Ennio Caretto, Corriere, 6.6.12, 6 giugno 2012
L’avversario americano e i suoi Cavalieri Per essere una istituzione cattolica benefica, l’Ordine dei cavalieri di Colombo ha un potere politico e finanziario senza pari, che si estende ben oltre i confini dell’America, la sua terra d’origine
L’avversario americano e i suoi Cavalieri Per essere una istituzione cattolica benefica, l’Ordine dei cavalieri di Colombo ha un potere politico e finanziario senza pari, che si estende ben oltre i confini dell’America, la sua terra d’origine. Tra i suoi membri vi furono il primo candidato cattolico alla presidenza degli Stati uniti, il democratico Al Smith, battuto nel 1928 dal repubblicano Herbert Hoover, futuro «padre» della Grande depressione degli Anni trenta, e il primo presidente cattolico, John Kennedy, eletto nel 1960 e assassinato nel 1963. Oggi vi sono leader della destra americana come Jeb Bush, ex governatore della Florida, figlio di George Bush senior e fratello di George Bush jr; come lo speaker della Camera John Boehner; come l’ex senatore integralista Rick Santorum, sconfitto di recente alle primarie repubblicane da Mitt Romney. L’Ordine, che ama definirsi «il braccio destro forte della Chiesa», è un impero finanziario che conta nelle sue file banchieri e industriali: le sue polizze assicurative, le sue fondamenta, sono valutate 85 miliardi di dollari, e il suo patrimonio è valutato 15 miliardi e mezzo. Nel primo decennio del 2000, da quando Carl Anderson, 61 anni, sposato, con cinque figli, fu nominato Supremo cavaliere, esso versò in beneficenza, non di rado al Vaticano, più di 1 miliardo e mezzo di dollari. Non a caso, i Cavalieri di Colombo godono da 19 anni consecutivi del massimo rating di Standard and Poor’s. Non sorprende perciò che Anderson sia tra i candidati alla presidenza dello Ior, la banca vaticana, dove figura nel Consiglio d’amministrazione, e dove ha votato per la rimozione di Ettore Gotti Tedeschi. Il suo carnet è impeccabile. Acceso credente, sostenitore di Benedetto XVI, fermamente contrario all’aborto e ai matrimoni gay, come vogliono i valori americani, Anderson è un rigido custode della ortodossia cattolica, autore di bestseller edificanti, da «Una civiltà di amore» a «Al di là della casa divisa». Ed è un superbo manager: avvocato, abilitato alle cause davanti alla Corte suprema degli Stati uniti, investitore attento (sotto di lui, in media l’Ordine ha guadagnato il 7 per cento annuo) fa parte integrante dell’establishment di Washington fino dagli Anni Ottanta, quando il presidente repubblicano Ronald Reagan lo volle prima alla Casa bianca poi alla Commissione dei diritti civili. Anderson porterebbe al Vaticano la visione conservatrice e combattiva della Chiesa dei vescovi statunitensi. Conosce bene Roma: ha insegnato all’Università e all’Istituto pontifici, ed è Ambasciatore di Roma 2020. Alla sua nomina a capo dello Ior si frappongono due ostacoli: il suo stipendio di Supremo cavaliere è degno di Wall street, si aggira su 1 milione 200 mila dollari annui; né depone a favore di un americano il precedente dell’arcivescovo Marcinkus, suo connazionale, che coinvolse lo Ior nello scandalo Calvi del Banco Ambrosiano degli Anni ottanta. Ma è probabile che, con l’aiuto dell’Ordine, a differenza di Marcinkus, Anderson americanizzerebbe il Vaticano e ne risanerebbe le finanze.