VARIE 5/6/2012, 5 giugno 2012
APPUNTI PER GAZZETTA. LA CRISI E LE PRESSIONI AMERICANE
REPUBBLICA.IT - LE ENTRATE FISCALI DIMINUISCONO?
MILANO - Nei primi 4 mesi del 2012 le entrate tributarie ammontano a 117.030 milioni, +1,3% rispetto allo stesso periodo del 2011. Per un confronto omogeneo, si evidenzia che al netto dell’imposta sostitutiva una tantum sul leasing immobiliare di aprile 2011, si registra una crescita del 2,5%. Lo comunica il ministero dell’Economia.
Tuttavia, secondo la Ragioneria dello Stato, le entrate tributarie dei primi 4 mesi sono inferiori di 3.477 milioni di euro rispetto alle previsioni annuali contenute nel Def, il Documento di Economia e Finanza. La differenza è del 2,9%.
Nel complesso, spiega il Dipartimento delle Finanze, pur in presenza di una congiuntura fortemente negativa, la dinamica delle entrate tributarie risulta positiva per effetto delle misure correttive varate a partire dalla seconda metà del 2011. Le imposte dirette presentano una variazione positiva dello 0,5% (+316 milioni di euro). Il gettito Ire evidenzia una lieve contrazione dello 0,5% (-280 milioni di euro) ascrivibile all’andamento negativo delle ritenute dei lavoratori autonomi (-2,4%) e dei lavoratori dipendenti pubblici (-0,8%) parzialmente compensato dall’andamento positivo delle ritenute dei dipendenti privati (+1,4). Il gettito Ires ha generato un incremento del 7,9% (+103 milioni di euro) per effetto delle scadenze dei termini di versamento dei contribuenti con esercizio non coincidente con l’anno solare. Tra le altre imposte dirette si segnala la crescita dell’imposta sostitutiva su ritenute, interessi e altri redditi di capitale (+554 milioni di euro
pari a +26,7%) influenzata da diversi fattori di carattere tecnico-normativo e in particolare dalle modifiche apportate al regime di tassazione delle rendite finanziarie.
Nei primi quattro mesi del 2012 si segnala l’incremento del gettito dell’imposta di bollo (+180% pari a +1.939 milioni di euro) dovuto alle modifiche normative apportate con i provvedimenti della seconda metà del 2011 alle tariffe di bollo applicabili su conti correnti, strumenti di pagamento, titoli e prodotti finanziari, nonchè all’anticipo del versamento dell’acconto sull’imposta di bollo.
Le imposte indirette fanno rilevare un incremento complessivo del 4,6% (+2.501 milioni di euro). In lieve calo il gettito Iva (-1,0% pari a -297 milioni di euro) che riflette l’effetto congiunto dell’aumento della componente Iva del prelievo sulle importazioni (+4,7%) e della flessione della componente relativa agli scambi interni (-2,2%) dovuta al ciclo economico negativo e all’indebolimento della domanda interna.
In aumento il gettito delle imposte sulle transazioni che nel complesso cresce del 48,5%. Si segnala l’incremento del gettito dell’imposta di bollo (+180,0% paria a +1.939 milioni di euro) dovuto alle modifiche normative apportate con i provvedimenti della seconda metà del 2011 alle tariffe di bollo applicabili su conti correnti, strumenti di pagamento, titoli e prodotti finanziari, nonchè all’anticipo del versamento dell’acconto sull’imposta di bollo.
Tra le altre imposte indirette si evidenzia la crescita del gettito dell’imposta di fabbricazione sugli oli minerali (+24,0% pari a +1.352 milioni di euro) sostenuto dagli aumenti delle aliquote di accisa disposti dal decreto "Salva Italia". In flessione il gettito dell’imposta di consumo sul gas metano (-32,4%) a causa del meccanismo di versamento dell’imposta e del calcolo del conguaglio sui consumi dell’anno precedente.
(05 giugno 2012) © Riproduzione riservata
REPUBBLICA.IT - NOVE MILIONI DI ITALIANI NON HANNO PIU I SOLDI PER CURARSI
ROMA - L’assistenza sanitaria è negata a 9 milioni di italiani. Fra questi, 2,4 milioni sono anziani, 5 milioni sono coppie con figli e 4 milioni sono residenti nel Mezzogiorno. Tutti costretti per ragioni economiche a rinunciare alle prestazioni di cui hanno bisogno. E’ lo scenario mostrato dal Censis nel suo rapporto Rbm Salute, promosso in collaborazione con Munich Re e presentato al Welfare Day.
