VARIE 7/6/2012, 7 giugno 2012
APPUNTI PER GAZZETTA. ARRESTATO L’ASSASSINO DI MELISSA
DAL CORRIERE DI STAMATTINA
FABRIZIO CACCIA
LECCE — Stavolta è diverso, in viale Otranto a Lecce, alle dieci di sera, davanti alla Questura, arriva Francesco Gratteri, il capo dell’Anticrimine. È il segno che ci siamo. «Sta confessando», suggerisce una voce ben informata. L’interrogatorio è cominciato alle due del pomeriggio. Di certo, stavolta non ci sono fantasmi da inseguire, non è più tempo di falsi allarmi e di caccia alle streghe, stavolta c’è un uomo in carne e ossa che si trova da ieri sera in stato di fermo per la bomba alla scuola «Morvillo Falcone» di Brindisi. La bomba del 19 maggio che ha ucciso Melissa Bassi e i suoi 16 anni. L’uomo si chiama Giovanni Vantaggiato, ha 68 anni, moglie e due figlie. «Sì — ammette finalmente, farfugliando e delirando, dopo più di 10 ore —. Quella bomba l’ho fatta io da solo, l’ho pensata e l’ho costruita, non potevo fare altrimenti...». Fuori dalla sua casa, a Copertino, 20 chilometri da Lecce e 60 da Brindisi, in viale Amerigo Vespucci, s’è radunata una folla stupefatta: «Proprio lui, possibile? È così mite, una brava persona, stamattina è entrato alla Tim per fare una ricarica, sembrava tranquillissimo».
Impressionante, dicono i vicini, la sua somiglianza con l’uomo che si vede pigiare il telecomando nelle immagini riprese dalle telecamere del chioschetto davanti alla scuola. Vantaggiato, di bombole e combustibili vari se ne intende: vende carburanti per uso agricolo, l’impianto di famiglia che fornisce di gasolio le serre del circondario si trova ad appena 500 metri in linea d’aria dalla sua villetta, sulla provinciale per Leverano. E nelle telecamere piazzate tutt’intorno alla scuola di Brindisi sarebbe rimasta impressa anche l’immagine della sua automobile, che passa qualche ora prima dell’attentato delle 7.42.
Errori fatali, che hanno portato sulla strada giusta gli inquirenti. Ma il movente? Un rancore covato a lungo verso il preside della scuola, Angelo Rampino? Forse c’entrano le due figlie di Vantaggiato o la nipote, figlia di suo fratello, che ha pure lui un impianto di carburanti nella zona? C’è un’altra ipotesi, però, che prende corpo: l’uomo voleva vendicarsi contro il Tribunale di Brindisi per una vecchia truffa da oltre 300 mila euro, una fornitura di carburante che non gli era stata pagata oppure la vendita di un immobile a qualcuno che poi invece aveva fatto il furbo.
Qualche settimana prima dell’attentato alla scuola, si era concluso il processo e il giudice non aveva condannato tutti gli imputati. Di qui, la rabbia feroce. Un attentato dimostrativo contro il Tribunale, che sorge alle spalle della «Morvillo Falcone» ma è superprotetto, difeso com’è da mille telecamere. Ecco perché il bersaglio secondario, la scuola. Già, ma che c’entravano Melissa e le altre ragazze? Vittime innocenti di un uomo impazzito, accecato dall’odio. «Non volevo uccidere», ha ripetuto lui fino alla nausea. Ma ha ucciso.
E così: niente mafia, niente Sacra Corona Unita e niente anarchici del Fai. Il capo della polizia, Antonio Manganelli, l’aveva già fatto capire ieri mattina. Copertino negli anni Ottanta era terra di killer, manovalanza armata a disposizione dei Tornese di Monteroni e dei Dell’Anna di Nardò. Ma stavolta la mafia non c’entra. Di sicuro però c’è stato il lavoro silenzioso, accurato, infaticabile di centinaia di uomini di polizia e carabinieri, coordinati dal procuratore di Lecce Cataldo Motta e dal pm di Brindisi Milto De Nozza. «Abbiamo lavorato giorno e notte per Melissa e per le altre ragazze», dicono gli uomini della Squadra Mobile di Brindisi, che ieri mattina sono andati a prelevarlo. Ora stanno cercando di capire se ha agito davvero da solo. Ma dopo tanto dolore, hanno negli occhi il sollievo.
Fabrizio Caccia
MARCO IMARISIO SUL CORRIERE DI STAMATTINA
Ieri Massimo Bassi è tornato al lavoro. Il padre di Melissa, per la prima volta da quel giorno, ha ripreso il suo posto nell’azienda di Taranto dove lavora come piastrellista. Alle 17.30 ha ricevuto una telefonata sul cellulare. Era l’avvocato della sua famiglia, Fernando Orsini. «Guarda che forse ci sono delle novità, qualcuno potrebbe avvicinarti per chiedere cosa ne pensi...».
Dopo cinque ore consumate tra attesa e tensione, perché neppure il lavoro che ricomincia può ridare una parvenza di normalità alla sua vita, Bassi cammina intorno all’isolato di casa con il suo legale, per far passare il tempo, per non illudersi un’altra volta. «Abbiamo già assaporato quel momento» dice. Non c’è nemmeno bisogno di chiedere lumi sulla sua frase.
Il riferimento è al 21 maggio, erano passati appena due giorni dalla morte di Melissa, quando tutto sembrava risolto, c’era una persona sospettata che corrispondeva al profilo dell’assassino, c’era addirittura un movente, peccato non fosse lui, e che abbia rischiato il linciaggio all’uscita dalla questura di Brindisi. «Spero che questa volta siano sicuri» sospira Massimo Bassi. «Io non voglio che a pagare per la morte di mia figlia sia uno che non c’entra niente. Non voglio un colpevole, ma il colpevole». Non cerca vendette, il papà di Melissa. «Sai cosa cambia... Da tre che eravamo nella mia famiglia, sempre due resteremo. Melissa non tornerà comunque».
Ma se davvero ci siamo, il fatidico «giustizia è fatta» potrebbe forse aiutare Rita, sua moglie, la mamma della loro unica figlia. Soltanto giovedì scorso i medici dell’ospedale San Camillo di Mesagne hanno dato l’assenso al suo ritorno a casa. Appena entrata, si è diretta nella stanza di Melissa, dove tutto è ancora come quella mattina. «Se riuscirà a farsene una ragione, ed è difficile che accada — adesso è l’avvocato Orsini che ha ripreso la parola — sarà solo per questo, per avere giustizia». Gli chiediamo del dirigente scolastico del Morvillo Falcone, perché ormai le voci girano sempre più vorticose, del fatto che sarebbe lui, e il condizionale è un dovere, l’oggetto di una assurda vendetta. L’avvocato si consulta con Massimo Bassi. Poi riprende: «Se quell’uomo sa qualcosa, non è certo a noi che deve dirlo». Null’altro. Clic.
Anche la giornata del preside Angelo Rampino è stata segnata da un ritorno. Era dal 29 maggio che non rimetteva piede nella sua scuola. «Ma rimango in ferie, sono solo passato velocemente per avere notizie». Sono le vacanze più amare, le sue, quelle di una persona non grata. Gli inquirenti, forse anche il ministero dell’Istruzione, avevano caldeggiato da parte sua una classica pausa di riflessione. Parlava troppo, e intanto emergevano vecchie storie non proprio commendevoli sul suo conto. «Mi avete massacrato, tutti, e non avete intenzione di smettere».
