Elvira Serra, Corriere della Sera 05/06/2012, 5 giugno 2012
SE LO SPORT NON SALVA DAL MALE OSCURO
Adesso si cercano le anomalie. Per capire dove e quando si è inceppato il meccanismo perfetto della vita di un ventiquattrenne pieno di salute, «lo straniero» dell’Ambra di Poggio a Caiano, la sua squadra di pallamano, insomma quello che faceva la differenza, anche nella Nazionale alla quale era diretto la notte in cui si è ucciso alla stazione di Bologna. Alessio Bisori ha spiazzato tutti, la mamma Mirella, il babbo Leonardo, la fidanzata Laure, amici, compagni, allenatori che ripetono, uguali e increduli: «No, non lui. Era solare, amava scherzare».
Le anomalie. Beppe Tedesco da 48 ore non pensa ad altro. È il coach del Bologna United, dove Alessio ha giocato per quattro anni, fino alla scorsa stagione. Questa è la prima: «Ha scelto Bologna per farla finita, non può essere senza significato. Lui da qui voleva partire per altri lidi, aveva grandi ambizioni. Non voleva tornare a giocare a casa, a Prato. Ma ha sbagliato, era giovanissimo, avrebbe avuto altre opportunità». La seconda: «Da sette giorni non rispondeva al telefono agli amici più stretti, ma non ci siamo preoccupati perché era a casa dai genitori e c’era pure la fidanzata». La terza anomalia: «La lucidità spietata con cui ha deciso di raggiungere la Nazionale a Fasano non in aereo, ma in treno. Si è prenotato una stanza qui in città e ci ha lasciato le sue cose». La quarta: «Quando ci siamo allenati insieme, dieci giorni fa, si era lasciato scappare: "Non so dove giocherò il prossimo anno, non so cosa farò". Ma è abbastanza normale nel nostro settore che la campagna acquisti a inizio estate non sia fatta».
La verità è che Beppe Tedesco si deve arrendere all’unica cosa certa: «Non ho capito. Non siamo riusciti a vedere, né noi né quelli che gli stavano più vicino. E se è successo con lui, che non smetteva mai di scherzare, di prendere in giro i compagni, di manifestare l’affetto che nutriva e che voleva avere con abbracci infiniti, allora dobbiamo stare attentissimi a tutti gli altri».
Un’altra atleta, Giulia Albini. Aveva 30 anni. Era stata pallavolista di A2, ora faceva la fisioterapista in Svizzera, beach volley d’estate. Secondo la stampa turca si sarebbe gettata nel Bosforo, una settimana fa. Una versione che non ha convinto gli amici: troppo strano sparire così, raggiungere Istanbul da sola, senza avvisare nessuno. Anomalie, di nuovo.
Gli sportivi non dovrebbero essere l’espressione della parte più sana, più vitale, più energica della società? «Spesso si intende il mondo dello sport come privilegiato, ma è una comunità che ha le stesse dinamiche delle altre», prova a rispondere Giuseppe Vercelli, psicologo ufficiale del Coni per le Olimpiadi e docente a Torino. Come interpretare, allora, la scelta radicale di Alessio e Giulia? «Il suicidio è sempre legato a due cause. Una, la più frequente, è lo stato depressivo. L’altra è la sensazione di trovarsi in una situazione irrisolvibile: la morte diventa la soluzione definitiva a un problema temporaneo. Spesso, poi, chi ha interrotto l’attività agonistica non riesce a sostituire l’ex progetto sportivo».
Ma sono supposizioni, ipotesi, alibi per contenere l’ansia che questo gesto estremo produce. «L’attività fisica genera endorfine, con una conseguente sensazione di piacere. Tuttavia l’allenamento esasperato di un atleta di primo piano non ha necessariamente gli stessi risultati. E poi non dobbiamo dimenticare i sacrifici, pensiamo solo al dover lasciare la famiglia giovanissimi», sostiene il medico sportivo del Giro d’Italia Giovanni Tredici, professore alla Bicocca di Milano. E infine avverte: «La depressione non è affatto estranea mondo dello sport».
Ieri sera in Puglia la nazionale di pallamano si è allenata per il torneo di qualificazione agli Europei. Giocheranno a Bari da venerdì a domenica. Al raduno dovevano essere in venti, resteranno in diciannove. Dice il ct dell’Italia, Franco Chionchio: «Non ho chiamato nessuno per sostituire Alessio. Lui, per noi, è ancora qui».
Elvira Serra