Il rapporto evidenzia come, con una sanità pubblica sempre più in affanno, si ingigantisca il ricorso a quella privata che fa registrare un +25,5% negli ultimi dieci anni. Una crescita esponenziale che il Censis non considera come una valida alternativa dal punto di vista del cittadino. Perché sono moltissimi che non possono permettersi le cure private e chi non ha i soldi finisce per rinunciare alle prestazioni di cui ha bisogno o a cercarne a basso costo sul web, con tutti i rischi che ciò comporta.
Il fenomeno, rileva il Rapporto, è accentuato in maniera drammatica dalla crisi economica che da un lato ha richiesto e richiede interventi di riduzione della spesa pubblica, dall’altro ha impoverito le famiglie. Stando alla ricerca, una politica aggressiva di tagli, piani di rientro e spending review ha determinato, negli ultimi anni, un crollo verticale del ritmo di crescita della spesa pubblica per la sanità. I numeri parlano chiaro: si è passati da un tasso di incremento medio annuo del 6% nel periodo 2000-2007, a solo il +2,3% nel periodo 2008-2010. La flessione si registra soprattutto nelle regioni con piani di rientro, dove dal +6,2% all’anno nel periodo 2000-2007, si è scesi a meno dell’1% di crescita media annua nel periodo 2008-2010.
In controtendenza, la spesa sanitaria privata aumenta del 2,3% negli anni 2008-2010 (quelli che coincidono con l’esplodere della crisi), in crescita dello 0,1% rispetto al periodo 2000-2007.
Anche le sensazioni che gli italiani hanno delle prestazioni erogate del proprio servizio sanitario non sono incoraggianti. Per il 31,7%, la sanità nella propria regione è in peggioramento, con un balzo di 10 punti percentuali in più nel 2012 rispetto al 2009, quando a sostenere questa tesi era il 21,7% dei cittadini. Quelli che avvertono invece un miglioramento sono diminuiti di oltre 7 punti percentuali.
"I tagli alla sanità pubblica - si legge nel rapporto del Censis - abbassano la qualità delle prestazioni e generano iniquità. Per questo è prioritario trovare nuove risorse aggiuntive per impedire che meno spesa pubblica significhi più spesa privata e meno sanità per chi non può pagare". Invertire quindi un trend che prevede, nel 2015, un gap di circa 17 miliardi di euro tra le esigenze di finanziamento della sanità e le risorse disponibili nelle regioni.
Per questo la ricerca considera la sanità integrativa una opportunità e una risposta per avere un servizio sul territorio più equo e sostenibile. Spiega il Censis: "La sanità complementare in Italia è un universo composto da centinaia di Fondi integrativi, a beneficio di oltre 11 milioni di assistiti, che svolgono un ruolo ampiamente sostitutivo e colmano i vuoti dell’offerta pubblica".
La ricerca di Rbm Salute-Censis ha riguardato 14 Fondi sanitari per oltre 2 milioni di assistiti e importi richiesti per prestazioni pari a oltre 1,5 miliardi di euro nel triennio 2008-2010. Il 55% degli importi dei Fondi integrativi ha riguardato prestazioni sostitutive (ricovero ospedaliero, day hospital, ecc.) fornite in alternativa a quelle del Servizio sanitario. Il restante 45% degli importi ha riguardato prestazioni integrative (cure dentarie, fisioterapia, ecc.). Tra le varie tipologie di Fondi integrativi esistenti, sono i fondi aziendali, rispetto a quelli istituiti dalla contrattazione collettiva nazionale, a garantire in misura maggiore la copertura anche alle famiglie degli iscritti.
(05 giugno 2012)
REPUBBLICA.IT - SPAGNA CHIEDE AIUTO ALLE BANCHE
MILANO - Il ministro spagnolo del Bilancio Cristobal Montoro ha chiesto che l’Europa metta a disposizione fondi per le banche spagnole. In un’intervista alla radio Onda Cero, Montoro ha sottolineato, tuttavia, che non è necessaria una quantità di fondi "eccessiva, non parliamo di cifre astronomiche".
