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 2012  giugno 02 Sabato calendario

L’isola delle piccole imprese – Una festa è una festa, soprattutto a Cuba, e Raidel Peñate, di Cienfuegos (nella foto a pagina 56) ne è così cosciente da avere scelto di guadagnarsi la vita lavorando nel settore

L’isola delle piccole imprese – Una festa è una festa, soprattutto a Cuba, e Raidel Peñate, di Cienfuegos (nella foto a pagina 56) ne è così cosciente da avere scelto di guadagnarsi la vita lavorando nel settore. Organizza feste di compleanno, matrimoni e soprattutto fiestas de quince, per i quindici anni delle ragazzine: una tradizione molto sentita a Cuba, che il trentanovenne Raidel cele bra con uno spiegamento di comparse degne di un varietà, ballerini professionisti vestiti da cerimonia e fotografo che immortala la serata. E infatti il costo di una fiesta è piuttosto alto: da 200 a 700 cuc (pesos convertibili), che corrispondono ad altrettanti dollari. Una cifra proibitiva per la maggior parte dei cubani, dato che lo stipendio medio si aggira intorno a 15 cuc. Ma i clienti di Raidel non sono, ovvio, la maggior parte dei cubani. Massiccio, occhiali da sole scuri e l’espressione che ci si aspetta da chi fa il suo mestiere, Raidel è uno dei circa 330mila cuentapropista di Cuba: lavoratori in proprio, il cui numero è in continuo aumento da quando il governo ha varato, negli ultimi mesi del 2010, un ampio pacchetto di riforme. Le norme aprivano alla piccola iniziativa privata, per compensare i licenziamenti di dipendenti statali previsti per gli anni successivi (nelle intenzioni, 500mila nel 2011 e un milione 500mila entro il 2015). In poche parole: stabilito che l’economia faceva acqua, si è deciso di approvare una serie di aperture con l’obiettivo di "attualizzare il socialismo": per esempio, liberalizzare parzialmente un certo numero di attività, concedere più licenze di quelle già permesse e affidare alcuni uffici improduttivi dello Stato a cooperative di privati. «Bisogna cancellare per sempre l’idea che Cuba sia l’unico paese al mondo dove si può vivere senza lavorare», ha dichiarato Raùl Castro nell’agosto del 2010. Cambio di scena, dunque, da un anno e mezzo a questa parte. I cuentapropista sono aumentati di quasi 200mila unità, e L’Avana Vecchia, il quartiere storico della capitale molto bazzicato dai turisti, è ormai affollato di venditori di pizze, succhi di mamey, souvenir e noccioline. Dalle finestre al pianterreno di molte case, cubani di ogni età offrono dolcetti di guayaba e pai di cocco. C’erano anche prima, ma adesso sono molti di più, e un po’ più contenti. «La differenza è che un tempo eravamo considerati un male necessario, ora rappresentiamo il futuro», spiega la proprietaria di una paladar, un ristorante in casa. File di auto coloniali, utilizzate come taxi, intasano le strade; carretti a cavalli portano in giro gruppi di ragazzini. I trasportatori privati rappresentano il 22 per cento dei cuentapropista, e sia i taxi sia i carretti fanno parte delle attività permesse ai privati: 178 in tutto, che comprendono, accanto ai soliti affittacamere e ristoratori, una sfilza di professioni surreali come gli sbucciatori di frutta e i foderatori di bottoni, i cartomanti e i riempitori di accendini, perfino i dandy e i figurantes, sorta di comparse che si aggirano nelle zone storiche. Per esempio, la signora fotografata in apertura di questo servizio che si fa fotografare a pagamento con i turisti. Solo una parte dei cuentapropista lavora con gli stranieri. Dall’altro lato della città rispetto all’Avana Vecchia, nel quartiere Playa che si allunga sul mare, il noto salone estetico Belleza Latina, aperto quattro anni fa, ha una clientela formata in gran parte da cubani del mondo dello spettacolo e del cinema. Specialità della casa: estensione dei capelli. La proprietaria Elena Gómez, 45 anni, è letteralmente entusiasta delle riforme, nonostante lavori più di dieci ore al giorno: «La gente è più motivata e contenta. Anch’ìo: faccio un lavoro che mi piace e il mio tenore di vita è migliorato. Il salone va bene e ho cinque ragazze che lavorano per me». Tra le nuove aperture di Raùl Castro c’è infatti quella che permette ai cuentapropista di 83 categorie professionali di assumere manodopera: basta pagare un’imposta supplementare su ogni dipendente. Poi, naturalmente, ci sono le tasse: fino al 50 per cento sulle entrate, e inoltre il 10 per cento sulle vendite e i contributi. «Le tasse sono alte", sospira Reinaldo Rios, 72 anni, un distintissimo ingegnere civile che da vent’anni lavora come falegname. «Però non mi lamento. Guadagno tra i 500 e i 600 cuc mensili che mi permettono di vivere serenamente, e questo mi basta». Perfino la Compagnia di