Gianluca Di Feo, L’Espresso 14/6/2012, 14 giugno 2012
Chi ha paura di Saviano colloquio con Roberto Saviano – Non ho mai voluto candidarmi a parlamentare, mai ambito a nessuna carica politica, né di sindaco, né di ministro, nonostante abbia avuto molte proposte
Chi ha paura di Saviano colloquio con Roberto Saviano – Non ho mai voluto candidarmi a parlamentare, mai ambito a nessuna carica politica, né di sindaco, né di ministro, nonostante abbia avuto molte proposte. Non intendo in nessun modo costruire liste, non intendo dare appoggi esterni, non intendo costruire consenso in modo da dirottare voti. Il mio ruolo e il mio lavoro li ho sempre visti da una prospettiva diversa: sono un narratore. Ragionerò, discuterò, farò il mio lavoro di raccontatore, reporter, scrittore, ma nulla che abbia a che fare con campagne elettorali". Ancora una volta si trova protagonista, nella veste meno gradita: alfiere di un partito, schierato a sostegno del centrosinistra. Una discesa in campo proclamata da ripetuti articoli, da intere prime pagine, con tanto di vignetta che lo raffigura come un novello Lenin alla guida dell’assalto al Palazzo d’Inverno. E ancora una volta Roberto Saviano si scopre icona ignara: leader a sua insaputa di una formazione elettorale. La storia napoletana ha un esempio leggendario di leader popolare sedotto dalla lusinga del potere o comunque delegittimato dall’essere bollato come un candidato al trono. Masaniello, il pescatore, il leone che guida la sommossa contro le tasse ingiuste e poi, a "lu tiempo de li ’ntrallazze" indossa gli abiti d’argento donati dal viceré spagnolo. Un po’ come fece Silvio Berlusconi quando nel primo incontro con Saviano rimase stupito per il look sgarrupato e ordinò al suo assistente di comprargli un paio di scarpe nuove. Ma nei sei anni trascorsi dal successo di "Gomorra" gli approcci dei partiti nei suoi confronti sono stati tanti. Alcuni hanno fatto leva sulla sintonia nella lotta antimafia. Come quando nel 2006 Fausto Bertinotti, presidente nella Camera, lo accompagnò sul palco di Casal di Principe per il discorso che provocò la prima bordata di minacce e l’inizio della vita blindata. O come quando una sua intervista in cui parlava dell’impegno anti-camorra del vecchio Movimento Sociale, ricordando che Paolo Borsellino si riconosceva nella sua area, lo rese improvvisamente simpatico ad An: da Gianfranco Fini a Giorgia Meloni corsero a offrire una casacca. Persino la Lega, con il sindaco di Treviso Gianpaolo Gobbo, ipotizzò di candidarlo alle Europee. Più altalenante il corteggiamento del Pd. Massimo D’Alema gli prospettò un’investitura e un avvertimento: "Diventa sindaco di Napoli, ma se entri nella scena nazionale ti farai male...". Nella sfortunata campagna del 2008, Walter Veltroni a pochi giorni dal voto affrontò la terra dei casalesi. Ma lo scrittore disertò il palco e rispose con una lettera aperta chiedendo "più coraggio e più fatti". Di tante proposte avanzate negli scorsi anni nessuna l’ha mai tentata? "In realtà non le ho avvertite come vere e proprie proposte, più come un modo per capire quali fossero le mie intenzioni. Per potersi tranquillizzare o eventualmente correre ai ripari". Ma prima di questa campagna sulla "Lista Saviano" qualcuno l’avrà contattata per chiederle conferma... "Mai nessuno. Non mi hanno cercato né i politici con cui sarei schierato, né i giornalisti che ne hanno scritto. Sarebbe bastato mandarmi una mail e aspettare la mia risposta. Ma nessuno l’ha fatto, perché una mia risposta avrebbe obbligato a essere netti, chiari, a non avanzare ipotesi. E hanno naturalmente ignorato le mie smentite, mandate alle agenzie di stampa e pubblicate anche su "l’Espresso"". Eppure la questione sembra avere fatto presa anche tra i social network, dove ha un milione mezzo di fan su Facebook e 200 mila follower su Twitter. Persino in questa colossale arena virtuale di persone reali le sue smentite sono state accolte con perplessità. "Lì la campagna sulla fantomatica "Lista Saviano" ha rafforzato una visione