Diego Gabutti, ItaliaOggi 6/6/2012, 6 giugno 2012
DIO CI SCAMPI DALLO SHOW DI CONCITA DE GREGORIO E SAVIANO
Del Popolo delle libertà non è neanche più il caso di parlare: è svanito, morto, kaputt. Se mai rinascerà, il centrodestra rinascerà altrove, senza la Buonanima e senza berlusconiani, senza ciellini, senza leghisti, senza nipoti di Mubarak. Ma il partito democratico? Dicono sia già rinato: sotto le bandiere di Quello che non ho e di Che tempo fa. Praticamente un Club di Topolino.
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«Ma come si fa a tirare avanti quando la carne diventa sempre più cara e la vedova sempre più allegra?» (Karl Kraus, Essere uomini è uno sbaglio. Aforismi e pensieri, Einaudi 2012).
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Dopo i nani e le ballerine del vecchio partito socialista, i santi per ridere e le madonne antipatiche del moderno partito democratico, che secondo il Giornale d’Alessandro Sallusti e Vittorio Feltri potrebbe trasformarsi nello show di Concita De Gregorio e Roberto Saviano, dunque di Repubblica e La7, con regia di Carlo De Benedetti e colonna sonora (niente trombe, solo tromboni) d’Eugenio Scalfari. E Pierluigi Bersani? E Rosy Bindi, Enrico Letta, Anna Finocchiaro, Matteo Renzi? E Massimo D’Alema? E Walter Veltroni? Be’, se l’Operazione Santi & Madonne dovesse raggiungere il suo obiettivo, Bersani e gli altri non godrebbero più della prime pagine e delle prime serate televisive. Scivolerebbero nell’ombra, unendosi al fantasma d’Achille Occhetto, che da vent’anni non vede l’ora.
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San Saviano Martire non si candiderà, come ha scritto di suo pugno sull’Espresso. Ma vigilerà sulle candidature e sul comportamento degli eletti. San Saviano è una specie di San Pietro laico. È lui a decidere, come direbbe un altro santo, il Beato Adriano, chi è «lento» e chi «rock».
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Su che basi decide, però? Giudicato dai suoi libri — anzi dal suo libro, ché uno ne ha scritto, oltrettutto più di dieci anni fa, e da allora soltanto chiacchiere televisive — sembrerebbe decidere sulla base delle carte processuali (la famosa «carta canta» di Tonino Di Pietro). Giudicato, invece, dai suoi primi piani in tivù, dall’espressione estatica, dall’occhio rivoltato verso l’alto, dalla sua magrezza per così dire apostolica, sembra che decida piuttosto in base all’ispirazione, come gli sciamani, che lui confonde con gl’intellettuali (Ezio Mauro, Concita De Gregorio e il loro editore li confondono invece con i giornalisti).
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Anche il Popolo delle libertà, però. Mentre la Buonanima, sempre ottimista, ha «fiducia nei dirigenti», i dirigenti hanno fiducia nella Buonanima. Gli elettori, disgraziatamente, non seguono a ruota.
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«In questo assomigliavano al nostro reverendo amico, il vescovo Barkeley, un vero padre spirituale, il quale — metafisicamente parlando — considerava tutti gli oggetti come pure e semplici illusioni ottiche, pur comportandosi poi in modo estremamente pratico in ogni questione pratica. Sensibile alle punture di spillo, era anche un vero buongustaio in fatto di pasticceria: cose, queste, piuttosto consistenti» (Hermann Melville, Mardi, Vallecchi 1965).
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Alla fine, delle vecchie glorie italiane, ne resterebbe dunque una sola: Giorgio Napolitano, il più regale dei presidenti della repubblica dai tempi (direbbero Victor Hugo e Karl Marx) di Napoleone III, detto il Piccolo. Incedere maestoso, modi aristocratici, per eguagliare Napoleone III non gli resta che sospendere la democrazia in nome della medesima. Dite che l’ha già fatto? Be’, allora s’aspetti anche quel che infallibilmente ne segue: una Comune di Parigi.
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È strano, però, che tra tutti i protagonisti (be’, i coprotagonisti, ed è già dir troppo) della prima repubblica, dovesse sopravvivere proprio lui, Napolitano, un comunista malvisto dai capi (e capetti) del comunismo italiano, che giustamente diffidavano della sua proclamata fede socialriformista e, ai tempi, persino un po’ filocraxiana. Comunista fino a un certo punto, neosocialista solo fino al giorno in cui Bettino Craxi partì per l’esilio, Napolitano è quello che un tempo si diceva «un sincero democratico». Non disdegna le compagnie più bizzarre, dai tecnici sedicenti liberali e financo liberisti alle giornaliste col birignao, dai venerabili della carta stampata ai professionisti dell’anticamorra (che non scrivono mai niente ma si danno da sé dello scrittore, per di più civile).
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Pro e contro. Trasformando il partito democratico in un partito-giornale, cioè in un partito di carta e inchiostro, ci perdono Bersani e i suoi compagni di Festa dell’Unità ma ci guadagna l’ambiente. Ancora un pro e contro? Decisamente più ecologico del partito di plastica, il partito di carta è però destinato (si faccia dunque due conti) a decomporsi molto più in fretta.
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«Avviso agli storici futuri: non leggete vecchi numeri del New York Times. Leggete i poeti» (Charles Simic, Il mostro ama il suo labirinto, Adelphi 2012).