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 2012  giugno 06 Mercoledì calendario

BILANCI DEI PARTITI: ANCORA UNO SFORZO

Sull’arresto di Lusi si esprimerà, martedì prossimo, la Giunta del Senato. Nel frattempo la Margherita di Rutelli è morta, però nemmeno l’Api di Rutelli si sente troppo bene. Quanto alla Lega, sta pagando anch’essa — e a caro prezzo — la rapina dei finanziamenti pubblici da parte del suo tesoriere, tanto che Maroni medita di saltare un turno elettorale. La domanda è: si tratta di due casi isolati? O viceversa esistono situazioni irregolari
anche presso altri partiti? Non è una domanda malevola, non tende a fare di tutta l’erba un fascio.
Magari è ingenua, perché difficilmente strapperà una confessione. Nasce però dal Rapporto diffuso in marzo dalla commissione Greco (Groupe d’Etats contre la corruption): dal 1997 al 2009, in Italia sono state ben 91 le formazioni politiche che hanno presentato rendicontazioni false oppure incomplete. Il Rapporto non fa nomi, tuttavia aggiunge che soltanto in 6 casi è scattata una sanzione. Ma la sanzione, in questo tempo livido e confuso, è tutta politica, è una condanna a morte per il partito che allevi anche una sola volpe nel pollaio. Anzi: per tutti i partiti, giacché ormai gli italiani non fanno troppe distinzioni. Le malefatte dell’uno ricadono sugli altri. Che cosa accadrebbe se nei prossimi mesi divampasse un altro scandalo, un’altra inchiesta giudiziaria? Meglio parlare prima, se qualcuno ha da parlare. Altrimenti si ripeterà la scena rappresentata nel Palazzo di Montecitorio il 29 aprile 1993. Quando Craxi tuonò contro l’ipocrisia di massa, affermando che ogni partito si finanziava per mezzo di tangenti. E crollò il sistema.
Perché è un problema di sistema, non di uomini. Gli uomini — diceva Voltaire — devono tollerarsi vicendevolmente, dal momento che sono deboli, incoerenti, esposti all’errore. E allora servono regole di ferro per non cadere in tentazione. Sicché il nostro primo dubbio ne genera un secondo: sono un buon argine le norme votate dalla Camera il 24 maggio scorso, e adesso all’esame del Senato? Per rispondere, facciamo anzitutto un po’ di conti. Quasi un miliardo ai partiti politici italiani per le due ultime elezioni, giacché dal 1993 in avanti il finanziamento pubblico è lievitato del 600%. Rimborsi elettorali pari al quadruplo delle spese effettivamente sostenute. Nessun obbligo di giustificare le uscite. Controlli fittizi: né i revisori del Parlamento, né la Corte dei Conti hanno il potere di guardare sotto le lenzuola. Sanzioni inefficaci. E cittadini orfani della possibilità di presentare una denuncia, come ha sottolineato — di nuovo — il Rapporto Greco.
Dopo di che, ci dicono, con la riforma questo scialo verrà quantomeno dimezzato. Ma la Ragioneria dello Stato stima che nel 2014 il risparmio misurerà appena 2 milioni, perché l’erario dovrà farsi carico delle detrazioni fiscali per i privati che donano il loro contributo. La Corte dei Conti, inoltre, rimane fuori dalla porta. Nessun vincolo di destinazione sui quattrini del finanziamento pubblico. E fari spenti sulle fondazioni collegate a questo o a quell’esponente di partito: negli ultimi anni ne sono state battezzate circa 80, e hanno in tasca portafogli consistenti, controllano società operative, dispongono d’un regime fiscale agevolato, redigono bilanci opachi, tengono segreti i propri benefattori. Da qui un’ultima domanda: c’è qualche recondita ragione per non rendere un poco più stringente, e magari più decente, la nuova disciplina? Senza offesa per nessuno, o almeno si spera. Come ha osservato Oscar Wilde, le domande non sono mai indiscrete. Lo sono, talvolta, le risposte.
Michele Ainis