Cineas Adolfo Bertani, «anzi, metterebbe le compagnie assicuratrici nella condizione di prendersi i rischi migliori, scegliendo chi e come assicurare e incrinando il basilare “principio di mutualità” delle assicurazioni».
«Le aree a elevato rischio sismico sono il 50% del territorio nazionale e il 38% dei Comuni; quelle a elevata criticità idrogeologica il 10% del territorio e l’82% dei Comuni. Nelle prime risiedono 24 milioni e 147 mila persone, nelle seconde 5 milioni e 772 mila persone; 6 milioni e 267 mila edifici risiedono in area sismica, 1 milione e 259 mila in area a rischio idrogeologico», scrive al Parlamento il presidente nazionale degli architetti Leopoldo Freyrie.
E spiega che «è perciò evidente che, come peraltro ammesso da Ania nella trasmissione Skytg24 Economia, nessuna compagnia di assicurazione stipulerà una polizza su un edificio in zona sismica che non sia stato edificato secondo i criteri di legge. Il risultato sarà che coloro che hanno a subire gli effetti devastanti di un terremoto non potranno assicurarsi e tanto meno i più poveri, che abitano in case che hanno avuto minor manutenzione e nelle zone più depresse del Paese, che sono proprio quelle più esposte al rischio sismico e idrogeologico». Servono le pinze.
E si torna sempre lì: allora è lo Stato che deve farsi carico di tutto? Anche se, come è sotto gli occhi di tutti, non ce la fa? La soluzione è il buon senso. Da una parte, come sostiene Lorenzo Pallesi già presidente dell’Ina, «bisogna evitare che i cittadini vivano quest’obbligo come una ulteriore forma di tassazione» cominciando con l’abolire o almeno ridurre l’imposta sui premi assicurativi del ramo incendio ed eventi catastrofali «attualmente del 22,25%: una delle più alte d’Europa». Poi consentendo ai cittadini di scaricare la polizza dalle tasse. E ripetendo, suggerisce Ermete Realacci, l’esperimento delle energie alternative con incentivi che incoraggino le famiglie a mettere in sicurezza la loro casa. E tante altre cose ancora, come appunto il sistema francese, da definire. Ma un punto deve essere chiaro a tutti: le distribuzioni di pubblico denaro di una volta, visti i conti, sono diventate impossibili.
Gian Antonio Stella