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 2012  aprile 23 Lunedì calendario

Anno IX – Quattrocentoventunesima settimana Dal 16 al 23 aprile 2012Francia Risultato delle elezioni presidenziali francesi di domenica scorsa fino a circa metà dello scrutinio: François Hollande 28,63%, Nicolas Sarkozy 27,8%, Marine Le Pen 18,1%

Anno IX – Quattrocentoventunesima settimana
Dal 16 al 23 aprile 2012

Francia Risultato delle elezioni presidenziali francesi di domenica scorsa fino a circa metà dello scrutinio: François Hollande 28,63%, Nicolas Sarkozy 27,8%, Marine Le Pen 18,1%. François Hollande è il candidato socialista: in tutto il dopoguerra un solo socialista ha vinto le presidenziali, François Mitterrand nel 1981. La terza classificata Marine Le Pen, 44 anni, è la figlia di Jean-Marie Le Pen, che andò al ballottaggio nel 2002 contro Chirac: come il padre, è razzista e rappresenta bene l’opinione dell’estrema destra. Questo suo 18 per cento è il risultato più importante nella storia del partito, il Front National (suo padre nel 2002 prese il 16,86).

Ballottaggio Come i lettori forse già sanno, un risultato elettorale come quello descritto sopra non fa vincere nessuno. Il presidente della Repubblica francese si sceglie con un sistema maggioritario a doppio turno: nella prima domenica corrono in tanti (stavolta erano in dieci) e se nessuno raggiunge il 50% dei voti + 1, dopo due settimane si disputano la vittoria i primi due classificati, nel nostro caso Hollande e Sarkozy. Sarkozy, come si sa, è il presidente uscente e tutte le previsioni della vigilia lo davano per finito. Il voto dice invece che la partita è ancora aperta e che la decideranno soprattutto gli elettori di Marine Le Pen, la quale non darà indicazioni di voto ai suoi supporter. In teoria, le probabilità maggiori sembrano di Sarkozy: il voto della sinistra, considerato tutto insieme, supera a stento il 40%. Ai 28 punti di Hollande si possono aggiungere gli 11 di Jean-Luc Méchelon (estrema sinistra) e quelli della verde Eva Joly (2,28). Bisognerebbe dunque che almeno la metà degli elettori lepenisti si volgessero a sinistra. Sarkozy può contare forse sull’appoggio del centrista Bayrou (11,13%) a cui lascerebbe la presidenza del Consiglio (per Hollande il premier dovrebbe essere la segretaria socialista Martine Aubry). Se si considera che, comunque, il popolo francese è in maggioranza di simpatie conservatrici appare leggermente più probabile, alla fine, una conferma del candidato uscente.

Europa Le conseguenze di una vittoria socialista sugli assetti europei potrebbero essere notevoli. Se perderà, Sarkozy pagherà soprattutto la resa alla Merkel e alla sua politica di rigore, combinata peraltro con un aumento consistente del debito pubblico (oggi al 90% del Pil): si sa già che a maggio, o al più tardi a settembre, Moody’s e Fitch toglieranno la tripla A al debito francese (Standard & Poor’s ha già provveduto lo scorso gennaio). Hollande all’Eliseo significherebbe forse la fine dell’asse franco-tedesco e della politica tagli-e-tasse imposta all’Europa dalla Bundesbank e l’avvio di una guerra all’ultimo patto europeo, il cosiddetto “fiscal compact”, che il parlamento di Berlino dovrebbe ratificare in giugno. Hollande vuole invece che la vecchia Banca europea d’investimenti venga messa in condizioni di finanziare la crescita (cioè di indebitare gli stati), che si emettano bond europei destinati agli investimenti e che si tassino le transazioni finanziarie. I primi due punti fanno strillare i tedeschi, l’ultimo gli inglesi. I socialdemocratici tedeschi potrebbero aiutare i compagni francesi contrastando al Bundestag la ratifica del patto. La vittoria di Hollande, in altri termini, metterebbe a rischio anche la Merkel. Ma è poi anche possibile che la Francia socialista non risulti poi troppo diversa da quella moderata di Sarkozy: una cosa sono le intenzioni manifestate in campagna elettorale, un’altra gli atti concreti che si devono poi compiere con le casse vuote.

