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 2012  giugno 07 Giovedì calendario

L’ORO DEL RENO


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
A Monaco, la città più ricca e opulenta di Germania, bastione di eccellenze targate Bmw, Siemens o European aerospace, i prezzi del settore immobiliare volano a record storici: più 10 per cento in pochi mesi, cinque volte più veloci dell´inflazione. Nella prospera Amburgo, la futuristica, costosissima nuova Filarmonica troneggia tra gli ex docks del vecchio porto. Persino a Berlino "povera ma bella e sexy", come dice il suo borgomastro-governatore Klaus Wowereit, il raddoppio e oltre del costo del futuro aeroporto non fa paura. E ovunque vedi gru e cantieri immobiliari, ovunque industrie e aziende dei servizi hanno fame di braccia e cervelli. Germania, la ricchezza opulenta la tocchi con mano. Venendo dal resto dell´Europa, ti senti sbarcato in un altro mondo.
Qui il valore dei patrimoni dei cittadini, persino escludendo le proprietà immobiliari in decollo, è ai massimi storici, e in nessun altro paese dell´eurozona si contano tanti milionari come nella Bundesrepublik che spende per il bilancio Ue e le misure salva-euro quasi metà del totale degli europei. «La Germania sta diventando troppo forte per l´euro», dicono autorevoli, neutrali economisti americani. E su questo sfondo, la voglia di restar soli e ricchi, tra i top ten del mondo globale, come una grande Svizzera che tratta da sola a pari dignità con Obama e Putin, con Hu Jintao e Dilma Rousseff, contagia sempre più anime. Anime degli elettori, di cui Angela Merkel sa ben tener conto.
Basta passeggiare tra i grattacieli di Francoforte, o tra boutique esclusive, saloni d´auto premium e shopping mall di lusso nella capitale, per vedere con i tuoi occhi la realtà che la severa Bundesbank ha appena fotografato nelle sue ultime analisi e statistiche. I patrimoni privati dei tedeschi sono a quote stratosferiche, record storici assoluti. Non li toccano i tonfi di Borsa, né il declassamento del rating di Commerzbank e di altri istituti: in un anno la ricchezza privata dei cittadini della Bundesrepublik è cresciuta di 149 miliardi di euro, toccando un totale di 4.715 miliardi, senza contare le proprietà immobiliari. E´ molto più del doppio di quei pur cospicui duemila miliardi di debito pubblico che pesano sul paese e sui suoi abitanti di domani. E in vent´anni, cioè rispetto al trauma della riunificazione nazionale, il patrimonio privato dei Bundesbuerger è più che raddoppiato.
Sono troppo più forti degli altri membri dell´eurozona, dice da oltre oceano, citato da Spiegel online, l´economista Clyde Prestowitz. Sembrano quasi troppo forti persino per restare nell´euro. Certo, cresce anche il loro debito privato: tocca i 1.550 miliardi di euro. Ma è spinto in alto soprattutto dalla crescente domanda d´immobili. E comunque, siccome qui non conoscono la recessione, in rapporto al prodotto interno lordo il debito privato è sceso di 1,6 punti al 60,3 per cento, nota rassicurante la Frankfurter Allgemeine.
Ovunque, annunci di ricerca di personale qualificato. Ovunque, già i tour operator corrono verso il tutto esaurito estivo, la corsa verso i mari caldi con jumbo Lufthansa o splendide grosse cilindrate verso i "paesi dove crescono i limoni", quelle terre di sfaccendati spendaccioni dove si va volentieri a riposarsi e mangiar bene. Il crollo delle prenotazioni ferie qui è dimensione sconosciuta. Vola, nella Germania del welfare più generoso e della cancelliera insensibile agli appelli di Obama e Monti, di Cameron, Hollande o Rajoy, anche il numero dei milionari. Sono almeno 345mila, quinto posto nel mondo dopo Usa, Giappone, Cina e Regno Unito. E se poi conti soltanto i super-ricchi, quelli con in tasca, sul conto o in proprietà oltre 100 milioni di dollari, il paese dell´ "economia sociale di mercato" e della cogestione è terzo, preceduto solo da americani e inglesi.
Perché spendere ancor di più per l´Europa e rovinarci? Perché mettere in pericolo la nostra solidità costruita con decenni austeri per aiutare i popoli dalle mani bucate incapaci di riforme? Sui media di qualità, argomenti del genere li leggi sempre più spesso. I fogli popolari, a cominciare dal diffusissimo Bild, passano al linguaggio più diretto: «Voi, greci della bancarotta, che diavolo avete fatto con i nostri miliardi?».
I bambini dormono e crescono tranquilli, ti suggeriscono altre attendibili statistiche ufficiali, quelle dell´Agenzia federale del lavoro. Dal 2005 a oggi, il tasso di disoccupazione giovanile si è dimezzato, «per i giovani sotto i 25 anni è sceso al 5,4 per cento, per neodiplomati e neolaureati le chances di trovare un lavoro non sono mai state così buone», spiega Heinrich Alt, uno dei suoi massimi dirigenti. Perché inorridirsi davanti alla tragedia delle generazioni perdute di Atene, Madrid, Lisbona o Roma? Peccato solo che pochi di loro sappiano imparare il tedesco, mormorano qui molte aziende: ordini ed export crescono così rapidi che ingegneri, ricercatori, specialisti non bastano più. Se parti o arrivi al piccolo aeroporto berlinese di Tegel, puoi vedere giovani spagnoli o greci in jeans sdruciti che sbarcano da un jet Iberia o Aegean, con la grammatica, il dizionario e indirizzi di possibili impieghi nel sacco a spalla, mentre un gate più in là gli esperti della Tributaria o del ministero dell´Economia federali s´imbarcano in abito grigio sugli Airbus Lufthansa per offrire aiuto e supervisione ai governi di laggiù.
Più che un nuovo imperialismo guglielmino o peggio, sembra una grande Svizzera, una potenza del soft power efficiente, fredda, edonista e al fondo poco ambiziosa, la Germania dei record di ricchezza. Volano incontrastati sui mercati globali non solo i big del Made in Germany, dall´auto alla chimica, dall´ingegneria civile all´industria militare divenuta tra le maggiori del mondo vendendo a quasi chiunque senza far troppe domande. Anche migliaia e migliaia di piccole e medie aziende, il Mittelstand che fu mito della ricostruzione di Adenauer, solide aziende familiari, investono nell´innovazione tecnologica, nota Inga Michler di Die Welt. Anche loro vendono sempre più in Usa e Cina, India, Brasile, Europa orientale. Le migliori università, quasi tutte pubbliche, in crisi decenni fa, hanno ora un rating quasi da atenei anglosassoni, con le spalle coperte dal bilancio pubblico. E in fabbrica, i sindacati dopo anni di moderazione salariale che hanno mantenuto il Made in Germany un lusso accessibile alle masse europee adesso chiedono e intascano forti aumenti.
Certo, ogni medaglia ha il suo rovescio, anche la Germania dei tanti ricchi. Le riforme di Gerhard Schroeder, flessibilizzando il mercato del lavoro, hanno prodotto un settore di precariato e basso reddito. Ma ci pensa il welfare ad ammortizzare il malcontento. La Imd business school di Zurigo, un attento think tank globale, sottolinea quel che conta: tra le economie dell´eurozona, quella tedesca è l´unica presente nel rango dei top ten delle più competitive del mondo. Al nono posto, dopo la Svezia o il Canada e prima del Qatar. Che vuoi che importi il baratro dell´Europa mediterranea, la Grande Svizzera siamo noi.