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 2012  giugno 07 Giovedì calendario

Vino, cala la produzione ma qualità alta - Amabile e austero, corposo e delicato, rotondo e robu­sto

Vino, cala la produzione ma qualità alta - Amabile e austero, corposo e delicato, rotondo e robu­sto... bouquet a parte, è de­cisamente un vino maturo quello che l’Italia serve sulle tavole del mondo. Una rivoluzione silenzio­sa ha cambiato i nostri vigneti, che con 40,6 milioni di ettolitri assicu­rano il 17% della produzione mon­diale e il 28% di quella europea. Il fatturato del settore è passato ne­gli ultimi cinque anni da 13,6 a 14,5 miliardi, quattro dei quali genera­ti dalle esportazioni, con un in­cremento in valore del 12%, che di questi tempi non è poco. Tutto questo accade dopo una colossa­le ritirata: nel 2011 abbiamo per­so 6 milioni di ettolitri rispetto al­la produzione media decennale, che era già scesa di 12 milioni ri­spetto al decennio precedente. Meno vino uguale più (buon) vino: quella che sembrava un’equazio­ne impossibile ha comportato un balzo qualitativo - doc, docg e igt sono ormai il 60% della produzio­ne nazionale, una volta il 90% era vino da tavola - consolidando un primato conteso solo dai francesi, che ci surclassano grazie allo Champagne. È questa l’analisi che emerge dal 67° congresso nazio­nale dell’Assoenologi, che si con­clude oggi a Savona. «In vent’anni abbiamo perso 268mila ettari di u­va da vino - conferma Giuseppe Martelli, direttore dell’Associazio­ne enologi ed enotecnici italiani (4000 iscritti) e presidente del Co­mitato nazionale vini del Ministe­ro - ma non è un’evoluzione del tutto negativa, perchè in un mer­cato globale è pericoloso produr­re male». Nello stesso periodo, «la vitienologia italiana ha fatto passi da gigante - ha insistito il presi­dente dell’associazione Giancarlo Prevarin - raggiungendo all’este­ro obiettivi impensabili, nono­stante i campanilismi, l’eccessiva burocrazia, la frammentazione e la scarsa volontà di cambiamen­to », che restano i punti deboli del settore. Selezionare i vigneti migliori, o­biettivo della riforma europea che ha finanziato l’espianto dei vigne­ti, non è stata una passeggiata. Il dimezzamento dell’ettarato (nell’80 coltivavamo 1,2 milioni di ettari) è costato infatti non pochi mal di pancia a vitivinicoltori ed enologi, anche se la contrazione non è stata solo italiana: l’Ue in cinque anni ha sacrificato il 12,4% della sua potenzialità produttiva, mentre crescevano Cina, Austra­lia e Cile. Questo processo, tutta­via, asseconda le scelte del consu­matore: il vino è sempre più un ge­nere voluttuario e per un buon bic­chiere si è disposti a spendere qualche euro in più, ma, causa cri­si, più di rado. In Italia, siamo ar­rivati a consumare 42 litri pro ca­pite contro i 45 del 2007 e i 110 de­gli anni Settanta. Per Assoenologi chiuderemo l’anno a quota qua­ranta. Colpa delle campagne an­ti- alcol? Solo in parte. Sul banco degli imputati troviamo piuttosto un marketing fuori bersaglio, che ha esagerato nel promuovere l’al­ta gamma («quanti possono per­mettersi oggi bottiglie da 15 euro?» si chiede Prevarin) e i ’soliti’ rica­richi della ristorazione, che molti­plicano per cinque il prezzo di par­tenza. D’altro canto, è un fatto che dopo l’osteria sia ormai sparito dalle case italiane il bottiglione, i­cona del consumo d’antan. Con i nostri costi del lavoro, i vecchi vi­ni da pasto non sono più remune­rativi (anche se il prezzo medio è passato da 1,77 e 1,83 euro, 2,68 per l’imbottigliato) e l’Europa non può più permettersi di distillare indiscriminatamente le vinacce di troppo. Per questo, negli anni scorsi l’Ue ha deciso di premiare chi accetta­va di estirpare il proprio vigneto (o di potarlo drasticamente, onde ri­durne la produzione) e sempre per questo non si comprende perchè, terminata la dieta dimagrante, Bruxelles voglia aprire una fase di deregulation, cancellando dal 2015 i diritti d’impianto (le quote del vino, istituite nel ’78). «Quella riforma non ci convince» ha sen­tenziato il presidente di Confagri­coltura Mario Guidi, trovando d’accordo gli industriali di Lam­berto Vallarino Gancia (Federvini): «La liberalizzazione non ha sen­so ».