Cesare Maffi; Marco Bertoncini, ItaliaOggi 7/6/2012, 7 giugno 2012
UN MILIONE DI VOTI PRIVI DI LEADER
Sulle prospettive di voto per la Destra di Francesco Storace e Teodoro Buontempo c’è qualche istituto, come l’Ipsos, che è piuttosto avaro: solo l’1,4%. Un po’ meglio Demopolis: 1,8%. C’è anche però chi, come Swg, classifica il partito a un livello più che apprezzabile: 3,5%.
Infine, SpinCom lo piazza addirittura al 4,4%. A conti fatti, si potrebbe dire che almeno un milione di elettori si potrebbe indirizzare verso l’ultimo erede del dissolto Movimento sociale italiano.
Sussiste, insomma, una base non trascurabile (né oggettivamente, né se inserita nella divisione bipolare fra centro-destra e centro-sinistra, ove potrebbe anche risultare determinante) di votanti che si sentono schierati nettamente a destra, bisognosi di un’identità. Il fenomeno è ben presente ai vertici del Pdl, soprattutto a taluni esponenti già di An. C’è una considerazione schiettamente numerica: sono utili, e possono essere indispensabili, centinaia di migliaia di elettori che si collocano in una condizione di quasi ininfluenza politica, esprimendosi per un partito che trova ben poca accoglienza sui mezzi di comunicazione e che, escluso dal parlamento, conta uno sparuto numero di rappresentanti negli enti locali. Soprattutto se si arrivasse alle elezioni con il porcellum, bisognerebbe porsi, da parte sia del Pdl sia degli altri alleati, il comportamento da tenersi verso un movimento capace di attrarre voti altrimenti inutilizzabili, ma capaci di indebolire lo schieramento anti-sinistra, se non inseriti in una coalizione.
C’è chi guarda, però, anche alla matrice comune della destra italiana. Da qualche giorno, in particolare per impulso di Marcello Veneziani, intervenuto sia sul Secolo d’Italia sia sul Giornale, si è aperto un dibattito, essenzialmente fra antichi militanti del Msi, a proposito della presenza della destra sullo scenario politico. Si vuole, insomma, rivendicare un ruolo politico che molti ritengono annacquato dal berlusconismo e, in ogni modo, dissolto tra più partiti, dalla Destra al Pdl a Fli. È ovvio che, mentre si discute di liste civiche, di una lista del Cav, di liste animate dallo «spirito del ’94», emerga anche l’aspirazione a ricostituire un riferimento comune e identitario per chi si riconosce a destra. Pochi ritengono fattibile una simile operazione; tuttavia, se davvero si giungesse a spacchettare il Pdl (più si smentisce l’ipotesi, più crescono le possibilità che si traduca in realtà), dalle discussioni a tavolino si passerebbe a più concreti fatti.
Cesare Maffi
DEI 420 PARLAMENTARI ELETTI COL PDL NE SAREBBE RIELETTO SOLO UN TERZO–
Fra le cause dell’angoscia che travaglia il Pdl non va mai dimenticata la condizione personale di deputati e senatori in carica. Nel 2008 sotto il simbolo del neonato predellino furono eletti 276 deputati e 144 senatori. Lasciamo da parte la considerazione, peraltro non secondaria, che oggi i gruppi del Pdl contano rispettivamente 210 iscritti a Montecitorio e 127 a palazzo Madama: infatti, fra i trasmigrati in altri lidi ve ne sono alcuni che si considerano o sono considerati ancora organici al partito.
Quanti di quegli originari 420 parlamentari sono oggi certi della riconferma?
A essere abbondanti, si potrebbe dire un terzo. Ma forse sono molto meno numerosi i parlamentari seguaci del Cav che, in cuor loro, se ne stanno del tutto sicuri o, insomma, ragionevolmente e presuntivamente sicuri. Gli altri o sono incerti o dubitano molto o sono sicuri, sì, ma della mancata ricandidatura (o, in ogni modo, di non riconquistare la poltrona). Di qui il clima d’incertezza, per non dire di sbando, che domina nei due gruppi parlamentari.
Un tempo, bastava essere nella manica del Cav. Oggi, ci si rende conto che la sconfitta elettorale (data per certa nelle condizioni odierne) toglierebbe un esorbitante numero di posti. Non solo: anche a collocarsi fra i ben visti da Silvio Berlusconi, la vicinanza al Cav potrebbe non servire a molto, vuoi perché ricorrenti sono le voci di una lista berlusconiana in senso stretto, innovativa quanto a nomi proposti, vuoi perché c’è l’incognita del sistema elettorale. Se dalla nomina si tornasse all’elezione, aumenterebbero le difficoltà, perché gli eventuali collegi sicuri sarebbero limitati e verosimilmente già assegnati.
La ricerca di una via d’uscita personale sta quindi all’origine di molte fra le proposte estemporanee che emergono in questi giorni. Molti parlamentari studiano non già quale sia la strada migliore per mettere insieme i cocci degli elettori non di sinistra, bensì per parare il posteriore proprio. Questa ricerca di salvezza personale spiega altresì la facilità con la quale si postulano liste e listarelle varie. Chi oggi, nella graduatoria di un grande gruppo parlamentare, è collocato oltre la metà e quindi patisce la strizza per il proprio avvenire, pensa che in una piccola formazione potrebbe essere, se non il numero uno o due, almeno il numero cinque o sei, e sperare quindi di farcela. Basterebbe guardare alla quantità industriale di sigle che contraddistinguono le componenti dei gruppi misti o ingolfano altri gruppi (Popolo e territorio alla Camera, Udc e Coesione nazionale al Senato) per capire che le ambizioni di riproporsi agli elettori schierati in un movimento purchessia, ma capace di fare qualche eletto, sono esorbitanti.
Marco Bertoncini