Molto fiele nella sua voce. Da qualche accenno emerge anche la consapevolezza che quello alla scuola non è un arrivederci, ma un addio. «Eppure io sono certo di non avere nulla a che fare con questo benzinaio. Continuo a pensare alla mia vita, e non ci trovo niente. Non ho nemici, non ho mai ricevuto minacce». Eppure nei suoi confronti l’aria è cambiata fin da subito. Da coraggioso docente di una scuola colpita in modo terribile e persona certo non sospettata, ma che in qualche modo doveva c’entrare con quel che era accaduto. «Non so come sia potuto succedere. Ma anche se ci fosse qualcuno che mi vuole male, perché colpirmi a scuola? Sono un uomo noioso e abitudinario, con una certa tendenza alla puntualità. Sono certo di non essere il bersaglio di una ritorsione. Ma allora, perché? Perché un benzinaio dovrebbe fare un gesto del genere?». È la cosa più importante, l’unica che ancora manca, a quanto pare. È quel che il preside Rampino, la famiglia di Melissa e tutti noi sapremo nelle prossime ore.
Marco Imarisio
GIOVANNI BIANCONI SUL CORRIERE DEL STAMATTINA
Se il filo afferrato si confermerà quello giusto, sarà stato merito delle telecamere. Quella che ha ripreso il presunto attentatore mentre preme il radiocomando che fa esplodere la bomba, certo, ma non solo. Da lì sono state ricavate ulteriori immagini utili, e così da altri impianti della zona intorno alla scuola, compresi quelli installati per controllare il traffico cittadino. Gli investigatori erano alla ricerca di automobili intorno all’istituto tecnico Francesca Morvillo Falcone nelle ore precedenti all’attentato, o subito dopo, per poi risalire ai proprietari attraverso le targhe e verificare se potevano avere a che fare con la bomba. Nella convinzione, maturata dopo i primi giorni di ricerche andate a vuoto, che il dinamitardo non abitasse a Brindisi.
Inizialmente erano state selezionate una cinquantina di macchine, ma attraverso gli accertamenti la rosa s’è via via ristretta fino a concentrarsi su un paio di automobili che facevano capo alla stessa persona: una Hyundai intestata al signor Vantaggiato Giovanni, classe 1944, e una vecchia Fiat Punto, da cui si è risaliti alla moglie. La prima è stata ripresa nei pressi della scuola la mattina del 19 maggio, poche ore prima dell’esplosione; la seconda nella notte, in orari compatibili rispetto a quando — stando alla testimonianza agli atti dell’inchiesta — il dinamitardo avrebbe sistemato il cassonetto con le bombole del gas fatte saltare in aria. Coincidenze interessanti, che consigliavano ulteriori indagini su Vantaggiato. Ed ecco che viene fuori un’occupazione che lo avvicina ulteriormente all’attentato portato a termine con quella particolare composizione dell’ordigno: titolare di una rivendita di carburanti per mezzi agricoli, tra cui gas, gpl e combustibili vari vicino a Copertino, una cinquantina di chilometri a sud di Brindisi.
È un’altra coincidenza che consiglia di approfondire la posizione del personaggio. Si procede al confronto con il video dell’attentatore, dove l’immagine del volto è sfocata e non consente un’identificazione certa. Però ci sono i parametri forniti dalla polizia scientifica sulla statura e l’età della persona: tra un metro e 62 e uno e 64 di altezza, con un margine di errore di due centimetri in più o in meno; età compresa tra i 40 e i 65 anni. Vantaggiato è alto un metro e sessanta, e di anni ne ha 68, ma ben portati. Se non c’è perfetta coincidenza, e dunque non si può parlare di conferme, ce n’è abbastanza per non escludere. Così si decide il controllo sui movimenti e le celle impegnate dal suo telefonino, ed emerge un’altra interessante scoperta: nei giorni precedenti alla tentata strage, il cellulare di Vantaggiato risultava attivo nelle vicinanze della scuola presa di mira, mentre la mattina dell’esplosione no. Un dato che, letto insieme agli altri, può far nascere l’ulteriore sospetto che l’uomo non l’abbia portato con sé proprio per evitare di essere localizzato attraverso gli accertamenti su quella giornata.
Questo insieme di coincidenze si sono trasformati negli indizi che hanno portato investigatori e inquirenti a «stringere» su Giovanni Vantaggiato. E il fatto che per oltre dodici ore non avesse fornito risposte convincenti e utili a uscire indenne da questa storia ha ulteriormente rafforzato l’opinione di essere sulla pista giusta. Con tutta la prudenza del caso, ovviamente. Perché — ad esempio — tra gli elementi raccolti fino a ieri sera nessuno portava al movente della tentata strage. Se non qualche accenno rimbalzato per l’intera giornata, che non ha trovato alcuna conferma, su vecchie questioni irrisolte tra Vantaggiato e la scuola di Brindisi; o tra lui (o qualche suo familiare) e il preside dell’istituto che abita a Trepuzzi, vicino a Copertino, e in passato ha lavorato in una scuola di lì. Nulla di verificato anche dopo le prime, confuse ammissioni notturne del presunto responsabile. Nell’attesa di riscontri, l’unica certezza sulle ragioni dell’attentato resta la sua natura «privata»: niente a che fare con terrorismo o criminalità più o meno organizzata. Come aveva anticipato ieri mattina il capo della polizia.
Giovanni Bianconi
FRANCESCO VIVIANO SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
«Quel bastardo, l´abbiamo preso. Gli abbiamo dato la caccia per giorni e giorni e finalmente ora l´abbiamo scovato. È lui, è lo stesso uomo del filmato, a casa gli abbiamo trovato gli stessi occhiali da vista che indossava quella mattina quando ha premuto il telecomando per far esplodere le tre bombole che hanno ucciso Melissa». «All´inizio ha negato, ma contro di lui ci sono prove schiaccianti». Non nasconde la sua soddisfazione e quella di tutti gli altri colleghi (poliziotti, carabinieri, della squadra mobile di Brindisi, del Reparto operativo dei carabinieri, dello Sco e dei Ros) l´investigatore che ieri mattina ha bussato alla porta di Giovanni Vantaggiato, 68 anni, titolare di un deposito di carburanti a Copertino paese a una trentina di chilometri da Lecce. «Che volete? Io non ho fatto niente», ha detto al poliziotto e al carabiniere che erano andati a prelevarlo per portarlo in questura. A Lecce, lontano da Brindisi, per motivi di sicurezza. Poi, quando da persona informata dei fatti diventa indagato e viene chiamato il suo avvocato, Giovanni Vantaggiato infine confessa: «Sì sono stato io».
Non aveva detto nulla, fino a tarda sera, continuava a negare, ma poco dopo le 23 il procuratore di Lecce Cataldo Motta e i sostituti Di Nozza e Cataldi, firmano un provvedimento di fermo con l´accusa di strage, per avere ammazzato Melissa Bassi, studentessa di 16 anni, e sfregiato a vita altre due ragazzine. Erano le 7.42 del 19 maggio quando esplosero le tre bombole a gas piazzate davanti alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi. Ora, quasi venti giorni dopo, Vantaggiato è davanti agli inquirenti che lo incalzano per ore. E alla fine, quando loro interrompono l´interrogatorio per interrogarlo nuovamente alla presenza del suo avvocato, Giovanni Vantaggiato crolla e fa le prime ammissioni: «Sono stato io».
