Mark Hertsgaard, la Repubblica 6/6/2012, 6 giugno 2012
È FINITA L´ETÀ DEL CARBONE" COSÌ LA TERRA TORNA A RESPIRARE
Il carbone è sempre meno utilizzato negli Stati Uniti e questa è un´eccellente notizia per il clima della Terra. L´Energy Information Administration statunitense (Eia, agenzia governativa specializzata in analisi energetiche, ndt) ha annunciato che nel primo quadrimestre del 2012 soltanto il 36 per cento del fabbisogno energetico complessivo degli Stati Uniti è stato ottenuto dal carbone, il combustibile fossile tradizionale più inquinante in assoluto e che produce la maggior quantità di biossido di carbonio. È come dire che rispetto all´anno precedente si è registrato uno sbalorditivo calo di 20 punti percentuali. L´Eia prevede un calo ulteriore entro la fine dell´anno, lasciando chiaramente intendere che per il carbone - che per molti decenni ha fornito la stragrande maggioranza dell´energia in America - si prospetta una storica battuta d´arresto.
Ancora più incoraggiante, tuttavia è la vicenda - in buona parte sconosciuta - che sta dietro a questa considerevole riduzione dell´utilizzo del carbone. Alla copertura dei media mainstream va il merito di aver fatto abbassare il prezzo del gas naturale (il principale concorrente del carbone), e altrettanto ne va all´annuncio del 27 marzo da parte dell´Amministrazione Obama di più rigidi limiti per le emissioni di gas serra prodotte dalle centrali statunitensi. Di sicuro entrambi questi fattori hanno rivestito un ruolo importante.
Altrettanto fondamentale è stato un terzo fattore: la tenace ribellione partita dal basso, proprio dalla popolazione, che ha fermato la realizzazione già programmata di almeno 166 impianti energetici alimentati a carbone. Gli attivisti sono stati aiutati: il prezzo in diminuzione del gas naturale e il calo generico della domanda di elettricità dovuta alla crisi finanziaria hanno reso il carbone una scelta discutibile. In ogni caso, è stato l´attivismo della base ad aver trasformato questa criticità in una sconfitta a tutti gli effetti: lo afferma Thomas Sanzillo, ex vice controllore del governo dello stato di New York che ha collaborato con Beyond Coal. «Se gli attivisti non fossero intervenuti a parlare con i regolatori del governo e con le redazioni dei giornali, continuando a sostenere che il carbone sarebbe stata una pessima scelta, la costruzione degli impianti sarebbe proseguita».
A differenza dell´attività di lobby all´ingrosso dei gruppi ambientalisti mainstream che esercitavano pressioni su Capitol Hill per la "cap-and-trade" (programma di riduzione delle emissioni, ndr), il punto di forza del movimento Beyond Coal va ricercato nel lavoro non strombazzato di politici al dettaglio: attivisti che ne parlano con i vicini di casa e gli amici, incalzano i media locali, affollano le sale delle udienze dove si parla di normative, protestano prima dell´approvazione delle leggi statali, presentano esposti legali e così via. Oltre tutto, il movimento che si è battuto contro l´utilizzo del carbone non è formato dai soliti sospetti: oltre agli ambientalisti, ne fanno parte coloro che si battono per l´energia pulita, professionisti del settore sanitario, organizzatori comunitari, esponenti religiosi, agricoltori, avvocati, studenti e volontari come Verena Owen, una giovane dell´Illinois che si è rivelata così capace da essere assunta per affiancare Mary Anne Hitt, direttrice della campagna Beyond Coal.
I benefici per la salute sono immensi: «Ogni anno gli impianti alimentati a carbone provocano oltre 200mila attacchi di asma nella nazione, molti dei quali nei bambini» aveva detto nel luglio 2011 il sindaco di New York Michael Bloomberg, riferendo i dati dell´Agenzia per la protezione dell´ambiente degli Stati Uniti. E aveva anche aggiunto che "l´inquinamento da carbone uccide ogni anno 13mila americani e ci costa cento miliardi di dollari per le cure mediche". Ciò contribuisce a spiegare per quale motivo il sindaco miliardario di New York si sia impegnato a donare 50 milioni di dollari di tasca propria per sostenere la prossima fase della missione di Beyond Coal, che dal fermare la costruzione di nuovi impianti già programmati passerà a cercare di far chiudere quelli già esistenti per sostituirli con altri a energia pulita. «Il nostro obiettivo è far chiudere un terzo degli impianti a carbone esistenti in tutta l´America (circa 500) entro il 2015 e porre fine all´utilizzo di carbone in tutto il mondo entro il 2030» dice Bruce Niller, direttore senior della campagna di Beyond Coal presso il Sierra Club che ospita l´organizzazione.
Questo risultato però, che segna una svolta epocale nella lotta contro il riscaldamento del clima resta per lo più ignorato, non soltanto fuori dagli Stati Uniti, ma anche da buona parte degli americani stessi. Perché? Per lo più perché i media e la classe politica statunitensi valutano le questioni di pubblica utilità tramite gli occhi della Washington ufficiale. Lì era opinione prevalente che la legge cap-and-trade fosse il limite assoluto accettabile dal sistema politico statunitense. Anche quando quell´opzione presumibilmente realistica fu respinta nel 2010, molti osservatori - compresi alcuni ambientalisti - giunsero alla conclusione che gli Stati Uniti erano incapaci di passare all´azione in maniera significativa. Le grandi corporation inquinatrici erano troppo forti, mentre l´opinione pubblica era troppo confusa e indifferente.
Secondo Beyond Coal non è così: «Questa campagna ha dimostrato che possiamo agire di stato in stato, di centrale in centrale, di città in città», sostiene la Hitt. La campagna ha organizzato la popolazione degli attivisti a livello locale, intorno a obiettivi concreti e tangibili: la loro aria, la loro acqua, il clima che i loro figli avrebbero ereditato. Si è astenuta dal lanciare messaggi vaghi, preferendo appoggiare un´unica chiara richiesta - "No New Coal" -. In sostanza, come il movimento Occupy Wall Street, la campagna Beyond Coal ha dimostrato che lo status quo non può tutto e che quando un gran numero di persone si coalizza, dando vita a un potere politico a livello locale, può davvero cambiare il mondo. E forse addirittura il pianeta.
Traduzione di Anna Bissanti
Mark Hertsgaard (www. markhertsgaard.com) è Fellow della New America Foundation di Washington, D. C., e corrispondente per l´ambiente di "The Nation". Ha pubblicato sei libri