Proprio ieri il governo di Madrid aveva detto di non aver bisogno di aiuti esterni per risolvere il problema bancario, ma Montorio ha spiegato che la corsa dello spread, il differenziale di rendimento tra i titoli di stato tedeschi e spagnoli, chiude l’accesso ai mercati per la Spagna. Lo spread non scende sotto quota 500 punti base e i bonos a 10 anni rendono oltre il 6,3%, un tasso insostenibile per Madrid. "Lo spread - spiega il ministro - dice che la Spagna non ha la porta del mercato aperta e che, come Stato, abbiamo un problema di accesso ai mercati quando abbiamo bisogno di rifinanziare il debito". Montorio ha poi aggiunto che per la ricapitalizzazione "non serve una grande somma".
"La Spagna non può essere salvata nel senso tecnico del termine - ha continuato Montoro - la Spagna non ne ha bisogno, ha bisogno di più Europa, di più meccanismi per l’integrazione dell’Europa". Il ministro ha aggiunto che né la Francia né la Germania hanno fatto pressioni su Madrid perché chieda aiuti internazionali, mentre il ministro della Finanze tedesco Wolfgand Schaeuble ha detto: "Il governo spagnolo sta prendendo tutte le decisioni giuste, nonostante non vi sia per una crisi di questa portata una ricetta infallibile. Tuttavia noi siamo messi meglio di due anni fa".
A fare i conti del costo della crisi è il presidente di Santander, Emilio Botin, secondo cui alle banche spagnole servirebbero aiuti per 40 miliardi. Botin ha però aggiunto che vanno evitati a qualsiasi costo aiuti diretti alla Spagna che limiterebbero la sovranità del paese. Secondo il banchiere i fondi necessari dovrebbero invece essere resi disponibili da un’istituzione europea o da un meccanismo di stabilità.
Non si è fatta attendere nel frattempo la risposta europea all’allarme lanciato dalla Casa Bianca 1. "Non ha senso rinfacciarsi le responsabilità gli uni con gli altri. Non mi risulta che la crisi sia cominciata in Europa. Lehman Brothers non era una banca italiana né francese", ha detto il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. Più morbida la replica del suo collega italiano Giulio Terzi che ha spiegato che la preoccupazione americana "è condivisa: le parole di Obama non sono un richiamo, ma un invito a procedere in modo coeso e unitario". Il titolare della Farnesina ha incontrato Fabius a Villa Madama. Italia e Francia torneranno presto a incontrarsi. Il presidente francese, Francois Hollande, verrà in visita ufficiale a Roma il 14 giugno.
Le preoccupazioni di Washington rimangono, come testimonia la dichiarazione di Michael Froman, uno dei consiglieri del presidente Barack Obama: "L’Europa ha intrapreso passi importanti per affrontare la crisi, ma i mercati si attendono di più, e bisogna fare di più".
(05 giugno 2012)
REPUBBLICA.IT - IL PIANO TEDESCO
BERLINO – Si avvicina il vertice europeo di fine mese, dove le proposte di politiche per la crescita economica e l’occupazione, insieme alla crisi dell’euro, saranno al centro del confronto tra i 27 membri dell’Unione europea, ed ecco che si torna a parlare con crescente insistenza di programmi, piani e idee per crescita e rilancio da parte della Germania. Secondo diversi media, da Handelsblatt, a Spiegel online, alla Bild, il governo Merkel si prepara a proporre ai partner europei alcune idee. Il piano è stato concordato alla fine della settimana scorsa tra la Cancelliera Angela Merkel e i ministri delle Finanze, dell’Economia e degli Esteri. Cioè Wolfgang Schaeuble, Philipp Roesler e Guido Westerwelle.
I punti più importanti del piano, come scriveva stamane Bild online (l’edizione digitale del quotidiano più letto d’Europa) sono, nell’ordine:
1) Il governo federale vuole aumentare di 10 miliardi di euro il capitale della Banca europea per gli investimenti, ciò significa che nei prossimi anni la Bei potrà concedere crediti per circa 15 miliardi di euro ogni anno.
2) I mezzi finanziari a disposizione dell’Unione europea (quelli destinati di solito a vari fondi europei) dovranno essere usati per lottare contro la disoccupazione giovanile. In tal senso il piano tedesco loda esplicitamente la proposta della Commissione europea per mettere immediatamente a disposizione 7,3 miliardi di euro del bilancio regolare della Ue per l’occupazione dei giovani.