La svolta che ha portato all´individuazione dello stragista è arrivata ieri mattina, poco dopo le 11. Sono state le sue automobili a tradirlo. Una Fiat Punto di colore bianco che era stata filmata dalle telecamere di via Palmiro Togliatti, viale Aldo Moro e via Galanti alcuni giorni prima della strage, e una Hyundai Sonica azzurra. La prima, la Fiat Punto, è stata utilizzata per un sopralluogo. C´è chi dice anche la notte del 18 maggio, per trasportare le tre bombole di gas e l´innesco. Lui nega pure questo: «Non vado a Brindisi da mesi, non ci metto piede da moltissimo tempo. Quella mattina ero qui, a Copertino nel mio deposito di carburante». Non sa ancora però che la sua auto è stata intercettata dai filmati delle telecamere nella vie adiacenti alla scuola. Mentre la mattina dell´attentato le telecamere riprendono la Hyundai azzurra. Entrambe le macchine sono della sua famiglia. La prima usa prevalentemente la moglie, l´altra lui.
Ma Vantaggiato continua a negare. Poi i magistrati gli fanno notare che le immagini, quelle delle telecamere del chiosco davanti la scuola che lo riprendono mentre fa avanti e indietro e mentre schiaccia il pulsante della morte diffuso da tv e siti internet il giorno dopo l´attentato, corrispondono ai suoi tratti somatici. «Sì, mi somiglia molto, ma quell´uomo non sono io», dice balbettando Giovanni Vantaggiato. «Non sono io, io non ho fatto nulla», continua a ripetere. Ma per chi indaga quel filmato lo inchioda alle sue responsabilità. «L´abbiamo visionato e radiografato decine e decine di volte e stamattina (ieri per chi legge, ndr) quando siamo andati a prelevarlo siamo rimasti sconcertati. Era lui. Tutto corrisponde, anche il tipo di occhiali da vista che indossava quella mattina e che oggi, quando lo abbiamo invitato in questura, ha tentato di nascondere. Un tentativo quasi automatico che però non è servito a nulla. Non solo tutto corrispondeva, altezza e peso per esempio, ma anche l´andatura, la sua camminata particolare con quel braccio destro che tirava sempre i pantaloni in su e lo ha fatto anche mentre lo interrogavamo».
Ma c´è di più, ci sono alcune intercettazioni ambientali e telefoniche che hanno confermato i sospetti degli investigatori, alcune conversazioni con la moglie di Giovanni Vantaggiato dove si intuisce che anche lei sapeva. E c´è un precedente: l´uomo era già stato sospettato di essere il responsabile di un attentato . Il 25 febbraio del 2008 era finito nel mirino degli inquirenti perché ritenuto responsabile di aver piazzato esplosivi sul cestino della bicicletta di Cosimo Parato, a Torre Santa Susanna, vicino Francavilla Fontana. Insomma per gli inquirenti il caso è chiuso e se si sono sbilanciati fino a questo punto vuol dire che non hanno più dubbi su chi sia il responsabile della strage il 19 maggio scorso. A tarda notte, stremato dagli interrogatori e dalle prove schiaccianti nei suoi confronti, Giovanni Vantaggiato dopo aver confessato inizia a raccontare gli assurdi perché della strage.
CARLO BONINI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
«Quel bastardo, l´abbiamo preso. Gli abbiamo dato la caccia per giorni e giorni e finalmente ora l´abbiamo scovato. È lui, è lo stesso uomo del filmato, a casa gli abbiamo trovato gli stessi occhiali da vista che indossava quella mattina quando ha premuto il telecomando per far esplodere le tre bombole che hanno ucciso Melissa».
SONO le auto su cui ha viaggiato questo benzinaio di 68 anni da Cupertino (Lecce), che di nome fa Giovanni Vantaggiato. La notte del 18 maggio per trasportare il suo carico di morte, le tre bombole di gas armate con un congegno a distanza. La mattina del 19, per tornare sul marciapiede della strage e finire il suo lavoro di morte.
È andata insomma come gli investigatori avevano immaginato. Ci sarebbero voluti del tempo e la pazienza di sfinirsi in un lavoro di verifica certosino (14 mila gli accertamenti conclusi fino a ieri) per arrivare al dettaglio che avrebbe tradito il lupo. E quel dettaglio, appunto, è arrivato ancora una volta da telecamere fisse di sorveglianza. Questa volta quelle in servizio per il controllo della viabilità cittadina in un quadrante urbano adiacente alla scuola Morvillo-Falcone. La notte del 18 maggio - in un orario compatibile con le due testimonianze che ricorderanno un uomo vestito con abiti scuri e un cappello armeggiare con un bidoncino di plastica trasparente intorno alla scuola - le telecamere catturano l´immagine di una Fiat Punto che si dirige verso la zona della scuola. Della macchina sono riconoscibili il numero di targa e una caratteristica della carrozzeria che la rende inconfondibile. Poco dopo, una terza telecamera di un esercizio commerciale in una via adiacente alla scuola, mostra quella stessa Fiat parcheggiata. Non si legge la targa, ma la macchina, grazie al dettaglio della carrozzeria, è la stessa. La Punto, intorno alle 3 del mattino, è di nuovo catturata dalle telecamere della viabilità. Marcia in senso inverso, per ritornare dalla direzione da cui proveniva.
È un dato, di per sé non decisivo. Ma che diventa cruciale con altre immagini. Quelle di un´altra macchina. Una Hyundai. Ripresa ancora una volta dalle telecamere della viabilità cittadina intorno alle 7 del mattino, proviene dalla stessa direttrice percorsa la notte prima dalla Fiat Punto. E dopo le 8 (la strage è delle 7.42), percorre la strada in senso inverso. Alla verifica degli investigatori appare immediatamente chiaro che non è una macchina qualunque. Perché la Hyundai e la Fiat sono legate da un dettaglio decisivo. La prima è intestata a Giovanni Vantaggiato, 68 anni all´anagrafe, di mestiere distributore di carburanti anche per uso agricolo in quel di Copertino, provincia di Lecce. La Fiat è intestata o comunque in uso alla moglie, una donna di 65 anni.
Non c´è evidentemente spiegazione logica alternativa alla presenza di quelle due macchine, e per giunta in quegli orari decisamente particolari del 18 e del 19 maggio, che non la considerazione che siano legate a quanto accade sul marciapiede che guarda la scuola. Non c´è ipotesi che possa giustificare un motivo plausibile per cui una coppia di anziani coniugi dovrebbe con il loro "parco auto" domestico aggirarsi nel cuore della notte del venerdì e all´alba del sabato, in una città - Brindisi - lontana dalla campagna del leccese in cui vivono. E per giunta, in un quartiere di scuole e tribunali. La sola spiegazione - concludono gli investigatori - è che Giovanni Vantaggiato sia il lupo che cercano. E che quel cambio di auto sia servito come tentativo di non lasciare traccia evidente della sua presenza sulla scena del crimine.