Italia C’è una certa probabilità che da noi si voti in ottobre. C’è innanzi tutto un indebolimento progressivo del governo Monti: partiti in quarta con la riforma delle pensioni, i cosiddetti tecnici sono andati via via indebolendosi man mano che accettavano di confrontarsi con i partiti e accettarne il punto di vista. Pd e Pdl hanno così potuto annacquare i provvedimenti successivi, togliendo gran parte del loro senso, per esempio, alle liberalizzazioni. E sulla riforma del mercato del lavoro sta succedendo lo stesso: una trattativa troppo lunga, un articolo 18 di dubbia interpretazione giuridica costruito per compiacere la Cgil e il cui risultato finale è un accresciuto potere dei giudici sempre più padroni del Paese. Il Pdl vuole d’altra parte correggere tutta la parte relativa alle assunzioni, troppo penalizzante per le imprese. In questo pasticcio, e con lo spread tornato sopra quota 400, risulta forse più sensato andare a votare e dare al prossimo governo – capeggiato probabilmente ancora da Monti – una maggioranza vera. Anche i partiti, poi, hanno percepito il cambiamento d’atmosfera e dato inizio alle manovre di posizionamento: Casini ha annunciato l’azzeramento dell’Udc e la nascita in settembre di un Partito della Nazione che vorrebbe accogliere i cattolici delusi del centro-destra e del centro-sinistra. Il senatore Pisanu (Pdl) ha dato a sua volta voce alle inquietudini diffuse nel centro-destra firmando con altri 28 una lettera in cui si auspica il superamento del partito. Gli ha risposto Alfano, annunciando novità rivoluzionarie per metà maggio: a quanto s’è capito, il Pdl verrebbe sostituito da un movimento contenente la parola “Italia” nel nome. Questa nuova forza politica rinuncerebbe al finanziamento pubblico e vivrebbe solo di contributi privati. Il candidato premier non sarebbe più Berlusconi, ma un quarantenne di belle speranze. Altri quarantenni di belle speranze riempirebbero le liste degli aspiranti alla Camera e al Senato. Nel frattempo, Bersani sta fermo e propaganda se stesso e i suoi come «l’usato sicuro». In realtà qualunque mossa del segretario Pd è a rischio scissione: la parte destra (ex Margherita) saluterebbe di fronte a una troppo esplicita simpatia per Nichi Vendola e lo stesso farebbe l’ala sinistra se si concretizzassero le intese con Casini.

Lega L’ex capogruppo leghista Reguzzoni avrebbe speso 90 mila euro di finanziamento pubblico per festeggiare a cena Bossi, Calderoli si fa pagare un appartamento a Roma dalla Lega che adopera per questo i soldi dei rimborsi elettorali, la Rosy Mauro e il senatore Piergiorgio Stiffoni hanno adoperato 200 o forse 400 mila euro della Lega (sempre finanziamento pubblico) per comprare diamanti e lingotti d’oro, l’ex tesoriere Belsito stipendiava un investigatore privato per scoprire qualche magagna nella vita di Maroni, magagna che poi la moglie di Bossi, al centro del cosiddetto cerchio magico, avrebbe adoperato per screditare l’avversario di suo marito. Il quale marito era ben a conoscenza dell’uso che si faceva degli enormi fondi del partito e non è dunque affatto stato raggirato dai suoi amici troppo furbi. È quanto hanno scritto sul Carroccio i giornali nell’ultima settimana. Maroni ha ammesso che il discredito in cui sta affogando la Lega e che si tenta di contrastare con la politica delle scope (scope agitate ad ogni raduno per significare: faremo pulizia) non eviterà una grave perdita di consenso alle elezioni. Bossi, che tenta a sua volta di metterci una pezza e spera di sopravvivere al congresso di fine giugno, s’è precipitato a Varese a fare pubblicamente pace con Maroni, abbracciarlo davanti ai fotografi, «La Lega è unita» ecc.