3) Inoltre la Germania propone di chiedere che la Commissione europea spenda 73 miliardi del bilancio europeo per stimolare l’occupazione giovanile.
4) Le risorse del fondo sociale europeo dovrebbero essere destinate a un miglioramento della formazione professionale nei paesi più colpiti dalla crisi.
5) I paesi dell’Eurozona dovrebbero concordare in modo vincolante la loro politica economica e finanziaria, e avviare tutti riforme strutturali, onde evitare uno sgretolamento dell’unione monetaria. Su quest’ultimo punto è tornato oggi in un’intervista il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, chiedendo che si arrivi alla svolta politica di una vera unione di bilancio tra i paesi aderenti alla moneta unica. Il piano tedesco, che s’intitola “Più crescita per l’Europa: occupazione-investimenti-innovazioni tecnologiche” ed è esposto in otto pagine, sottolinea comunque che il rigore resta necessario, e che si dovrebbero negare gli aiuti per la crescita a quegli Stati membri della Ue che rifiutano di adeguarsi agli obiettivi di consolidamento dei conti pubblici posti dall’Unione stessa.
6) Nella sua versione ufficiale resa nota ieri, il piano del governo tedesco non parla di imposte sulle transazioni finanziarie (Tobin tax) ma si limita ad auspicare l’introduzione di regole più severe per il settore finanziario.
Il piano di Angela Merkel sarà prima sottoposto, il 13 giugno prossimo, ai partiti d’opposizione (Socialdemocrazia, cioè Spd, e Verdi) al negoziato tra le sinistre democratiche e il governo di centrodestra della cancelliera, poi ai partner europei al vertice Ue di fine mese. Un confronto con l’opposizione è vitale per Merkel, perché Spd e Verdi hanno preannunciato che non voteranno a favore del fiscal compact europeo se questo non verrà accompagnato da concrete misure per la crescita. E per la ratifica del fiscal compact al Bundestag (così come per il sì dei legislatori tedeschi al varo del sistema di stabilità monetaria europeo Esm, che si affiancherà al fondo salvastati Fesf) è necessaria una maggioranza dei due terzi.
(05 giugno 2012)
REPUBBLICA.IT - RAMPINI
Si è appena conclusa la teleconferenza dei ministri economici del G7. Tante promesse, nulla di fatto. Gli europei presenti (cioè i ministri economici di Germania Francia Italia, più l’Inghilterra non-euro) hanno parlato di una “risposta rapida” alla crisi. E’ stata evocata la transizione verso una vera unione fiscale. Pochi i dettagli, e non sembra che la Germania abbia tirato fuori l’asso dalla manica cioè l’atteso piano per una messa in comune di una parte dei debiti. Pochi anche i dettagli sul salvataggio delle banche spagnole. Se ne riparlerà al G20 di Los Cabos, in Messico il 18 giugno. Dove l’America potrà contare anche sui Brics per fare pressione sugli europei.
CORRIERE.IT - LE ENTRATE TRIBUTARIE INFERIORI ALLE ATTESE
MILANO - E’ allarme per i conti dello Stato. Nonostante in termini assoluti siano in crescita, le entrate tributarie dei primi 4 mesi del 2012 sono infatti inferiori di 3.477 milioni di euro rispetto alle previsioni annuali contenute nel Def, il Documento di Economia e Finanza. La differenza è del 2,9%. È quanto rileva il Rapporto sulle entrate tributarie della Ragioneria e del Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia. A queste mancate entrate dobbiamo poi immaginare che si aggiungeranno gli effetti del terremoto con il prevedibile ulteriore calo di gettito, sul fronte Iva e Irpef. Senza contare l’incremento delle spese.
GETTITO IVA - Allo scostamento rispetto alle previsioni contribuiscono le entrate del bilancio dello Stato per -3.140 milioni di euro (-2,7 %) ed in particolare il gettito Iva che riflette fattori di natura congiunturale. In flessione anche i ruoli per -93 milioni di euro (-4,5%), le poste correttive per -160 milioni di euro (-2,2%) e le entrate tributarie degli enti territoriali per -84 milioni di euro (-1,2%).
