La Stampa 7/6/2012, 7 giugno 2012
IL BELLO DEL VEDO E NON VEDO
ELENA LOEWENTHAL
Perché questo accanimento nei confronti del calzino corto? Che cosa ha fatto di male da meritarsi lo sdegno generale? Abbiamo sdoganato ben di peggio e continuiamo ad ammettere modelli e accessori che sino a non molti anni fa erano roba dell’altro mondo: le zeppe per signora, ad esempio. Una volta esistevano solo nella versione traslucida da telefilm di fantascienza, adesso sono sopra e sotto i tacchi femminili. E non ditemi che un paio di gambe su due di quei cosi, costrette a camminare come un pennuto lacustre affetto da lussazione dell’anca, sono più eleganti del loro corrispettivo maschile con le estremità dentro un calzino, foss’anche bianco. In fatto di ineleganza il nostro armamentario non si fa mancare nulla. Mia nonna, buonanima, con la sua curata eleganza innata, meno male che non ha fatto in tempo a vedere i pantaloni a vita bassa. Capaci di azzerare qualunque slancio di figura e dare il colpo di grazia al buon gusto, in particolare nel caso di elastico di mutanda griffata in vista. Di fronte a tutto questo non si capisce perché il calzino corto possibilmente bianco candeggiato, debba rappresentare l’ultima frontiera dell’orrore. In fondo è discreto, comodo, a suo modo ammiccante. Noi donne che abbiamo fatto del vedo-non vedo una scienza millenaria, non possiamo prendercela con quel modesto paio che, se ben portato, se accavallato al punto giusto, ci offre un’inedita, sfuggente visuale del corpo dell’altro, cioè di lui. È pur vero che la scienza del vedonon vedo ha ceduto ultimamente il passo a una più disinvolta pratica del «vedo-vedo-e vedo anche quello che non c’è», ma il gioco del nascondere per mostrare ha ancora il suo inossidabile fascino: anche se di calzino corto da uomo si tratta. È solo questione di saperlo portare, di guardare e non guardare.
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I GENTLEMEN PREFERISCONO IL LUNGO
CARLO ROSSELLA
Era inevitabile che prima o poi si sarebbe riaperta questa eterna discussione sulle «mezze calze» e sulle calze lunghe. Anni fa anche Giuliano Ferrara intervenne nel dibattito, dicendo che preferiva le calze corte rispetto a quelle che toccavano il ginocchio, considerando tale forma di abbigliamento un modo molto chic per distinguersi. Molti si schierarono contro Ferrara, dicendo che un gentleman porta soltanto calze lunghe. Frequentando a Parigi ambienti abbastanza facoltosi, è difficile imbattersi, per fortuna, in qualcuno che porti i «calzettini», al di là degli sportivi che fanno jogging al Bois de Boulogne o sulla Esplanade des Invalides. Ma passeggiando in Boulevard Saint Germain e guardando le gambe accavallate dei clienti al Café de Flore o al Deux Magots, si vedono polpacci bianchi un po’ strangolati da calze corte e strette. La gamba mezza scoperta è tipica non soltanto di molti francesi, come dicono le statistiche citate da «Le Monde», ma anche degli americani: nei grandi magazzini non è sempre facile trovare calze lunghe fino al ginocchio. E allora cosa deve fare un pover’uomo preso in questa diatriba se non interrogare le commesse di Schostal in via Fontanella Borghese, a Roma, e chiedere: «Lor signori comprano più calzettini o calze normali?». Risposta: «Non vendiamo calze corte da qualche anno». Una risposta definitiva della più sofisticata calzetteria d’Italia. Altro discorso invece avremmo negli empori di articoli sportivi. Nell’esercizio la calza corta è di rigore, anche se nel tennis molti la portano lunga fin quasi al ginocchio. Insomma, non si può dividere il mondo tra cortofili e lungofili, e il calzettino è permesso solo a Giuliano Ferrara. Per tutti gli altri il consiglio è uno solo: calze lunghe, come quelle di Pippi.