perversa che considera la politica sinonimo di schifezza: un coacervo indistinto di corruzione e faccendieri. Sono proprio i social network a dare il metro di quanto siano screditati non solo i partiti ma tutta la sfera della politica. Annunciare la mia presunta candidatura diventa strumento di diffamazione: una carica pubblica che dovrebbe essere ambita, voluta e autorevole, viene invece percepita come diffamante". Anche il non volere prendere posizione può però apparire come una scelta di comodo... "Ma la mia è una scelta di libertà. Credo che le mie storie siano ascoltate e possano arrivare a tante persone proprio perché non mi sono mai schierato in un gruppo, in un partito. Il che non significa aver mantenuto una posizione di equidistanza, di convenienza. Anzi, ho sempre partecipato attivamente al dibattito, di volta in volta prendendo delle posizioni, criticando ma non schierandomi in un progetto politico. La mia sensazione è che le proposte politiche che mi sono state fatte fossero solo un modo per raccogliere voti, per appropriarsi del potenziale di consenso che ricevo dalle trasmissioni, dai teatri, dalle persone che mi ascoltano. Ma quelle persone mi ascoltano proprio perché sanno che non ho opinioni determinate da qualcuno o condizionate se non del mio pensiero e dalle mie valutazioni. Dal mio stare nelle cose". Quindi presentandola come leader di uno schieramento vogliono colpire la sua credibilità? "È il teorema dei soliti organismi dell’area berlusconiana e delle testate che tentano, non riuscendoci, di accreditarsi con i lettori di "Repubblica" e de "l’Espresso". Cercano di dire continuamente al loro pubblico "Non ascoltatelo". Ogni giorno (e scandisce "ogni giorno!") su questi giornali escono articoli - il più delle volte balle, raramente legittime critiche - per inculcare un messaggio: "Attenti! Questa persona non vi appartiene". Potrà sembrare strano, ma tutto questo mi fa sentire sulla strada giusta, perché significa che quando vengo ascoltato - da sinistra, da destra, da centro - indipendentemente da come la si pensi, ciò che si ascolta non è un messaggio politico, non sono io e ciò che rappresento: si ascolta il mio racconto". Candidatura come sinonimo di corruzione. Questa equazione non rischia di radere al suolo ogni speranza di rinascita della politica nel Paese? "Ragionare su di me può essere utile proprio a comprendere questo. Si prende un personaggio pubblico, lo si brucia facendo circolare la voce che voglia candidarsi, si raccolgono umori, nella maggior pare dei casi negativi - chi ti apprezza non vorrebbe vederti mai in politica, chi ti disprezza ritiene che la politica per te furbetto sia il naturale sbocco del tuo aver brigato sino a questo momento - tutto questo per dare il definitivo colpo di grazia alla politica. Il dubbio che spesso mi viene è questo: ma siamo sicuri che la stampa di "destra" ami la destra e che la stampa di "sinistra" ami la sinistra? La mia opinione è che il lavorio costante da una parte e dall’altra sia di erosione di ogni seppur minima certezza. La stampa di "destra" è stata troppo supina al potere berlusconiano per essere ora credibile e si lancia in campagne oltranziste che non riescono a creare consenso. La stampa di "sinistra", elitaria, sembra irridere i partiti di quell’area, sembra guardarli con sufficienza, lasciandoli in balia della propria incapacità di costruire una comunicazione politica efficace". Qual è la sua idea di politica? Crede nel ruolo dei partiti? "Non credo nella partitocrazia. Credo ovviamente in quello che i partiti significano, ovvero cittadini che si uniscono e si organizzano per dare il loro contributo alla costruzione democratica di un Paese. In questo momento la parola "partito" è una parola perdente. Nessun gruppo politico può più pensare che con il termine "partito" - inteso come brand - possa oggi parlare alle persone: "partito" ormai coincide con corruzione. Su Facebook tutto è istinto, tutto è immediato, spesso si legge un post e la risposta arriva fulminea: "Non fare politica