Afferrato dunque il filo decisivo, come in ogni matassa da sbrogliare, il resto viene da sé. E con una sequenza di evidenze che appaiono subito cruciali. A cominciare dalle celle telefoniche che nei giorni prima della strage collocano il cellulare dell´uomo nella zona della scuola. Per non dire delle sue fattezze. Che per età, altezza (1 metro e 60), modo di camminare, lineamenti, paiono subito collimare con ragionevole certezza con le immagini mostrate dalle riprese della telecamera del chiosco al momento della strage. Anche il suo mestiere dice qualcosa: distributore di carburanti. Una circostanza che spiega il perché della scelta rudimentale delle bombole di gas quale ordigno. Infine, l´ultimo dettaglio. Quando, ieri, polizia e carabinieri bussano alla sua porta, prova goffamente a nascondere il paio di occhiali che aveva sul volto la mattina della strage. Anche quelli fissati dalle immagini della telecamera del chiosco.
Il resto è cronaca della notte. Di un interrogatorio cominciato dopo le 23, con le prime confuse ammissioni che - riferiscono fonti investigative qualificate - sembrerebbe essere il preludio di una confessione. Giovanni Vantaggiato non avrebbe voluto colpire la scuola, ma il non lontano tribunale, per via di una vecchio processo vissuto come un affronto. Almeno così dice. Un primo abbozzo di movente. Vero o falso che sia, lo diranno le prossime ore.
GABRIELE DE MATTEIS
DAL NOSTRO INVIATO
MESAGNE - Una telefonata alle cinque del pomeriggio. La notizia che filtra dalle agenzie. Massimo Bassi è appena tornato a casa. È il secondo giorno di lavoro dopo la tragedia, la morte della figlia Melissa, in un precario tentativo di normalità, quotidianità. «Forse c´è una svolta, forse lo hanno individuato» gli dice Fernando Orsini, amico e avvocato di famiglia. Massimo è cauto, è prudente. Massimo ha smesso anche di pensare a voce alta che lo ucciderebbe, con le sue stesse mani. «Se è lui, se è veramente lui, adesso voglio sapere perché», dice il papà di Melissa.
Ci prova Massimo a capire, a farsi una ragione. Ci prova e pensa a questo benzinaio di Copertino che i telegiornali indicano come il principale sospettato, l´unico nella brutta storia di Brindisi. «Ma se davvero è stato lui, la polizia sicuramente sta lavorando per capire anche il motivo. Aspettiamo, vediamo», ripete a Fernando. Davanti alla tv, nella casa materna, mentre scorrono gli aggiornamenti di Chi l´ha visto?, Massimo attende notizie. E nonostante tutto non manifesta rabbia. Incredulità, forse. «Ma siamo sicuri sia lui ? Hanno le prove?», chiede. Perché è questo che non vuole Massimo, che non vuole neanche Rita, la moglie, la mamma di Melissa che ha ripreso con fatica a vivere, che è tornata a casa. Per la prima volta dopo la morte della figlia accende la tv, per guardare i tg. Rita e Massimo si abbracciano. Non vogliono un errore, un uomo sbattuto in prima pagina, un "mostro" per un giorno. «Non voglio un colpevole, voglio il colpevole», dice Massimo.
Il colpevole, forse, è un uomo di Copertino. Un benzinaio. Lo dicono i telegiornali, lo ipotizzano almeno. Selena, la migliore amica di Melissa, è appena tornata dall´ospedale. È andata a trovare Azzurra. Lo fa ogni giorno, lo stesso tragitto, un percorso che dal giorno delle dimissioni non cambia. Casa, cimitero, ospedale. Selena lo ha visto in tv che forse l´autore dell´attentato ora ha un nome. Ed è diventata subito nervosa, arrabbiata. Ha cominciato ad agitarsi, ad essere irrequieta. «E perché lo ha fatto? Perché ha messo quelle bombole di gas?» chiede al padre e alla madre lei che ha sedici anni e che, dal giorno dell´esplosione, ha cominciato ad avere paura.
Lei che ora, racconta il padre, «vuole essere accompagnata anche sulla porta del bagno, prima invece rimaneva anche sola in casa, non si spaventava per niente». Ora ha terrore di tutto, ora rivede continuamente le immagini dell´esplosione, di Melissa che non c´è più. «Non vuole più neanche tornare a scuola. Dice che senza Melissa non ha senso. Speriamo – racconta la madre – Speriamo anche che lo prendano, che non si siano sbagliati. Ci tengono costantemente aggiornati, ma per il momento non ci possiamo sbilanciare. Certo se veramente è lui, chissà cosa gli è passato per la mente. Chissà qual è stato il motivo».
Se lo chiede anche il preside della scuola "Morvillo Falcone". Angelo Rampino dice: «È impossibile che qualcuno possa aver pensato di fare un gesto del genere per colpirmi in qualche maniera, non c´è nessuno che può avercela con me. Non ho nemici e di sicuro non ho come nemico nessun titolare di pompe di benzina». Lui che ha smesso di essere capo d´istituto della "Morvillo Falcone" perché, all´indomani dell´attentato, ha rilasciato molte dichiarazioni, considerate fuori luogo degli investigatori, e perché è venuta fuori una storia di molestie che lo riguarda, ora, prende le distanze. E nega che il benzinaio di Copertino, il sospettato numero uno, sia venuto a Brindisi perché c´era lui alla guida della scuola.
Del resto era stato lui, parlando con i giornalisti, ad escludere che la chiave dell´attentato fosse nell´istituto. Era stato lui a dire con assoluta certezza: "La scuola non c´entra". Saranno le indagini a dire se aveva ragione il preside, che a Brindisi è arrivato da Trepuzzi, dalla provincia di Lecce, proprio come l´autore della tragedia. E chissà che questa non sia soltanto una coincidenza. Una casualità o l´indicazione di un possibile movente.
GIULIANO FOSCHINI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
ROMA - In principio, accanto al dolore, c´era stata la paura: sono tornate le bombe, sono tornate le stragi, è tornata la tensione. Radunati sotto quel cartellone enorme e insieme spaventoso per quello che rappresentava, scuola "Francesca Morvillo Falcone", i migliori investigatori italiani poche ore dopo lo scoppio cercavano di trovare una spiegazione a una storia che non poteva rimanere troppo a lungo senza un perché: una ragazza morta, quattro in gravissime condizioni in ospedale, una nazione sotto shock, improvvisamente di nuovo muta davanti a una televisione a guardare pezzi di vite normali (zaini, diari, storie di figlie e nipoti) mandati in mille pezzi da una bomba senza alcun senso.
Chi è stato? E perché lo ha fatto? La prima grande paura era stata quella della criminalità organizzata. Una nuova bomba della mafia davanti alla scuola che portava il nome di un simbolo dell´antimafia. Eravamo a pochi giorni dall´anniversario della strage di Capaci, quella mattina la carovana antimafia di Don Ciotti sarebbe passata proprio da Brindisi. Le ragazze colpite erano di Mesagne, la città del Salento dove la Sacra corona unita fa paura più che altrove: avevano appena fatto saltare in aria l´auto del presidente dell´associazione anti-racket ed erano finiti in carcere i nuovi capibastone della zona. Già dopo 24 ore la pista agli occhi degli investigatori, pur senza essere abbandonata, sembrava essersi sgonfiata: la Scu non aveva motivi e forza per sfidare lo Stato, come ripetevano dal carcere e dai paesi tutti i referenti dal clan. La Scu non avrebbe mai utilizzato bombole del gas per una strage, con tutto l´esplosivo che ha storicamente a disposizione.
