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 2012  giugno 06 Mercoledì calendario

TRUFFA SULLE TASSE A PROCESSO IL METODO PROFUMO

Milano
Il caso Brontos va a processo. E in cima alla lista degli imputati c’è un nome eccellente: Alessandro Profumo. Il banchiere da poche settimane approdato al vertice del Monte dei Paschi di Siena è accusato di aver dato via libera a un’operazione finanziaria, nome in codice Brontos, che ha consentito a Unicredit, all’epoca guidata da Profumo, di risparmiare 245 milioni di tasse tra il 2007 e il 2008. Ieri il gup Laura Marchiondelli ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal procuratore aggiunto, Alfredo Robledo per Profumo ma anche per 16 dirigenti di Unicredit e per altri tre della banca inglese Barclays, che ha messo a punto il pacchetto finanziario poi acquistato dall’istituto italiano.
Estero su estero
Il caso che andrà in aula ad ottobre svela i contorni di un affare a dir poco complicato, una giostra di transazioni finanziarie, anche estero su estero, che consentiva di mascherare come dividendi quelli che, secondo la Procura, erano in realtà interessi. Il fatto è, però, che la storia forse non finisce qui. La vicenda che coinvolge Unicredit e Profumo sembra destinata ad aprire un fronte di indagine ben più complesso e dalle conseguenze imprevedibili per il sistema bancario nazionale. Già, perchè molti altri pesi massimi del credito negli anni passati hanno fatto ricorso alle medesime scorciatoie che adesso la magistratura milanese qualifica come frode fiscale. Le contestazioni nascono da autonomi procedimenti avviati negli anni scorsi dall’Agenzia delle entrate. I risparmi fiscali , a volte per decine e decine di milioni, ottenuti con quei pacchetti chiavi in mano offerti da importanti operatori internazionali (oltre a Barclays, anche Royal bank of Scotland e Deutsche bank) erano in realtà un’evasione fiscale.
Questa in breve la tesi degli ispettori del fisco. E alcune banche, pur ribadendo la loro estraneità a comportamenti illeciti, hanno preferito chiudere la questione con una transazione. L’elenco degli istituti che sono venuti a patti con l’Agenzia delle entrate comprende Intesa, che ha sborsato 270 milioni, il Monte Paschi pronto a mettere sul tavolo 260 milioni, e poi la Popolare Milano (200 milioni) e il Credito Emiliano con 54 milioni. Lo stesso Unicredit aveva chiuso una parte delle proprie pendenze versando 191 milioni.
Ogni storia, va detto, è un caso a sè. Non è detto quindi, che tutte le contestazioni avanzate dal Fisco contro queste banche si trasformino in un procedimento penale. Certo è che il caso Brontos a questo punto diventa un precedente poco rassicurante per i banchieri. I quali da tempo stanno preparando la propria difesa contro possibili accuse di “dichiarazione fiscale fraudolenta”, il capo di imputazione con cui andrà a processo Profumo .
Il banchiere ieri si è difeso ribadendo “la correttezza” del proprio operato. Le difese avevano a suo tempo sollevato l’eccezione della competenza territoriale e avevano chiesto il trasferimento del procedimento a Roma, o a Bologna o a Verona (in virtù delle sedi bancarie), ma il giudice ha respinto la richiesta.
Insieme all’ex amministratore delegato di Unicredit andranno a giudizio, tra gli altri, Patrizio Braccioni (responsabile dell’Area Tax Affairs di Unicredit ), Ranieri De Marchis (responsabile della Direzione Planning, Finance and Administration di Unicredit Spa), Lucia-no Tuzzi (capo dell’Area Finanza di Unicredit Spa). Tutti avrebbero messo in piedi, si legge nel provvedimento del gup, “una struttura complessa e artificiosa” con il solo obiettivo di sottrarre soldi al fisco. Profumo avrebbe dato il via libera con atti “datati 1 marzo 2007, 9 aprile 2008 e 7 novembre 2008” a tre distinte operazioni che sarebbero servite a diminuire di ben 245 milioni l’imponibile del gruppo bancario.
L’operazione ruotava attorno a una complessa struttura finanziaria costruita tra Milano, il Lussemburgo e Londra.
Il parere dello studio Tremonti
Gli indagati, si legge nel documento di chiusura delle indagini, avrebbero quindi "adoperato mezzi fraudolenti idonei a ostacolare il relativo accertamento valendosi di società e trust appositamente costruiti all’estero, fiscalmente residenti in Regno Unito e Lussemburgo". Per i magistrati le operazioni realizzate non avevano "alcuna autonoma valenza economica" ma servivano "esclusivamente all’ottenimento di un illecito vantaggio fiscale". Una struttura, ribadisce la procura, architettata per realizzare “una capziosa evasione fiscale”. E i vertici di Unicredit erano “consapevoli” di essere a rischio indagini. Tanto che tra il 2007 e il 2009, per 3 volte, si erano rivolti per un parere a uno studio tributario di Milano, Vitali-Piccardi-Romagnoli fondato dall’ex ministro, Giulio Tremonti. L’indagine è emersa il 18 ottobre scorso quando il nucleo tributario della Guardia di finanza di Milano ha sequestrato 245 milioni a Unicredit su disposizione del gip, Luigi Varanelli. Contro quel clamoroso sequestro, la banca ha fatto ricorso al tribunale del Riesame e a novembre ha ottenuto l’annullamento. Ma il procuratore aggiunto, Robledo che aveva chiesto e ottenuto il provvedimento si è rivolto alla Cassazione. La decisione finale è attesa per il 19 settembre.