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 2012  giugno 08 Venerdì calendario

LA DISFIDA DI PARMA

PARMA. Paghi il caffè e la cassiera ride. Compri l’aspirina e il farmacista ha uno sguardo beffardo. Incontri l’avvocato di grido su via della Repubblica e quello ti strizza l’occhio. È divertente passeggiare in una città che se la ride sotto i baffi, consapevole di averla fatta grossa. Parma si mostra sorpresa dell’elezione a sindaco del candidato grillino del Movimento 5 Stelle Federico Pizzarotti, ma mente spudoratamente, perché lo sapevano tutti benissimo che sarebbe finita così.

Perché era un gioco fin dall’inizio, uno sberleffo, un calcio negli stinchi a tutti quei signorotti incravattati con la pomata nei capelli che fanno carte false pur di entrare nel club dei sedicenti poteri forti. Solo che, a questo punto, nella buona società parmigiana la loro geografia va ridisegnata perché, se si sono fatti metter sotto da uno come Pizzarotti, faccia pulita e scarpe da tennis, mezzo informatico e mezzo bancario senza un soldo, proprio così forti non devono essere.

Uno dei poteri che furono troneggia in mezzo alla campagna alla periferia nord della città e ha le sembianze di un groviglio di enormi tubi e macchinari circondato da filari di giovanissimi pioppi che, è l’idea, un giorno nasconderanno l’orrore alla vista dei più deboli di stomaco. È l’inceneritore della società Iren, l’azienda che a Parma distribuisce gas, acqua e elettricità, la prima vittima predestinata del nuovo sindaco. Pizzarotti ha giurato infatti ai suoi
elettori che l’inceneritore, sebbene sia pressoché finito, non brucerà mai neanche la carta di una caramella, e pazienza se chili e chili di contratti e di pesantissime penali garantiscono gli azionisti dell’Iren, tra i quali pesano, oltre al Comune di Parma, quelli di Torino, Genova, Piacenza e Reggio Emilia, anch’essi preoccupati che il nuovo sindaco mandi il gran business in malora.

Forse, anche se non lo dicono apertamente, saranno contenti i Barilla che producono le fettuccine a un tiro di schioppo dall’inceneritore e che, dopo un iniziale via libera al mostro, pare si siano un po’ pentiti. Non è carino fabbricare rigatoni tra i fumi della mondezza. Sarà per questo che i Barilla, industriali apprezzati nella zona, e perfino un po’ criticati perché ostentano un vago disinteresse nei confronti della politica locale, con la voce del presidente dell’azienda Guido hanno lanciato una dichiarazione di benevola neutralità nei confronti del neosindaco, mentre gli altri nomi dell’establishment, i costruttori Pizzarotti (nessuna parentela con il neosindaco), Bonatti, Marco Rosi del Parmacotto, il re del prosciutto in vaschetta, o Alberto Chiesi, presidente della Chiesi Farmaceutici, si sono chiusi in un pensoso silenzio.

C’è poco da fare, per loro l’elezione di Pizzarotti è uno smacco, visto che l’Unione industriali di Parma aveva benedetto l’uomo del Pd Vincenzo Bernazzoli. La Gazzetta di Parma, quotidiano dell’Unione industriali che entra implacabile in ogni casa, l’aveva scritto chiaro e tondo: «Tra l’usato sicuro (Vincenzo Bernazzoli) e il salto nel buio (Federico Pizzarotti), non c’è dubbio su chi scegliere: Bernazzoli ». E i parmigiani infatti hanno felicemente votato in massa per il salto nel buio, sabotando così il progetto non dichiarato di restaurare un’armonia antica e trilaterale fatta di industriali e affari, Curia (il vescovo Enrico Solmi si è fatto in quattro per il candidato del Pd), e sinistra politica emiliana.

Contrariamente alle altre città dell’Emilia Romagna,dove il tessuto imprenditoriale è dominato dalla cooperazione, a Parma è sempre stata l’Unione industriali a tenere il pallino in mano. E quando il mondo parmigiano degli affari ha voluto puntare sul centro destra lo ha fatto subito portando al governo cittadino prima il sindaco Elvio Ubaldi,nel 1998 e fino al 2007, e poi l’azzimatissimo Pietro Vignali, costretto alle dimissioni lo scorso anno da turbe di cittadini inviperiti per una lunga serie di scandali, lasciando il Comune a bagnomaria con debiti stimati tra i 500 e i 600 milioni di euro. Per i costruttori, i Pizzarotti e i Bonatti, era stata una manna e basta farsi un giro per rendersene conto.