La seconda grande paura era quella del terrorismo. Il ricordo delle pallottole di Genova (firmato Fai) era fresco e la modalità sembrava figlia proprio della strategia della tensione: una bomba, sofisticata ma anche artigianale, innescata a distanza davanti a una scuola. Non è mai arrivata però alcuna rivendicazione e non c´era sentore di nessuna azione di questo genere negli ambienti anarchici, né in quelli dell´estrema sinistra o dell´estrema destra. La pista che era sembrata subito la più calda era stata quella che girava attorno alla scuola. Un pazzo, qualcuno che avesse motivi di risentimento verso quell´istituto, verso il suo dirigente o qualcuno dei professori. Poi è arrivato il colpo di fortuna, seppur sfregiato dalla sbagliata gestione mediatica: il video riprendeva l´attentatore. C´era una pista. E nella frenesia del momento c´è stata anche una serie di errori con sospettati portati in questura per essere interrogati e subito dipinti da siti e televisioni come mostri. «Il fatto che l´attenzione mediatica si sia spostata da Brindisi è stata una grande fortuna» ragiona oggi un investigatore. «Abbiamo lavorato. E lo abbiamo fatto bene». Il dolore è lo stesso. Forse però ora si può avere meno paura.
CARMINE FESTA SULLA STAMPA DI STAMATTINA
«Ho preparato e messo io quella bomba». È Giovanni Vantaggiato, titolare di un deposito di carburanti agricoli di 68 anni, abitante a Copertino - nel Salento, tra Brindisi e Lecce - l’uomo ritenuto il responsabile dell’attentato compiuto sabato 19 maggio alle 7.38 del mattino davanti alla scuola superiore «Francesca Laura Morvillo Falcone» di Brindisi in cui ha perso la vita Melissa Bassi, 16 anni, mentre altre sue sette compagne di scuola sono rimaste gravemente ustionate. L’uomo è stato fermato ieri sera dopo essere stato interrogato a lungo per tutta la giornata in questura a Lecce. All’interrogatorio ha preso parte il procuratore della Direzione distrettuale antimafia Cataldo Motta. Nella tarda serata la confessione.
Vantaggiato, sposato e padre di due figlie, è stato incastrato da alcuni video nei quali compare in prossimità dell’istituto poco prima dell’esplosione delle bombole di gas tenute insieme da un innesco comune. Altri video hanno ripreso un’auto intestata a sua moglie che è transitata più volte sulle strade del polo scolastico poco prima dello scoppio assassino.
È la pista locale, dunque, a dare un nome ed un volto allo stragista che ha ucciso Melissa e ferito gravemente le sue compagne di scuola. Escluso il terrorismo, la strategia della tensione, esclusa anche la pista che aveva portato ad ipotizzare un’azione degli anarcoinsurrezionalisti del Fai.
Nella notte restano però ancora molti dubbi sul movente. Nel corso della giornata si sono inseguite diverse voci, nessuna delle quali confermata ufficialmente: vendetta privata per problemi di debiti o risentimento verso il preside della scuola Angelo Rampino. O, ancora, che alla base del gesto di Vantaggiato ci fosse una truffa subita da oltre 300 mila euro. Qualche settimana prima della strage, infatti, era arrivato a conclusione al tribunale di Brindisi - che si trova proprio alle spalle della scuola - un processo che vedeva coinvolto come vittima il titolare del deposito carburanti di Copertino. Vantaggiato sarebbe rimasto vittima di una truffa di oltre 300 mila euro per una fornitura di carburante e si sarebbe sentito vittima di malagiustizia, poiché il processo non era finito con la condanna di tutti gli imputati. La decisione di prendere di mira la scuola sarebbe stata assunta, dunque, senza alcun motivo specifico riconducibile all’istituto ma solo per evitare le misure di sicurezza al palazzo di Giustizia.
L’altra ipotesi è che il benzinaio 68 enne possa aver agito per rancore nei confronti del preside dell’istituto «Morvillo», Angelo Rampino. Il dirigente scolastico, che abita a Trepuzzi, nel 2003 ha patteggiato una condanna per abusi sessuali ai danni di una trentenne sua vicina di casa. Altre ipotesi si riferiscono a vicende familiari nelle quali sarebbe coinvolto il preside. Avrebbe potuto essere lui, insomma, l’uomo che l’attentatore voleva punire. Ha pagato Melissa mentre altre sue compagne di scuola sono ancora ricoverate in gravi condizioni. Tra tutte, la più grave resta Veronica Capodieci, 15 anni, che al momento dello scoppio era poco lontano da Melissa investita in pieno dall’esplosione. Veronica è stata ricoverata prima a Brindisi poi a Lecce, ora è a Pisa dove è in cura per riprendersi dalle ustioni e dalle fratture.
NICCOLO’ ZANCAN SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Eadesso bisognerebbe trovare il coraggio di ammetterlo. Scusate, c’eravamo sbagliati tutti. Non c’entrano i servizi segreti deviati, non sono stati i fantasmi tragici e sempre vivi di questo Paese. Non la mafia, neppure il terrorismo. Ma la vendetta delirante di un uomo di 68 anni, titolare di un deposito di carburanti, che si sentiva vittima di un’ingiustizia. È stata una vendetta, insomma. Follia. Movente privato. Geografia ristretta. Tutta la storia dell’attentato di Brindisi si consuma nel raggio di 64 chilometri, nel triangolo compreso fra i Comuni di Copertino, Torre Santa Susanna e Trepuzzi. Tutto sbagliato. Tutto diverso. Due moventi plausibili. O ritorsione contro il preside della scuola di Brindisi per una vecchia storia ancora oscura, o fregatura economica patita. Un danno da 300 mila euro, non riconosciuto dalla giustizia italiana. Fosse vera questa seconda ipotesi, neppure l’istituto intitolato a Francesca Laura Morvillo Falcone c’entrerebbe. La bomba che ha ucciso Melania Bassi e ferito cinque compagne di classe sarebbe stata per i giudici. Doveva quindi sfregiare il Tribunale che sta nella strada parallela, a due minuti di distanza. Assurdo. Eppure… Se su questa ricostruzione non abbondiamo ulteriormente con i condizionali, è solo perché ieri sera alle 23 i pm Cataldo Motta e Milito De Nozza stavano firmando un provvedimento di fermo. Si chiama Giovanni Vantaggiato, fa il benzinaio a Copertino. Contro di lui ci sono quelli che vengono definiti «indizi significativi e concordanti». La sua Fiat Punto è stata ripresa dalle telecamere del Tribunale di Brindisi nei giorni precedenti l’attentato. La materia prima usata per confezionare la bomba sarebbe compatibile con alcuni reperti sequestrati nel suo deposito. Ha una fisicità molto simile a quella dell’uomo immortalato nel famoso e terribile video, mentre preme il telecomando. Ci sarebbe anche un’intercettazione telefonica in cui il benzinaio parla con la moglie, a tradirlo. Sette ore sotto torchio. Alla fine, cede. E così inizia il suo racconto: «Ho dovuto farlo». Però, calma. Questa storia ha insegnato soprattutto a riconsiderare la prudenza.