Il premier Mario Monti (Jpeg)Il premier Mario Monti (Jpeg)
ENTRATE - Come detto, in termini assoluti, nei primi 4 mesi del 2012 le entrate tributarie ammontano a 117.030 milioni, +1,3% rispetto allo stesso periodo del 2011. Per un confronto omogeneo, si evidenzia che al netto dell’imposta sostitutiva una tantum sul leasing immobiliare di aprile 2011, si registra una crescita del 2,5%. Le imposte dirette presentano una variazione positiva dello 0,5% (+316 milioni di euro). Il gettito Ire - riferisce il Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia - evidenzia una lieve contrazione dello 0,5% (-280 milioni di euro) ascrivibile all’andamento negativo delle ritenute dei lavoratori autonomi (-2,4%) e dei lavoratori dipendenti pubblici (-0,8%) parzialmente compensato dall’andamento positivo delle ritenute dei dipendenti privati (+1,4). Il gettito Ires ha generato un incremento del 7,9% (+103 milioni di euro) per effetto delle scadenze dei termini di versamento dei contribuenti con esercizio non coincidente con l’anno solare. Tra le altre imposte dirette si segnala la crescita dell’imposta sostitutiva su ritenute, interessi e altri redditi di capitale (+554 milioni di euro pari a +26,7%) influenzata da diversi fattori di carattere tecnico-normativo e in particolare dalle modifiche apportate al regime di tassazione delle rendite finanziarie. Le imposte indirette fanno rilevare un incremento complessivo del 4,6% (+2.501 milioni di euro). In lieve calo il gettito Iva (-1,0% pari a -297 milioni di euro) che riflette l’effetto congiunto dell’aumento della componente Iva del prelievo sulle importazioni (+4,7%) e della flessione della componente relativa agli scambi interni (-2,2%) dovuta al ciclo economico negativo e all’indebolimento della domanda interna.
CORRIERE.IT - PRESSIONI AMERICANE
MILANO - Salvataggio (eventuale) di Grecia e Spagna, unione fiscale e finanziaria europea. Sono questi i principali temi discussi al G7 dei ministri finanziari e dei presidenti della banche centrale, secondo quanto riferito da più fonti. Sotto i riflettori c’è la Germania, mentre sulla politica rigorista del governo Merkel sembra allargarsi il fronte del dissenso. Al termine degli incontri il Tesoro americano, alle prese con i timori di un effetto contagio della crisi del debito europeo sull’economia statunitense, ha chiesto all’Europa di fare presto.
GLI USA: «FATE PRESTO» - I leader devono «agire in modo aggressivo» per sostenere membri dell’ Eurozona in difficoltà come la Spagna se vogliono contenere l’escalation della crisi debitoria ha detto Mark Sobel, assistente del dipartimento al Tesoro americano per le relazioni internazionali. «Il successo della prossima fase della risposta alla crisi dipende dalla volontà europea di mettere a punto strumenti e procedure in grado di sostenere i Paesi in modo efficace », ha detto. Per arginare la crisi che potrebbe innescare una catastrofe finanziaria globale, i leader europei devono «dare fiducia ai mercati e al pubblico sulla volontà politica di superare i problemi dell’Eurozona e preservare un’unione monetaria duratura».
5 giugno 2012 | 19:44
CORRIERE.IT - HOLLANDE VERRA A ROMA
MILANO - Un patto per la crescita e per convincere la Germania a dare il suo assenso a misure come gli eurobond. Questo il senso del prossimo incontro tra il presidente francese e le massime autorità italiane. Il Presidente della Repubblica francese Francois Hollande verrà in visita ufficiale a Roma il 14 giugno. Sono previsti incontri con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Presidente del Consiglio Mario Monti. Monti e Hollande torneranno a vedersi il venerdì 22 giugno, insieme al Cancelliere federale tedesco, Angela Merkel, e al presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy.
FABIUS - Ad aprire la strada ad Hollande è arrivato il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius che ha riproposto la necessità di varare al più presto quello che potrebbe essere il prossimo passo del progetto d’integrazione europea, vale a dire la cosiddetta unione bancaria europea da attuare attraverso un sistema di vigilanza comune. Secondo Fabius, «Il sistema europeo nella sua totalità deve trovare una soluzione: bisogna trovare meccanismi affinché i Paesi che compiono gli sforzi necessari non soffrano di asfissia». Il capo del Quai d’Orsay ha poi spiegato che per quanto riguarda la Spagna «occorre trovare un metodo pratico per portare i fondi necessari per far funzionare il sistema bancario senza il deficit di bilancio spagnolo venga ulteriormente appesantito». Dal canto suo, Terzi ha ricordato che «in questo momento è in corso un negoziato non solo sulla crescita, ma sulla solidità del sistema finanziario. Il tema (dell’unione bancaria, ndr) è sul tavolo e si discute con urgenza».
