Emanuela Audisio, la Repubblica 7/6/2012, 7 giugno 2012
L´OLYMPIA DI LENI QUEL FILM PROPAGANDA NEL CIELO SOPRA BERLINO
È il 1936. Il corpo dell´atleta diventa messaggio. Estetica da film. Questa volta lo sguardo è più ambizioso: i volti sembrano illuminati da una luce divina, i gesti paiono sacri, animati dalla volontà del trionfo. L´occhio è quello di Leni Riefenstahl, che sperimenta e racconta i Giochi della Germania. Nel primo documentario mai girato su un´Olimpiade. Il corpo da valorizzare è quello della razza ariana: forma, strumento di supremazia, simbolo. La regia è geniale e tirannica. Guardate la foto, il suo gesto sicuro: è lei che indica all´operatore Walter Frentz come e cosa riprendere e girare. Esaltazione di primati, gesti atletici, e soprattutto movimento. Per farlo: 28 cineprese, buche nel prato, uso di mongolfiere. Non aveva la tv-gru e nemmeno la steadycam per documentare il successo della nazionale azzurra di Pozzo. Ma fu la prima a dare primi piani alla folla. Per colpa sua Jesse Owens rischiò di rompersi le gambe. Lo ricordava l´operatore Gustav "Guzzi" Lantschner, ex campione di sci: «Scavammo sei buche all´interno dello stadio, erano le nostre postazioni, così gli atleti venivano ripresi dal basso, con il cielo come sfondo. Owens ci cadde quasi dentro. Ero accucciato, venti metri dopo il traguardo dei cento metri. Owens fa il record del mondo, non riesce a fermarsi, mi viene addosso, mi vedo già travolto, ma mi evita con grande prontezza di riflessi. Leni ci aveva insegnato a rispettare l´azione e ci allenò a girare senza pellicola, per imparare a catturare i gesti rapidi delle gare. Uno dei problemi fu insonorizzare le macchine da presa in modo che il rumore non infastidisse gli atleti. Lei inventò, noi aiutammo: i carrelli a velocità variabile, i palloni aerostatici della Luftwaffe. Ma quando le mongolfiere scendevano, tutto il nostro equipaggiamento nell´urto si rovinava o andava perso. Legò anche delle piccole cineprese, ognuna con cinque metri di pellicola, alle selle dei cavalieri, costruì cestini di corda, sempre con dentro la telecamera, e chiese ai maratoneti di avvolgerli al petto. Tutto per avere più azione. Goebbels però s´intrometteva, ci impediva molte postazioni: per seguire il lancio del martello avevamo costruito un circuito di rotaie attorno alla pedana, ma un giudice mi strappò la cinepresa e mi allontanò. Leni lo vide, gli tirò la giacca e gli urlò: lei è un bastardo».
Mostrare la superiorità della razza ariana, che deve primeggiare, per giustificare le teorie che gli stanno dietro. La cerimonia della torcia olimpica concepita per la prima volta proprio a Berlino. Propaganda, in grande stile. Riefenstahl inventa soluzioni per lo sport, non concede imperfezioni agli atleti: il dolly montato su rotaie, l´uso del rallentatore. La tedesca Elfriede Rahn-Kaun che vinse il bronzo nell´alto ricordava: «Era brava e simpatica, ma non aveva pietà. Mi fece ripetere di giorno il salto molte volte, perché allora le pellicole non erano adatte al buio». Oggi si filma in diretta, Leni invece si chiuse per due anni in sala di montaggio, con centomila metri di pellicola, quattro mesi solo per visionare il materiale girato. Nel ‘38 registrò il commento musicale con l´orchestra sinfonica di Berlino, ma il mixaggio, con sette piste sonore, si rivelò un disastro e dovette chiedere aiuto a Hermann Storr, il miglior fonico tedesco, che costruì dei filtri che tagliarono il fruscio senza ridurre il volume del suono. Ne uscì Olympia. Un film controverso, discusso, ma straordinario. Owens, nero dell´Alabama, vinse quattro ori e sulla pedana del lungo fece amicizia con Luz Long, biondo ariano. Leni mostrò in primo piano l´espressione di disappunto di Hitler quando Owens fece meglio dell´atleta tedesco. E lì mostrò lo sbaglio: è in guerra che si hanno nemici, in gara solo avversari a cui dare la mano.