Eppure già a metà mattina si è capito che poteva essere una giornata diversa dalle altre. Quando il capo della polizia Antonio Manganelli è intervenuto alla Scuola Interforze, ha usato parole perentorie: «Sull’attentato di Brindisi ho sentito tante sciocchezze. Non c’entra il terrorismo degli anarcoinsurrezionalisti e non c’entra la mafia, che in questo momento non è in grado di porsi in contrasto con lo Stato. Avremo le risposte sul movente, quando sarà arrestato il responsabile. E sono sicuro che ci arriveremo». Sembrava qualcosa di più di una dichiarazione d’intenti. E alle 16,27 i dubbi hanno iniziato a diradarsi. L’Ansa batteva la notizia da Roma - particolare importante - citando «fonti qualificate»: «Imminente una svolta nell’indagine sull’attentato di Brindisi».
Diciotto giorni dopo. Da quella scena agghiacciante ripresa dalle telecamere di un chiosco di bibite e panini: un uomo con la camicia bianca e la giacca scura tira fuori il telecomando dalla tasca e lo punta verso l’ordigno. In quel momento è appena arrivato il pullman della scuola da Mesagne. Poi tutto trema, sventola la tenda parasole. In quel momento sta morendo Melissa Bassi, 16 anni, che voleva andare a farsi interrogare, anche se quella mattina non si sentiva bene. Sono passati diciotto giorni, ma sembra un’era geologica. Non c’è nessuno davanti alla questura di Brindisi, pronto a linciare il colpevole. Nessuno neanche davanti alla procura di Lecce. È stata troppo brutta la caccia alle streghe nei giorni successivi all’attentato, che ha preso un po’ tutti come una specie di virus. Ora i colleghi delle televisioni locali tengono toni bassi: «Sotto torchio potrebbe esserci il responsabile dell’attentato». Rimbalzano dubbi. Accelerazioni e smentite. Ma sul movente, no. Ormai si sbilanciano tutti. «Non c’entra la politica, neppure la mafia e il terrorismo», dice un investigatore che ha seguito tutta la storia. È stata la vendetta di un uomo solo che si sentiva tradito dal mondo.
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"Ho fatto tutto da solo, non so perché. Ho fatto esplodere la bomba di giorno perché di notte non c’era nessuno". "Ho avuto un colpo di testa, che volete fare?". Questo ha detto Giovanni Vantaggiato, il killer di Brindisi, agli inquirenti cui ha confessato la strage. Lo ha raccontato il procuratore della Dda di Lecce, Cataldo Motta, che ha sottolineato le "finalità terroristiche del gesto". "Perché lo scopo di gettare nel terrore l’Italia intera lo ha perfettamente raggiunto". Il procuratore ha parlato di alcuni dettagli dell’arresto, altri filtrano da chi si occupa delle indagini. Come i particolari della confessione. Il papà di Melissa: "Ha rovinato la mia e la sua famiglia, ma giustizia è fatta".
"CE L’HA CON IL MONDO" - "Sul movente, questo signore non ha voluto dire alcunché - ha aggiunto Motta - solo indicazioni generiche. Se ci fermassimo qui sarebbe un’indagine zoppa. Ma sicuramente Vantaggiato non è organico a organizzazioni". "I risultati - ha spiegato ancora Motta in conferenza stampa, dopo il fermo della notte scorsa - sono stati tempestivi, ma non esaustivi". Il procuratore ha ribadito che l’uomo è il titolare di un deposito di carburanti. Il movente è quello che manca. "Ha accennato a problemi economici, ma non si capisce come questo sia collegabile a un gesto talmente eclatante". Vantaggiato ha raccontato "di avercela con il mondo, vediamo se si tratta di quello giudiziario".
"LA BOMBA CON POLVERE PIRICA, L’HO FABBRICATA IO" - "La bomba l’ho fabbricata io nel deposito. Ho comprato fuochi d’artificio e li ho svuotati mettendo dieci chili di polvere pirica in ciascuna bombola". Questo avrebbe ammesso Giovanni Vantaggiato durante l’interrogatorio. "Le bombole - ha detto ancora l’imprenditore - le ho portate la sera prima con la Fiat Punto sul luogo dell’attentato. La mattina dopo sono andato lì con la Hyundai (l’altra auto di famiglia, intestata alla moglie, ndr) e ho pigiato il telecomando".
VANTAGGIATO IN CARCERE: "QUANTO STARO’ QUI?" - "Quanto tempo dovrò stare qui?", è l’unica domanda che Vantaggiato ha fatto nel carcere di Lecce. L’uomo mantiene "un atteggiamento remissivo, passivo".
INCASTRATO DALLE AUTO RIPRESE DALLE TELECAMERE - A incastrare l’assassino, ha spiegato il magistrato, sono stati i filmati delle due auto parcheggiate nei pressi della scuola. "Vantaggiato ha competenze elettrotecniche più che elettroniche - ha proseguito Motta - ha una condanna per truffa per piccoli episodi, risalenti nel tempo", "non si può escludere la presenza di un complice".
LA FINALITA’ TERRORISTICA - All’uomo è stato contestato anche il concorso in strage aggravata dalle finalità di terrorismo "per coprire ogni eventualità". Certamente la bomba l’ha messa lui. "E’ lui - ha assicurato Motta - l’autore dell’ordigno, ed è capace di intendere e volere". "L’indagine - ha concluso il procuratore - è a un punto di partenza, cosa che ci permette di andare in una determinata direzione. Ora abbiamo una pista privilegiata e continuiamo su questa strada".
LE PERQUISIZIONI - In magistrato ha confermato: "Da questa notte sono in corso perquisizioni ma il telecomando che ha azionato l’ordigno non è stato trovato". A quanto si apprende, in particolar modo il deposito di carburante di Copertino (FOTO) di proprietà dell’uomo in queste ore è passato al setaccio dagli investigatori. Anche le due auto usate da Vantaggiato e immortalate dalle telecamere, che hanno costituito una traccia fondamentale, sarebbero state sequestrate e sottoposte ad approfondita analisi.
LA CONFESSIONE, MA MANCA IL MOVENTE - "Non appena si arriva a parlare del movente - dice un investigatore che ha interrogato l’uomo - si chiude e non fornisce versioni plausibili". Nel corso dell’interrogatorio Vantaggiato ha ammesso le sue responsabilità per quanto riguarda tre aspetti dell’attentato: il confezionamento della bomba, il trasporto dell’ordigno davanti alla scuola e l’utilizzo delle due auto, l’aver premuto il pulsante che ha attivato la bomba. Nulla, invece, sul perché. Ed infatti gli investigatori e gli inquirenti, dopo aver raccolto la sua confessione su questi aspetti, si stanno concentrando sul movente e sulla scelta del luogo. Non escludendo che possa non aver agito da solo e che la reticenza di Vantaggiato possa essere una scelta precisa per nascondere qualcosa o qualcuno a lui molto vicino. Anche per questo non convince investigatori ed inquirenti l’ipotesi che l’uomo sia stato mandato da qualcuno: troppi gli errori commessi e troppo a rischio il soggetto. "Andiamo avanti scientificamente, cercando di ricollocare il tutto partendo dai fatti certi ed accertati - dice un investigatore - per arrivare ai perchè. E arriveremo anche a quello".