perché è una schifezza", "Sono tutti sporchi". Ormai non si riesce più a distinguere tra politici, e anche se è ingiusto e demagogico generalizzare, la politica ha davanti a sé un’unica strada: deve repentinamente, imperativamente, immediatamente cambiare rotta. Anche chi non si ritiene colpevole, deve capire che è il momento di spalancare le porte alle nuove generazioni. È necessario che nuove persone abbiano la possibilità di mettersi in gioco. Ci vorrà tempo per imparare le regole, si potrà sbagliare, ma almeno avranno sbagliato persone e storie diverse. Inizierà una sperimentazione e la credibilità dei partiti, ora in caduta libera, potrebbe risollevarsi. Benjamin Franklin diceva che quando le persone, gli elettori, percepiscono chiaramente una mancanza di etica nella classe politica e un’eccessiva presenza di moralismo vuoto e di facciata, si convincono di potersi sostituire a essa. Franklin temeva l’oclocrazia, il governo delle masse, senza selezione, senza riflessione e senza merito, ponte naturale tra degenerazione della democrazia e oligarchia. È una riflessione che vedo attualissima perché scorgo il pericolo, di fronte allo smarrimento politico che stiamo vivendo, che il luogo comune diventi un punto di riferimento". Questo è quello che vede avanzare dietro il movimento di Beppe Grillo? In passato anche Grillo l’ha sostenuta, forse tentando di agganciarla: fece un comizio a Napoli con lei in diretta telefonica. "No, non è questo che vedo dietro il Movimento 5 Stelle. Del resto, forse, Grillo ha coperto quel segmento che in Grecia è di Alba Dorata e in Francia dal nazionalismo di Marine Le Pen. E questo la dice lunga sulla coscienza politica del nostro Paese, nonostante tutto in ottimo stato: il massimo del "populismo" che incredibilmente spaventa tutti, è un movimento moderato, che coinvolge migliaia di persone che vogliono far sentire la propria voce nella cosa pubblica e che hanno trovato un canale. Ma la critica che più spesso viene mossa a Grillo è che sarebbe troppo facile, oggi, gridare, attaccare tutto e tutti, non vedere le differenze e sparare nel mucchio per ottenere consensi sulle macerie. Eppure a fronte di tutto ciò, estremisti della conservazione spesso finiscono per essere proprio i partiti che sono riusciti nell’incredibile intento di marginalizzare il ceto medio produttivo. Che oggi è il più esasperato e vessato.". Ha scritto nell’Antitaliano sull’"Espresso" che vuole fare politica con le parole. Cosa significa? "Non esattamente. Ho scritto che il mio modo di partecipare alla società è scrivere, raccontare. Ho scritto che le parole sono azione. Sogno la possibilità di una politica che sia libera dai giochi ideologici. Spero che si rifletta davvero su una forma politica che recuperi quelli che io ritengo da sempre i miei riferimenti. Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Rocco Scotellaro, Danilo Dolci, il socialismo liberale di Carlo Rosselli. Ovviamente declinati nella società del Web, continuano secondo me a essere un patrimonio incredibile. Una sperimentazione sociale continua, qualcosa che abbia a che fare non solo con il mercato e con un welfare forte che controbilanci il mercato, ma anche con lo sviluppo dei talenti, una società dove i migliori possano emergere e non vengano visti con la solita diffidenza". Lei pone al centro del suo intervento la difesa della legalità: la crisi della politica in un periodo di recessione economica renderà le mafie più forti? "Alla fine della crisi saranno fortissime: è fondamentale che questo governo intervenga immediatamente. I social network raccontano un Paese spesso deluso da questo esecutivo perché si aspetta delle decisioni. Il governo tecnico fatto di disciplina e prudenza sembra aver paura di prendere decisioni politiche. Ebbene, in questo momento, la questione tecnica principale è proprio la questione politica. Il governo Monti deve fare in modo che accanto al lavoro di magistrati e forze dell’ordine, che ha necessariamente tempi più lenti perché è fatto di prove, processi