Redazione Online
CORRIERE.IT - HOLLANDE
MILANO - «L’Unione europea deve aiutare le nazioni in difficoltà finanziaria». Lo sostiene il premier spagnolo, Mariano Rajoy. «L’Europa - dice il premier nel corso di un dibattito al Senato - deve dire qual è la direzione che intende prendere per essere più unita, deve dire che l’euro è un progetto irreversibile che non è in pericolo e deve aiutare le nazioni in difficoltà».
IL MINISTRO - L’affermazione del primo ministro segue di qualche ora quella del ministro spagnolo del Bilancio Cristobal Montoro, che ha chiesto che l’Europa di mettere a disposizione fondi per le banche spagnole. Montoro ha sottolineato tuttavia che non è necessaria una quantità di fondi «eccessiva», «non parliamo di cifre astronomiche».
IL PIANO - Un piano di salvataggio a favore della Spagna è «tecnicamente impossibile», ha poi aggiunto il ministro del Tesoro spagnolo, Montoro. «La Spagna non può essere salvate nel senso tecnico del termine», ha affermato Montoro, «la Spagna non ne ha bisogno, ha bisogno di più Europa, di più meccanismi per l’integrazione dell’Europa». Il ministro ha aggiunto che nè la Francia nè la Germania hanno fatto pressioni su Madrid perchè chieda aiuti internazionali.
IL FINANZIAMENTO - Con gli attuali costi di finanziamento, i mercati sono chiusi per la Spagna. È la sua diagnosi. «Lo spread dice che la Spagna non ha la porta del mercato aperta e che, come Stato, abbiamo un problema di accesso ai mercati quando abbiamo bisogno di rifinanziare il debito» ha affermato il ministro, aggiungendo che «non serve una grande somma» per la ricapitalizzazione delle banche spagnole, la quale, secondo Montoro, dovrebbe avvenire attraverso i fondi di salvataggio europei.
LA CIFRA - La crisi delle banche spagnole potrebbe essere superata con aiuti Ue per 40 miliardi di euro, dice invece all’agenzia Efe il presidente di Santander, Emilio Botin, per il quale una tale cifra «sarebbe sufficiente». Botin ha però aggiunto che vanno evitati a qualsiasi costo aiuti diretti alla Spagna. Tali iniziative di salvataggio «danneggerebbero il Paese», ha detto Botin, per il quale i fondi necessari dovrebbero invece essere resi disponibili da un’istituzione europea o da un meccanismo di stabilità.
LIVINI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA - QUANTO ABBIAMO SPESO FINORA PER SALVARE LE BANCHE E QUANTO ABBIAMO SPESO PER SALVARE LA GRECIA
Banche battono Grecia & C. 3.500 (miliardi) a 393. La crisi finanziaria nata sulle ceneri della Lehman entra nel suo quarto anno di vita con una sola certezza: il salvataggio del sistema creditizio mondiale è costato finora quasi dieci volte in più di quello dei Paesi travolti dalla bufera dei debiti sovrani.
E mentre per Atene, Lisbona e Dublino i soldi arrivano con il contagocce (e accompagnati dalle condizioni draconiane di Ue-Bce e Fmi) il rubinetto per gli istituti continua a erogare una pioggia di miliardi a fondo perduto. Il bollettino degli ultimi giorni parla da solo: il governo ellenico è stato costretto a puntellare le sue banche con 18 miliardi stornati dal salvagente della Trojka. Il Portogallo ha versato 6,6 miliardi nelle casse di tre big del Paese. La Spagna ha stanziato 23 miliardi di soldi pubblici per salvare Bankia, messa ko dai mutui facili dell´era del boom immobiliare. E persino Cipro rischia di bussare al Fondo Salva-stati per trovare gli 1,8 miliardi (il 10% del suo pil) necessari a salvare la Cyprus Popular Bank.