RIAPERTE LE INDAGINI SU PRECEDENTI ATTENTATI - Vantaggiato aveva subito in passato una truffa da oltre 300mila euro per forniture di combustibile non pagate, e una delle ipotesi sul movente del gesto è che abbia agito per vendetta nei confronti della giustizia, per ’protestare’ contro il Tribunale di Brindisi, al quale si sarebbe rivolto senza, a suo giudizio, ottenere giustizia. Il presunto responsabile della truffa, un imprenditore agricolo di Torre Santa Susanna, nel Brindisino, avrebbe poi subito due attentati. Il primo nel 2008, scampando all’esplosione di un ordigno realizzato con una bombola di gas, collocato nel giardino della sua abitazione. L’uomo rimase ferito gravemente al torace e all’addome. Il secondo episodio risalirebbe allo scorso anno, con un incendio della sua autovettura, un’Audi A8, in sosta nel centro di Torre Santa Susanna. Ora gli investigatori starebbero nuovamente indagando anche sulle due vicende.
IL PAPA’ DI MELISSA - "Questa persona non so nemmeno come chiamarla, non riesco a trovare il termine giusto. Per me è come se non esistesse". Massimo Bassi parla nella sala consiliare del Comune. Con lui anche la moglie, dimessa da poco dall’ospedale. "Immagino questi 20 giorni che ha trascorso con la sua famiglia, con le sue figlie, ha mangiato insieme e come tutti gli italiani avranno commentato la notizia dell’attentato. Per me questa persona, sempre se la possiamo definire persona, non è un padre. Ha spezzato la mia famiglia, ha spezzato anche la sua famiglia e coinvolto un sacco di altri ragazzi in questa brutta esperienza"
CONFERENZA STAMPA DI MASSIMO BASSI SU REPUBBLICA.IT
"Comincio da un grazie". Ha la voce che trema, non ce la fa ad andare avanti. Non trova le parole, gli restano in gola. "Non lo so, non lo so", ripete. E’ confuso, è addolorato. Papà Massimo, il padre di Melissa Bassi, la 16enne uccisa nell’esplosione della scuola Morvillo Falcone di Brindisi parla davanti ai giornalisti dopo il fermo di Giovanni Vantaggiato, l’autore dell’attentato del 19 maggio in carcere con l’accusa di strage con finalità terroristica. Con lui, nella sala consiliare del Comune di Mesagne, c’è anche la moglie. E’ da poco uscita dall’ospedale, dove è stata ricoverata una decina di giorni fa, incapace di riprendersi dallo shock della perdita della figlia.
"Non capisco come questa persona, se così la possiamo chiamare, possa aver fatto una cosa del genere", dice il marito, cercando dentro di sé la forza per pronunciare poche parole per la stampa. "Non è un padre - continua Massimo Bassi - ha spezzato la mia famiglia e la sua. E quelle di tutti gli altri ragazzi coinvolti in questa brutta esperienza". Poi si ferma, come se avesse finito il fiato, con occhi di chi ha finito le lacrime. "Non riesco a dire niente". Un pensiero, o un incubo, che forse gli è balenato più
volte davanti durante queste settimane: "Immagino che cosa abbia fatto in questi 20 giorni, lo immagino mentre sta con la sua famiglia, con le figlie, magari hanno parlato anche di quello che è successo".
"Non ho mai pensato che potesse esserci la mafia dietro cose del genere", ha detto il padre di Melissa davanti alle telecamere e ai flash. "C’è sempre uno squilibrato in fatti così. Mia moglie mi ha dato la forza, e mia figlia. Melissa voleva che ci volessimo bene. Era solare, piena di vita, educata". "Per me questo uomo non esiste - dice dell’assassino - se lo incontrassi lo ignorerei. Ho sempre avuto fiducia nella giustizia, ho sempre creduto nel lavoro degli inquirenti. Gli stessi che ha ringraziato tanto. "Che pena mi aspetto? Che dire, ha già 68 anni. Giustizia è fatta".
(07 giugno 2012)
FRANCESCO VIVIANO SU REPUBBLICA,IT
E’ LUI, ha confessato. E’ un uomo di 68 anni l’autore della strage della Morvillo Falcone. Nei suoi confronti è scattato poco dopo le 22 un provvedimento di fermo firmato dai magistrati Cataldo Motta e Milto De Nozza. E’ il proprietario di un deposito di carburanti di Copertino, in provincia di Lecce. Si chiama Giovanni Vantaggiato. E’ accusato di strage, aggravata dalla finalità di terrorismo. Avrebbe agito per vendetta nei confronti della giustizia: secondo le ultime ricostruzioni, l’obiettivo dell’uomo sarebbe stato il tribunale non lontano dalla scuola.
La sua automobile, una Fiat Punto, è stata filmata a più riprese nei pressi dell’istituto Morvillo Falcone quel sabato 19 maggio, quando alle 7,45 l’esplosione di tre bombole del gas causò la morte della sedicenne Melissa Bassi e il ferimento di altre cinque studentesse, e nei giorni precedenti. Ma altri riscontri hanno indirizzato gli inquirenti sulle sue tracce. In primo luogo la somiglianza spiccatissima con la persona ripresa dalle telecamere del chiosco vicino alla scuola. E poi una contraddizione che sarebbe stata verificata tra alcune delle sue affermazioni agli inquirenti e il contenuto dell’intercettazione di un dialogo con la moglie. Tra le immagini
registrate dalle telecamere - secondo indiscrezioni - anche quella di un’altra auto, riconducibile alla famiglia del fermato.
Vantaggiato avrebbe agito per colpire la giustizia, perché in passato aveva sostenuto un processo per una truffa subita, senza però riavere il denaro che aveva perso. Le tre bombe avrebbero dunque dovuto colpire il Trinunale di Brindisi. La scuola Morvillo si trova a 200 metri dal Palazzo di Giustizia. Ma su questo fronte, il procuratore della Dda di Lecce Cataldo Motta rimane incerto: "Il movente non convince, la confessione su questo punto non è
soddisfacente, per cui le indagini comunque continueranno per completare il quadro investigativo".
Il fermato, ha poi aggiunto Motta, avrebbe fabbricato da solo l’ordigno. "Non sappiamo se è l’uomo del video - ha concluso il procuratore della Dda di Lecce - non lo si può dire, fisicamente può essere compatibile"
Tra le prime ipotesi circolate, anche quella di una vendetta nei confronti del preside Angelo Rampino, che raggiunto al telefono dai cronisti aveva subito scartato questa possibilità: "Non c’è nessuno che possa aver motivo di avercela con me... Non ho nemici, e di sicuro non ho come nemico nessun titolare di pompe di benzina". Rampino ha sempre escluso che la scuola fosse l’obiettivo dell’attentatore, “la scuola non c’entra”, aveva detto ai giornalisti mentre gli inquirenti scavavano nelle stanze, nei registri, nella storia dell’istituto alla ricerca di un possibile movente. Per Rampino è già stato disposto l’allontanamento dall’istituto.
Che qualcosa si stesse muovendo sul fronte delle indagini l’aveva lasciato trasparire stamattina il capo della Polizia Antonio Manganelli, mettendo una serie di paletti alle ipotesi che circolavano sull’attentato. "Non c’entrano né la mafia né gli anarchici", aveva esordito rivelando che il giorno della tragedia "i detenuti della Sacra corona unita hanno inviato un telegramma di solidarietà alla famiglia di Melissa: un segnale specifico per dire noi non ci entriamo". E anche per quanto riguarda la Fai, "faccio fatica a immaginare - aveva detto Manganelli - che sia opera loro un attentato così vigliacco". "Arriveremo a chi è stato", aveva però garantito il capo della Polizia. Una previsione che evidentemente era qualcosa di più che una speranza.
