EGLE SANTOLINI, La Stampa 6/6/2012, 6 giugno 2012
Un bravo parrucchiere è per sempre - Perfino in tempi di crisi, sono poche quelle che rinunciano. Magari ci vanno di meno, solo per la tinta e il taglio
Un bravo parrucchiere è per sempre - Perfino in tempi di crisi, sono poche quelle che rinunciano. Magari ci vanno di meno, solo per la tinta e il taglio. Ma restare senza i consigli del parrucchiere, vogliamo scherzare? Arriva dunque al momento giusto un libro che spiega come scegliere quello bravo e non ladro, per non sprecare soldi e frustrazioni allo specchio; e anche chi era la «dynasty» di acconciatori che, cinquant’anni fa, aveva capito tutto, cioè che il parrucchiere migliore è quello che ti mette nelle condizioni di rifarti la testa da sola, a casa. S’intitola «Mi raccomando la frangia» (Add, in libreria il 19 giugno) e l’ha scritto Jill Vergottini, erede prima recalcitrante («Avrei fatto la hostess, l’astronauta, tutto tranne che quello») e poi appassionata («Taglio anche la domenica, e non parto mai senza il kit da lavoro») di «quei» Vergottini, cioè i parrucchieri di via Montenapoleone inventori del caschetto geometrico che sta alla Milano del boom come il taglio alla garçon all’America di Scott Fitzgerald. Da Cele, Lina e Marisa andavano Franca Valeri e le ragazze del Nepentha, Loretta Goggi e le mogli degli architetti: quella v a coda di rondine sulla nuca a nessuno riusciva così bene, e il bello era che anche dopo lo shampoo il look resisteva. Un giorno del 1966 tale Caselli Caterina, castana, di Sassuolo, uscì dal loro salone platinata e frangiata, insomma casco d’oro. E siccome Cele tagliava i capelli anche alla moglie di Guido Crepax, e a lui quella pettinatura piaceva moltissimo, esiste la quasi certezza che pure Valentina andasse dai Vergottini. Jill, chissà che ricordi. «Quelli di un boudoir, di un universo tutto femminile. Zio Cele è morto giovane, mio padre si era trasferito a Roma. Eravamo tutte femmine, le clienti si confidavano, qualche volta si spogliavano pure in pubblico, come quella signora sui 60 che un giorno voleva dimostrarci di avere ancora delle belle tette, e chissà come mai suo marito s’intristiva su “Colpo grosso” tutte le sere. Zia Lina era una specie di guida spirituale, la stavano a sentire come una sacerdotessa». Dai tempi eroici dei suoi zii ai parrucchieri cinesi o «di catena» non è stato un gran progresso. «L’importante è trovare i bravi professionisti, che non ti truffino e che ti facciano sentire rilassata». I vizi psicologici del parrucchiere contemporaneo? «Spesso è troppo star, ha idee preconcette, ti intontisce di parole invece di starti a sentire. Nel caso scappare subito, è lui al tuo servizio e non viceversa». Altri saloni da evitare? «Quelli dove si litiga di fronte alla clientela, magari per questioni di ferie o di stipendi. Queste faccende si regolano dopo la chiusura, nessuna ha voglia di sorbirsi le vertenze sindacali altrui. Mi darebbe fastidio al supermercato, figurarsi in un posto dove voglio conquistarmi due ore di pace». Da un punto di vista più tecnico? «Dedico buona parte del mio libro al tema dell’igiene e della pulizia: dovrebbe essere un prerequisito. E poi c’è la questione dei prodotti. È anche da lì che si capisce quanto vale un acconciatore. Lei laverebbe un golfino di cachemire con il detersivo per i pavimenti?». Jill bacchetta i colleghi che esagerano con la forbice: «Uscire dal salone con cinque centimetri di capelli in meno quando abbiamo chiesto una rinfrescata al taglio è una delle cose più fastidiose in assoluto». Parlando dei controversi coiffeur cinesi: «Sulla qualità del lavoro e dei prodotti che utilizzano non metterei la mano sul fuoco, ma una piega a 8 euro in 20 minuti ci può stare». Per il resto, assumete come vademecum le sue sei regole. E buona lavata di testa.