e arresti, ci sia quello degli analisti che facciano previsioni e possano individuare ambiti di fragilità. In Italia i sequestri di cocaina sono in aumento, ciò vuol dire che aumentano i consumi e i guadagni delle organizzazioni, eppure su questo non esiste dibattito politico. Parlare di legalizzazione - non dico attuarla, quantomeno parlarne e cercare alternative - sembra essere rimasto un tabù tutto italiano". Oggi i campioni dell’astensionismo sono i giovani. E lei è forse l’unica figura che riesce a dialogare con loro. Anche per questo Saviano fa paura? "L’astensionismo è dovuto al fatto che molti della mia generazione - ma credo che si astengano elettori di tutte le fasce d’età - credano che il loro impegno non faccia la differenza. Oltre a un sistema elettorale iniquo voluto dal governo Berlusconi, ma che fa comodo a quasi tutti i partiti, ciò che ha contribuito ad allontanare gli elettori dalla politica è la constatazione che la comunicazione politica sia diventata essenzialmente gossip". Perché nell’intero panorama dei partiti non c’è un solo trentenne con un ruolo da protagonista? "È il sistema paese che non dà spazio ai giovani, che non vengono visti come risorse ma come concorrenti cui tagliare le gambe. Anche il "fare gavetta" si è trasformato in qualcosa che può risultare intollerabile. Gavetta non è impegno maggiore nello studio o nel lavoro, ma significa "servire", "stare dietro qualcuno". L’anzianità è considerata una dote a prescindere. Il Paese è vecchio, nelle redazioni dei media i trentenni fanno una fatica immensa a farsi ascoltare e spesso sono proprio loro ad aver più cose da dire. La mia è una generazione di emigranti che non viene a patti. Ciò significa andare in Olanda, in Francia, in Belgio, in Gran Bretagna, negli Usa, ovunque, piuttosto che stare qui a mal sopportare. Quello che in Italia bisognerebbe comprendere è che lo spazio che si può e si deve dare ai giovani è lo spazio che si può e si deve dare al talento". Il premier Monti la scorsa settimana ha chiesto sacrifici per fare spazio ai giovani, registrando l’egoismo generazionale di altre categorie. Cosa serve alla sua generazione per potersi imporre? "Forse un po’ di fiducia in più in se stessi: prendersela anziché aspettare ci venga data e forse più coesione. Sta accadendo che in una situazione di incertezza e precariato si è in guerra, la guerra di tutti contro tutti. Piuttosto che supportarci e sostenerci, spesso ci si disprezza e i toni finiscono per essere violenti. Invece la dote dei trentenni è di essere meno ideologizzati rispetto ad altre generazioni e saper pensare l’Italia all’interno di uno scacchiere internazionale. La mia è la generazione di quella formidabile rivoluzione che è stato il Progetto Erasmus: è stata la prima ad aver potuto studiare in Europa, leggere quotidiani stranieri e rendersi conto che quasi ovunque le prime pagine sono di politica estera e non sempre soltanto di politica interna. La dote dei trentenni di oggi è sentire di avere cittadinanza europea e mondiale di pensare la propria vita e la vita italiana come un capitolo del mondo". Ma lei crede che in Italia le cose possano cambiare? "Con tutto me stesso credo si possa cambiare. Un cambiamento inatteso e forte. A volte mi sveglio scettico, ma mi ostino a credere che si può". n I suoi gioielli Ecco chi sono i cinque intellettuali citati da Roberto Saviano. 1. Gaetano Salvemini 1873-1957 Esponente meridionalista del Psi e difensore di una visione federalista. 2. Carlo RossellI 1899-1937 Sviluppò una teoria di riformismo socialista, ispirata al laburismo. Fu ucciso in Francia dai fascisti. 3. Danilo DOLCI 1924-1997 Sociologo ed educatore, reso famoso dalle sue campagne di resistenza civile in Sicilia negli anni Cinquanta. 4. Rocco scotellaro 1923-1953 Scrittore impegnato con il Psi nella lotta per il miglioramento delle condizioni dei contadini nel Sud. 5. Ernesto Rossi 1897-1967 Attivo nel Partito d’Azione e nel Partito radicale, tra gli ideatori del Manifesto di Ventotene sul federalismo europeo.