(06 giugno 2012)
S’È OCCUPATO DEL SUO YACHT (REPUBBLICA.IT)
Nei ritagli di tempo, dopo la strage, ha continuato a coltivar il suo hobby principale: la cura dello yacht da 50 piedi ormeggiato nella darsena di Porto Cesareo. A raccontarlo è un artigiano di Copertino, un tappezziere, che fa molti lavori sulle barche della zona e che un anno fa aveva avuto come cliente anche Giovanni Vantaggiato, in carcere per l’attentato esplosivo alla scuola di Brindisi. "Più che dalla somiglianza, che c’è - dice il tappezziere - l’ho riconosciuto dal portamento e da quell’abitudine di portare la mano in tasca".
Copertino come Avetrana, precipita nell’orrore. Quando, nel tardo pomeriggio, si diffonde la notizia che il killer del Morvillo-Falcone è uno del posto, il paese si ferma, trattiene il fiato. Il tappezziere racconta che ieri sera, quando rientrando a casa per la prima volta ha visto le immagini del filmato che ritraggono l’attentatore che mentre preme il telecomando e fa esplodere la bomba dinanzi alla scuola, ha subito pensato che potesse trattarsi di Vantaggiato. Un uomo schivo, riservato, ma non scontroso, un solitario che per lo più lavorava sempre nella sua azienda e che il sabato e la domenica si dedicava ai lavori sulla barca. "L’ho visto proprio martedì scorso - dice - stava facendo i lavori di pulizia della carena che si fanno annualmente prima di rimettere la barca a mare e partire per le vacanze. Lavorava da solo, era tranquillo, nessuno avrebbe potuto immaginare il peso che ha sulla coscienza".
Giovanni Vantaggiato, 68 anni, piccolo imprenditore attivissimo nel commercio della nafta per mezzi agricoli, che negli anni ’80 gli aveva guadagnato una fortuna. Moglie di poche parole anche lei, Giuseppina Marchello, Pina la chiama la gente del posto. "Gran lavoratrice", giura Rossella la vicina di casa, "una famiglia tranquilla". Forse solo "assai riservata". I vicini a un passo dal civico cinque di via Amerigo Vespucci, di quella famiglia riservata sanno poco. "Ma non somiglia per niente a quello del video", dicono in coro. "Ma il video era sfocato", obietta qualcuno. Eppure è qui che il presunto killer del Morvillo-Falcone ha trascorso tutta la vita in perfetto anonimato, schivo e tranquillo, come era nei giorni seguenti alla strage delle ragazze di fronte alla scuola. Moglie, due figlie, "ragazze perbene, tutt’e due laureate". Lui? "Un tipo scontroso - dicono altri - buongiorno e buonasera. Ma chi se la poteva immaginare una cosa così?". Marco Nobile, un altro vicino di casa, nipote del calciatore nerazzurro Salvatore Antonio Nobile, gloria dell’Inter di fine anni Ottanta, copertinese di razza. "Possibile che sia lui?", sospira Maria. Fra le case basse del paese salentino, 25mila anime, non si sentono altro che le cronache minuto per minuto dai monitor accesi. I curiosi arrivano a frotte, puntuali, tenuti a distanza dai carabinieri dell’Arma al comando del capitano della compagnia di Gallipoli Stefano Tosi, che hanno sbarrato il transito in via Vespucci presidiando ogni angolo dell’intero quartiere. Dentro la villetta al civico cinque, gli uomini del Servizio centrale operativo della polizia e i militari del Ros stanno rivoltando ogni angolo, in cerca di indizi, di prove. Ma non è solo per proteggere il lavoro degli investigatori che sono state sbarrate le strade, dentro la villa stanno asserragliate le donne di casa Vantaggiato: "Qua si teme il linciaggio", dice a bassa voce un maresciallo.
Un presidio interforce di carabinieri e polizia fa picchetto di fronte all’azienda, sulla provinciale che da Copertino porta a Leverano, a un chilometro dal paese. E’ qui che l’assassino accusato di strage con finalità terroristiche, ha fatto fortuna. La piccola impresa era nata a metà degli anni Settanta, Giovanni Vantaggiato si era messo in società con uno dei due fratelli (l’altro è professore in pensione), vendevano benzina agricola, uno dei settori di punta dell’economia locale, florido finché l’agricoltura stessa ha resistito. La nafta destinata all’alimentazione dei trattori veniva usata anche per far andare le automobili, e il commercio illecito proliferava, tanto quanto i blitz della finanza. Il futuro killer aveva sempre lavorato a testa bassa, lesto a far di conto, aveva accumulato un capitale, investito in parte in titoli e azioni. Fino a che non era rimasto vittima di una truffa a cinque zeri: ben 300mila euro di forniture non pagate da un imprenditore del Brindisino, precisamente di Torre Santa Susanna. Starebbe qui l’antefatto che ha scatenato la follia assassina. La lite fra imprenditore e acquirente, ciascuno con le proprie ragioni, era approdata in tribunale, quello di Brindisi, il palazzo di giustizia alle spalle del Morvillo-Falcone. Un lungo processo, fino a che la sentenza non aveva riconosciuto il credito di Vantaggiato, ma solo in parte. Uno smacco indigesto, forse degenerato in rancore contro lo Stato. Fino all’escalation di follia omicida esplosa contro ragazzine innocenti.
In una esplosione gemella a quella che ha ucciso Melissa ha rischiato di morire anche il debitore torrese, vittima di due attentati rimasti - ad oggi - senza autore. Il primo risale al 2008, quando una bomba deflagra fuori dall’uscio di casa, nel momento esatto in cui l’uomo varca la soglia. L’esplosione gli spappola addome e petto, trascorre mesi fra la vita e la morte, alla fine si salva. Nel frattempo gli investigatori altro non riescono a scoprire se non che l’ordigno è stato azionato con un telecomando a distanza. A maggio dello scorso anno, il secondo colpo, tuttora rimasto impunito: qualcuno appicca il fuoco, distruggendo l’auto di proprietà del torrese, un’Audi A6. La gente di Copertino fatti e antefatti li ignora. Del benzinaio contabile sa solo che da un pezzo era "caduto in disgrazia", ma che "di certo non gli mancava il campare".
Se tanto basta a trasformare un uomo in stragista. "Non riusciamo a crederci, non ho parole", si stringe nelle spalle un altro vicino di casa, residente al civico 3 di via Amerigo Vespucci, tre metri di distanza dalla casa del killer. Un omone alto, dall’espressione cordiale: "Sono Tommaso Leo, assessore alle Attività produttive". "Che posso dire?", si chiede, "che siamo tutti sconvolti. Un uomo perbene, un uomo normale. Riservato, certo, di poche parole. Pensi che io abito qui da vent’anni e non gli mai sentito dire più di un buongiorno. Non siamo così i salentini, non è così la gente del Sud. Ma per il resto, niente di strano". I capannelli di curiosi intorno alla casa del "mostro" intanto si ingrossano. Ragazzini, soprattutto. Adolescenti, come Melissa Bassi. Uno, più grosso degli altri, occhiali e gel fra i capelli domanda: "Ma arriveranno le telecamere, domani, come per Sarah Scazzi?".
(07 giugno 2012)