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 2012  giugno 05 Martedì calendario

FILOSOFI DEL SISMA ALTRUI


Fanno gli ottimisti con le macerie degli altri. Mentre le giornate e le notti emiliane continuano ad essere funestate dalle scosse, si manifestano i filosofi della pacca sulla spalla, pronti a sostenere che anche nella tragedia s’annida la bellezza (tanto la tragedia la vivono gli altri). Ecco il professor Paolo Crepet lesto a spiegare che il terremoto «è un lutto terribile, ma anche una grande opportunità di rinascita, di ricostruzione». Ovviamente, il luminare si sente molto vicino alle vittime del sisma, ma «semplicemente» pensa che «un terremoto, quando è avvenuto, implica una ricostruzione immediata, e la ricostruzione è una grande opportunità per creare anche nuova economia come è avvenuto ad esempio in Friuli o in Umbria e nelle Marche. Insomma la ricostruzione porta nuovo lavoro». Oh, che grande idea, come avevamo fatto a non pensarci. Per risolvere i problemi di disoccupazione che attanagliano il Paese non c’è niente di meglio che una bella catastrofe naturale. I giovani escono dall’università e non trovano un impiego? Basta uno tsunami, un’inondazione con i controfiocchi e in un attimo li abbiamo tutti sistemati, con tanto di caschetto e pala in mano. Non osiamo immaginare quale spinta all’economia abbiano fornito le sette piaghe d’Egitto: il rilancio del prodotto interno lordo faraonico sarà stato senz’altro micidiale. Si accende un telegiornale e si trova, immancabile, la storia zuccherosa della coppia che ha deciso di sposarsi anche se la chiesa del paese è andata distrutta. O del parroco di Pieve di Cento che ha celebrato la messa per la prima comunione di una cinquantina di bambini all’aperto, sotto i tendoni. Sono storie di tenacia e di coraggio, di fede che unisce le persone anche nella disgrazia. Vicende da raccontare con il rispetto dovuto a chi non si fa abbattere e prosegue a vivere con dignità. Eppure vengono messe in scena con baldanza, a sostegno della tesi per cui il disastro ha fatto riscoprire gli antichi valori, ha cementato le comunità e dunque, in qualche modo, ha fatto bene al morale della truppa. Persino un emiliano sensibile come Pupi Avati, ieri sulla Stampa, si è prestato alla retorica del tanto peggio tanto meglio. «Quella dei matrimoni e delle prime comunioni all’aperto, nei paesi devastati dal terremoto», ha detto, «è una fotografia meravigliosa. (...) Sono convinto che siano stati matrimoni e prime comunioni più emozionanti, e indimenticabili, di tanti altri festeggiati al ristorante o in una villa con il catering ». Sembra una pubblicità atroce: volete rendere indimenticabili le vostre nozze? Ecco cosa fa per voi: una bella eruzione vulcanica. Fate infiammare d’invidia i vostri amici! Intanto, però, c’è chi è morto per i crolli, chi non ha più una casa o un’azienda, chi ha perso tutto. «Avere ora qualcosa su cui ricompattarci è emozionante», ha detto ancora Avati. «In un Paese che è privo di aspettative, progetti e speranze, ora gli emiliani hanno un progetto comune: quello di ricostruire». Immaginiamo quanto possano essere contenti. Ci voleva proprio, questo sisma, possiamo ricostruire assieme in amicizia. Ma che gliene frega, a uno che non ha più un tetto sulla testa, del fatto che possa nascere «una solidarietà» nelle tendopoli o che «scompariranno certe divisioni artificiose sulle quali ci scanniamo tutti i giorni»? Sai quanto è consolante, per dei cristiani che hanno perso un marito o un fratello sapere che la loro storia di dolore è un bel film o una «fotografia meravigliosa ». Se uno vuol socializzare, va alla bocciofila. Se vuol sviluppare la propria solidarietà, non ha che da scegliere un’associazione di volontariato. Mica ha bisogno che gli crolli addosso un capannone. E di certo non si fa consolare dall’idea che qualche maestro della settima arte possa cavar fuori un surrogato del neorealismo tra una faglia e l’altra. Se sotto i tendoni degli sfollati, negli abbracci e nelle lacrime degli emiliani c’è della poesia, forse è il caso di ascoltarla con rispetto. In silenzio.