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 2012  giugno 05 Martedì calendario

IL MAGGIORDOMO E I MESI DA AGENTE «DOPPIO» — C’è

un continuo gioco di rimandi nell’inchiesta sul maggiordomo del Papa Paolo Gabriele. E sul ruolo che avrebbe rivestito negli ultimi mesi, quando era stato ormai accertato come numerosi documenti riservati fossero usciti dalle stanze del Vaticano. Dopo giorni di controlli e verifiche compiuti nel massimo riserbo ma tesi a individuare i suoi eventuali complici e soprattutto i suoi «terminali», continua a rimanere senza risposta un interrogativo diventato il cardine dell’indagine sui «corvi» della Santa Sede. E riguarda proprio l’atteggiamento tenuto da quell’uomo che per anni ha vissuto all’ombra del Pontefice. Perché, nonostante fosse ormai noto che la Gendarmeria era sulle tracce di chi aveva trafugato gli atti, il maggiordomo custodiva nel suo appartamento privato copie di incartamenti pronti a essere consegnati?
Sono diverse le ipotesi formulate per cercare di spiegare questa scelta apparentemente suicida, ma una sembra prevalere sulle altre e tiene conto dell’esito del processo canonico al quale Gabriele sarà sottoposto. La procedura potrebbe concludersi con la sua richiesta di perdono al Pontefice. Istanza che sarebbe accolta in virtù di un patto segreto che lo stesso Gabriele avrebbe siglato tempo fa, accettando di collaborare e di indirizzare l’inchiesta verso mandanti e beneficiari. Un accordo che non lascia prove e non contempla testimoni, però consente alle autorità vaticane di arrivare ai complici italiani scongiurando il rischio che possano restare impuniti. Per ricostruire quanto può essere accaduto bisogna dunque tornare a sei mesi fa, quando viene accreditato il sospetto che il maggiordomo sia la fonte di alcune notizie pubblicate sui giornali. Le voci vengono respinte, negate con decisione. Ma qualche settimana dopo, durante la trasmissione «Gli Intoccabili» di Gianluigi Nuzzi su La7 vengono mostrate alcune lettere private di Benedetto XVI. E quelle accuse inizialmente bollate come calunnie sembrano prendere nuova sostanza.
L’indagine viene affidata al comandante della Gendarmeria Domenico Giani e prende svariate direzioni visto che le missive sono state trattate da diversi uffici. Vengono effettuati pedinamenti, intercettazioni, si incrociano i dati telematici. Ma nell’entourage più vicino al Santo Padre il nome del «corvo» sembra essere già noto. Dopo l’uscita dei primi documenti si era infatti deciso di gettare un’esca, convinti che avrebbe potuto fornire la prova regina. E in alcuni plichi era stata inserita la copia di un documento trattato soltanto all’interno dell’appartamento papale. Un atto che non aveva bisogno di essere «vistato» da altri uffici o comunque inviato alla Segreteria di Stato. Dunque accessibile soltanto per chi si muove con disinvoltura tra quelle stanze. Quando si è scoperto che era stato portato all’esterno, si è avuta la certezza che il traditore era Paolo Gabriele.
La violazione della corrispondenza del Papa è un reato gravissimo. Il maggiordomo ha la doppia cittadinanza, se le autorità vaticane decidessero di chiedere collaborazione alla giustizia italiana rischierebbe una condanna alta e soprattutto la carcerazione. Ecco allora profilarsi l’ipotesi di un accordo che però deve rimanere segreto per avere valore, nascosto anche a chi sta conducendo le indagini. Gabriele si trasforma in una sorta di agente «doppio» che continua a trattare con mandanti ed emissari, ma ha come vero obiettivo di portarli allo scoperto e farli individuare. Alcuni sono italiani, senza elementi concreti nei loro confronti sarà impossibile far partire una rogatoria e chiedere che siano perseguiti per reati che vanno dal furto alla ricettazione, fino al concorso nella violazione delle prerogative di Benedetto XVI nella sua qualità di capo di Stato.
Il maggiordomo comincia a muoversi con maggiore disinvoltura, concorda appuntamenti facilmente rintracciabili tanto che almeno uno di questi incontri sarebbe stato documentato. Continua a maneggiare lettere e documenti. L’ultimo atto si consuma il 23 maggio scorso quando gli uomini guidati da Giani entrano nel suo appartamento e lo arrestano. «Custodiva casse di documenti», fanno sapere dalla Santa Sede. Qualche giorno dopo si scopre che nella sua casa all’interno delle mura leonine Gabriele aveva svariati incartamenti già pronti per la consegna e un elenco di destinatari. Nomi che dovrebbe confermare durante l’interrogatorio formale che sarà poi inserito integralmente nella rogatoria per l’Italia. Il passo ritenuto necessario per tentare di frenare il volo di altri «corvi».
Fiorenza Sarzanini