Gesù ha dato il suo contributo al nuovo corso: per tre mesi, e fino all’aprile scorso, ha tenuto corsi di formazione per futuri piccoli imprenditori, impartendo lezioni di marketing ed economia. L’Arcidiocesi aveva realizzato corsi simili qualche mese prima. Non tutti i cubani hanno accolto le aperture con entusiasmo. C’è chi non si fida e chi preferisce aspettare prima di mettersi in proprio. Qualcosa di simile alle aperture attuali era già stato tentato a metà degli anni 90, durante il Periodo Especial, la pesantissima crisi economica provocata dalla caduta del Muro. Il governo aveva autorizzato una serie di attività che venivano già svolte sottobanco, ma aveva poi sospeso la concessione di licenze in molte categorie, tanto che il numero dei cuentapropista era calato dai 210mila del 1996 ai 144mila di qualche anno dopo. È per questo che molti, nell’isola, sono cauti. E anche perché le attuali riforme sembrano incomplete se non si attualizza anche il contesto; per esempio, manca un mercato delle materie prime, che sono insufficienti o hanno costi troppo alti. «Nel mio settore non si trovano quasi mai. In genere chiedo ai clienti di procurarle, ma non sempre ci riescono», spiega Reinaldo. Vale per tutti, non solo per i falegnami. «Di colpo, spariscono dal mercato gli alimenti di cui abbiamo bisogno, e noi cosa diciamo ai clienti?», si lamenta il gestore di una paladar. «È difficile lavorare in questo modo». Anche le paladar sono state beneficiate delle recenti aperture. Il numero massimo di posti a tavola è stato aumentato da 12 a 50, e si permette l’uso di carne di manzo e frutti di mare che prima era proibito. Un’altra apertura riguarda l’affitto delle stanze, una delle attività più praticate dai cuentapropista: da un anno e mezzo è possibile affittare l’intero appartamento e non solo le singole camere. Julita de la Rosa e Silvio Ortega, 44 e 55 anni, gestiscono da 17 anni il bellissimo bed and breakfast La Rosa de Ortega, e si dichiarano soddisfatti delle riforme. Anno dopo anno hanno rimesso a posto la loro palazzina nel quartiere de La Vibora fino a trasformarla in una casa piena d’atmosfera, con veranda a vetri, piscina nel giardino e stanze pastello. «La differenza rispetto a prima è che nessuno più ci guarda male», spiega Julita, una laurea in relazioni economiche internazionali. «Ci sentiamo parte della società, visto che oggi in moltissimi fanno le stesse cose che facciamo noi». Accanto alla piscina, un gigantesco albero di mango, piante di bouganvillea e flamboyant. Dal terrazzino all’ultimo piano, un panorama di tetti piatti e palme fino al mare. Secondo Carmelo Mesa-Lago, professore emerito di Economia e Studi Latinoamericani presso l’Università di Pittsburgh, la strada che ha intrapreso il governo di Raùl Castro è giusta, peccato per le restrizioni. «Le riforme ne presentano ancora troppe, così pochi si arrischiano a lavorare in proprio. Per esempio, più alto è il numero degli impiegati assunti e più aumentano le tasse, una contraddizione visto che lo scopo delle riforme è quello di creare lavoro». Carmelo Mesa-Lago ha appena terminato di scrivere il libro Cuba eri la era de Fidel Castro, ed è considerato un’autorità per quel che riguarda risola. In ogni caso, anche gli accademici di Cuba sono a favore delle aperture. «Il governo si è reso conto che il funzionamento dell’economia socialista non risolveva, per come era strutturato, necessità basilari della popolazione, nonostante gli importanti risultati sociali», spiega Omar Everleny Pérez Villanueva, direttore del Ceec (Centro de Estudios de la Economia Cubana). «È necessario riconoscere l’importanza del settore privato e cooperativo nell’economia: si prevede che nel 2015 il settore non statale rappresenterà il 45 per cento dell’impiego nell’isola». Seduta nel patio del suo palazzo coloniale in Calzada 508, nel quartiere centrale del Vedado, la 54enne Fifi Acosta fa il primo intervallo della giornata da quando ha cominciato a lavorare, alle sei e mezza del mattino. Dimostra sì e no trent’anni, ha un’espressione da furbetta e un umorismo al curaro. Il patio è pieno di piante e fiori, e vi si affacciano le quattro stanze che Fifi cede al prezzo di 30, 35 cuc al giorno a seconda della stagione. Da quasi sei anni ha lasciato il precedente lavoro di architetto progettista per affittare camere. Anche lei trova che questa riforma sia una gran bella cosa. «È passato poco più di un anno e già si nota il cambiamento. La gente è contenta perché ha la possibilità di mantenersi dignitosamente, e bada con entusiasmo ai propri affari. Quanto al resto...», dice guardando il cielo che si allarga, azzurro, sopra le piante, «il resto se resuelve». (Foto dell’agenzia Instìtute for Artist Management)