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 2012  giugno 06 Mercoledì calendario

1944, IL COMPLOTTO FALLITO E LA FEROCE VENDETTA DI HITLER

Le chiedo qualche indicazione in più sulla figura di von Stauffenberg e sui suoi programmi politici, compatibilmente con la sua formazione prussiana.
Sergio Pippi
sergio.pippi@alice.it
Caro Pippi, Stauffenberg non era prussiano. Come ho scritto in un’altra risposta, qualche tempo fa, apparteneva a una vecchia famiglia della Germania meridionale ed era nato nei pressi di Günzberg in Baviera. Non credo che avesse un vero e proprio programma politico. Quando tornò da Norimberga, dove aveva assistito al grande processo contro i maggiori esponenti del Terzo Reich, Indro Montanelli pubblicò uno dei suoi libri migliori (Morire in piedi, editore Rizzoli) in cui avanzò l’ipotesi che von Stauffenberg fosse un esponente dell’ala sinistra del «circolo di Kreisau» (il gruppo di aristocratici prevalentemente prussiani che auspicava la fine del regime) e gli attribuisce il desiderio di un’alleanza con l’Unione Sovietica per salvare la Germania dall’offensiva alleata in occidente. A me sembra che fosse soprattutto un patriota tedesco e che il suo gesto avesse principalmente lo scopo di dimostrare al mondo l’esistenza di un’altra Germania, ispirata a sentimenti e principi che non avevano nulla a che vedere con la brumosa e nibelungica filosofia del nazismo. Ma non è impossibile che a lui, come a molti esponenti delle forze armate tedesche, la collaborazione con l’Unione Sovietica potesse sembrare il mezzo migliore per rompere il cerchio di ferro che si stava chiudendo intorno alla Germania. Era la strada percorsa dallo stato maggiore della Repubblica di Weimar dopo la firma del Trattato di Rapallo, quando la Germania e la Russia Sovietica si erano segretamente accordate per una collaborazione militare che avrebbe consentito ai tedeschi di aggirare le clausole del Trattato di Versailles.
Ciò che maggiormente conta, caro Pippi, è ricordare che la casta militare tedesca aveva sempre diffidato di Hitler e che aveva seguito il Führer di malavoglia nella fase iniziale della Seconda guerra mondiale. Fu costretta al silenzio dal folgorante successo dell’attacco alla Francia nella primavera del 1940 e dal brillante esito di alcune delle campagne successive. Ma le battaglie perdute del 1943 avevano risvegliato il loro odio per il piccolo caporale austriaco che stava trascinando il Paese verso una umiliante sconfitta.
L’odio era totalmente ricambiato. Se l’aristocrazia militare detestava Hitler, questi a sua volta la sentiva come del tutto estranea alla cultura del regime. La rappresaglia scatenata dopo il fallimento dell’attentato fu un regolamento di conti. In un breve libro, nuovamente pubblicato in una collezione diretta da Francesco Perfetti (La calda estate del 1943, editore Le Lettere, Firenze), Eugen Dollmann, colonnello delle SS e in qualche occasione interprete di Mussolini, racconta l’incontro fra i capi del nazismo e del fascismo nella «tana del lupo», poche ore dopo l’attentato. Hitler era «bianco come un lenzuolo», ma convinto che la sua sopravvivenza fosse dovuta a una sorta di favore divino. Mente i due gruppi sedevano per la cerimonia del the, serviti da SS in giacche bianche, Hitler disse: «Io distruggerò tutti coloro che hanno osato in questa maniera criminale mettersi sulla mia strada! Li distruggerò! Non ho mai sentito più chiaramente di adesso la volontà della Provvidenza! Le ali dell’aquila mi condurranno alla vittoria, ma ai traditori darò la morte più ignominiosa: occhio per occhio, dente per dente!».
Sergio Romano