Roberto Bagnoli, Corriere della Sera 07/06/2012, 7 giugno 2012
«A RISCHIO PEZZI IMPORTANTI DI INDUSTRIA» —
Nel primo semestre dell’anno della grande recessione, l’Italia dipinta dal centro studi di Confindustria è un Paese che sta arretrando pericolosamente. La tabella chiave del corposo dossier confindustriale presentato ieri è quella che vede la produzione manifatturiera del nostro Paese scivolare da quinta a ottava nella classifica mondiale scavalcata da India, Brasile e Corea del Sud. Mentre il ricorso alla cassa integrazione a maggio raggiunge nuovi record salendo del 22,5% rispetto ad aprile e del 2,7% su base annua.
Il presidente degli imprenditori Giorgio Squinzi, che nel pomeriggio di ieri è stato ricevuto al Quirinale dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, è ovviamente preoccupato dal quadro economico ma invita a «lottare e a non rassegnarci». E il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, sottolinea che l’Italia rimane pur sempre la seconda potenza manifatturiera in Europa: «È la prova che la nostra imprenditoria resta forte».
«L’Italia — osserva però Squinzi — sta perdendo terreno, in termini assoluti, rispetto ai Paesi emergenti e anche nei confronti dei Paesi più avanzati ma questo non deve assolutamente significare che ci dobbiamo rassegnare, anzi, al contrario, dobbiamo lottare». Per Squinzi «il cambiamento deve diventare la bussola dell’intero Paese con l’obiettivo di fare rotta verso la crescita, che deve essere la nostra stella polare».
Fulvio Conti, il vicepresidente di Confindustria con la delega al centro studi, invoca un «rinascimento manifatturiero» da raggiungere con un quadro normativo «leggero, chiaro e prevedibile». Conti, sintetizzando le conclusioni degli «scenari industriali 2012», si sofferma sulla bassa redditività del sistema, sul dualismo crescente tra imprese che reagiscono e altre che vanno in ritirata e sostiene come sia «strategica la politica industriale» per rafforzare la manifattura. «Siamo un Paese lento — continua l’amministratore delegato di Enel — dobbiamo tornare a pensare in maniera strategica, ci manca una visione di lungo periodo e un progetto Paese».
Una critica alla politica di questi ultimi anni che coincide peraltro con quanto va sostenendo da tempo il sindacato in chiave sviluppista. Un cambiamento di passo nella tattica imprenditoriale confermato da Squinzi nell’annunciare che nei prossimi giorni in agenda c’è un incontro con il presidente e l’amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti (Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini) per «discutere un po’ più da vicino della possibilità che una parte, spero consistente, della liquidità della Cdp vada a favorire il sistema manifatturiero che sta soffrendo un credit crunch importante».
Il numero uno degli imprenditori coglie l’occasione per fare anche il punto sui danni causati dal terremoto in una delle zone più industrializzate del Paese. «A rischio ci sono 10 mila posti di lavoro — spiega — e almeno 500 aziende hanno subito gravi lesioni, ma l’area deve ripartire al più presto per evitare qualunque tentazione di delocalizzazione anche da parte di imprese straniere». Non secondarie le critiche che Squinzi riserva alle scelte economiche del governo a partire dalla riforma del lavoro definita una «occasione mancata per far fare all’Italia dei progressi verso il merito». «Ora mi auguro che dal passaggio alle Camere venga una riformulazione un po’ più orientata alla competitività delle nostre imprese». Così come accenna all’incertezza sull’ammontare dell’Imu «che sta terrorizzando le famiglie e sta frenando la spesa». Per poi passare all’Iva il cui «ulteriore aumento non è una soluzione ma un ulteriore freno sui consumi». Anche la cancellazione del credito di imposta il governo dei tecnici se la poteva risparmiare: «Il credito di imposta per chi fa ricerca è stato abolito sostituito da incentivi per l’assunzione di personale qualificato che comunque non compensa quello che è stato tolto». E il decreto Sviluppo? «Mi sembra di capire — continua il presidente di Confindustria — che sia ancora in un fase di gestazione e di rimescolamento, prima di esprimere un giudizio preciso aspettiamo di vedere il testo definitivo». Sì invece allo strumento del project bond, «è un passo che va nella direzione giusta per migliorare le infrastrutture».
Nell’analisi del centro studi emergono forti fattori di criticità. Come il downgrading che riguarda il 40% delle imprese (con punte del 70-80%) mentre l’upgrading coinvolge solo il 25-30% concentrato nella piccola e media impresa. Non si nomina mai l’Iri ma, forse per la prima volta in modo così netto, gli economisti di viale Astronomia invocano come strategica una attenta politica industriale che «deve favorire i rapporti di collaborazione tra pubblico e privato».
Roberto Bagnoli