La città sembra oggi uno sventurato paziente steso sul lettino operatorio già aperto dal bisturi del chirurgo, in attesa però che qualcuno richiuda le ferite con le giuste suture. Sbancamenti, sventramenti, cantieri silenziosi e cataste di tondini di ferro arrugginiti, gru addormentate e recinzioni traballanti: tutto fermo, perché i soldi sono finiti. Questa insensata devastazione risponde all’idea, coltivataper 15 anni dalle giunte di centrodestra (e spinta a tutta birra dai costruttori), di trasformare Parma, da quella amorevole città ducale che è, in una sorta di metropoli avveniristica dotata di ponti tubolari, stazioni di cristallo, centri direzionali e tapis roulant, arrivando alla perversionedi concepire una metropolitana di 17chilometri in una città dove tutti girano in bicicletta e infarcendo i dialoghi dei parmigiani di strani acronimi e pittoreschi inglesismi.

Una città in technicolor, come sintetizza il giornalista Marco Severo in un libro sulle avventure dei berlusconiani parmigiani (Sconvocati), traboccante di slogan, rendering e plastici, dove, senza timore del ridicolo, l’ospizio si chiama Welfare Community Center (Wcc), Parma è la capitale della food valley, si può attraversare il torrente su passerelle Greenways, i visitatori della Green city sbarcano dal treno nella temporary station che tanto temporary non è visto che hanno cominciato a rinnovarla cinque anni fa e ancora non si vede la luce, ma per fortuna c’è il project financing e ogni sogno diverrà realtà.

Gli acronimi rimbalzano di bar in bar («pare che sia crollato un pezzo di Duc (Direzionale unico comunale), ma l’esplosione delle oscure sigle arriva quando il comune lancia le Stu (Societàdi trasformazione urbana), società per azioni che servono essenzialmente a spendere decine di milioni di euro sfuggendo ai limiti del patto di stabilità nazionale. Nascono la Stu Pasubio, la Stu Stazione, la Stu Authority, eccetera eccetera, fino a quando le società controllate dal Comune saranno così tante che sarà necessario creare una holding unica.Ecco dunque arrivare, nel 2009, la Stt (Società trasformazione erritoriale) che riunisce sotto il suo cappello tutte le Stu. Oggi il Comune di Parma ha 35 società controllate, alcune in liquidazione, altre con debiti imbarazzanti. La filosofia dello sperpero, tutta a beneficio di un pugno di costruttori, scavatori, industriali e architetti splende in tutta la sua follia in un paio di operazioni sconcertanti.

La storica piazza della Ghiaia, sede di un seducente mercato all’aperto, è stata negli ultimi anni sbancata, il mercato cacciato sottoterra e la piazza coperta con una mostruosa tettoia di vetro montata su pilastri di acciaio. La tettoia è obliqua, così quando piove l’acqua scorre via, circostanza che ha permesso all’astuto architetto Paolo Mancini di definirla «autopulente». D’estate, poi, quando il sole picchia duro, il vetro diventa uno specchio ustore di Archimede. Ma lo zenith
dell’assurdità appartiene al Ponte a Nord ribattezzato dal vignettista Gianluca Foglia «la supposta venuta dallo spazio », 180 metri di megatubo bianco che scavalca il letto secco del torrente Parma e che non porta da nessuna parte. Il ponte è concepito come un guscio chiuso perché al suo interno ospita spazi commerciali, una specie di Ponte Vecchio di Firenze in versione Blade Runner, naturalmente ancora chiuso e deserto.

Un’apparizione da eccessi di acido lisergico per chi guida sulla tangenziale nord. Come topi nel formaggio, affaristi e industrialotti hanno lasciato il segno delle loro scorribande nella città, dimostrando di essere forse poteri forti, ma anche poteri scarsamente intelligenti, perché le ferite inferte a Parma sono profonde e non sarà facile curarle. Tocca al sindaco grillino Federico Pizzarotti trovare le soluzioni, ma intanto, giusto per far capire l’aria che tira, a poche ore dalla proclamazione dei risultati elettorali, i rappresentanti delle imprese edili di Parma sono partiti subito all’offensiva: «Le imprese hannocon il Comune 68 milioni di crediti. Fuori i soldi e poi si discute".