Le banche, naturalmente, sono lo specchio dello stato di salute finanziario di una nazione. E senza i loro soldi, il motore dell´economia va in panne. I numeri, però, fanno lo stesso venire i brividi: Grecia, Portogallo e Irlanda hanno ricevuto ad oggi (e non per intero) 297 miliardi da Bruxelles e 96,5 dal Fondo monetario in cambio di tagli a stipendi e pensioni e sforbiciate a welfare e macchina dello Stato. Atene, si difendono i "donatori", ha diversi peccatucci da farsi perdonare (i conti truccati, l´evasione e un sistema pubblico ipertrofico) e Lisbona ha dormito un po´ sugli allori dell´ingresso nell´euro.
Vero. Nemmeno gli istituti di credito, però, hanno la coscienza a posto: hanno inventato subprime e derivati, garantito super-stipendi e profitti ai privati salvo poi farsi salvare dai soldi pubblici quando sono finiti nei guai. Com´è successo a Dublino prima e Madrid ora. Per loro tuttavia i quattrini non sono mai mancati: secondo uno rapporto dettagliato (come tradizione della casa) dell´ufficio studi Mediobanca, gli aiuti statali netti al settore erano arrivati nel novembre 2011 a 2.100 miliardi, sette volte il debito della Grecia. E da allora questa cifra ha continuato a gonfiarsi: la Bce ha garantito mille miliardi di prestiti low cost con un tasso dell´1%. L´Italia ha messo la garanzia pubblica sulle emissioni di bond bancari (quest´anno ne scadranno 100 miliardi). Persino l´austera Germania, durissima con Atene, ha stanziato senza batter ciglio per le sue traballanti banche qualcosa come 417 miliardi.
Risultato finale: i problemi del credito sono già costati 3.500 miliardi. Una cifra che da sola basterebbe a pagare tutti i debiti di Italia, Spagna, Grecia e Portogallo messi assieme. E mentre nei paesi travolti dalla crisi gli elettori hanno potuto punire i colpevoli con il voto nelle urne, molti dei vertici delle banche finite ko sono ancora saldamente al loro posto.
Tutta questa generosità è inevitabile, è il mantra dei guru del libero mercato. La finanza muove il mondo e nessuno può permettersi il fallimento di una grande banca che avrebbe effetti ben più deflagranti di quello della Grecia. Peccato che mentre ad Atene – in cambio di pochi miliardi – si chiede di tirare la cinghia, ai big del credito sia ancora concesso tutto: a fine 2011 il valore nozionale dei derivati sulla roulette dei mercati era arrivato all´iperbolico livello di 647mila miliardi di dollari, nove volte il Pil mondiale. Se il mondo farà crac, toccherà in ogni caso prima salvare le banche.
RAMPINI SU REPUBBLICA PER L’EMERGENZA AMERICANA
Oggi una teleconferenza d´emergenza tra i ministri economici del G7 affronta la nuova crisi globale provocata dai timori di crac nel sistema creditizio spagnolo. Ormai non è più solo contro la Germania che si concentrano le critiche dal resto del mondo. Bce e Commissione europea vengono ritenute corresponsabili del disastro. Sotto processo non è unicamente l´austerity, più urgente è il pericolo di bancarotta nel settore del credito. «I mercati rimangono scettici - dichiara il portavoce di Obama, Jay Carney - che le misure prese finora siano sufficienti a garantire una ripresa in Europa, e ad allontanare il rischio di peggioramento della crisi. Bisogna fare altro. Comunque, siamo pronti a compiere tutti i passi necessari per isolare l´economia americana dall´impatto negativo della crisi in eurozona».
Fin qui la linea d´attacco è la dottrina Obama di sempre: l´austerity dell´eurozona è un suicidio, crea recessione e disoccupazione, peggiora gli stessi squilibri di finanza pubblica che vorrebbe sanare. Ha il tono della disperazione l´attacco della Casa Bianca. Ne va delle chance di rielezione di Obama a novembre, dopo una raffica di segnali di rallentamento che confermano il contagio dall´euro verso gli Stati Uniti e i Brics.
Ma oltre all´accusa contro le Germania perché ignora l´abc di una politica economica anti-depressiva, la Casa Bianca apre un nuovo fronte. Il portavoce di Obama cita la crisi delle banche europee. Perfino George Bush - è il pesante messaggio della Casa Bianca - si comportò meglio dell´Unione europea. Il segretario al Tesoro Tim Geithner «ha discusso con i suoi partner europei le lezioni che imparammo nel 2008, e che oggi potrebbero essere applicate in Europa». Quali lezioni? Dopo il crac di Lehman, Bush intervenne con la ri-capitalizzazione forzata delle altre banche. Venne approvato dal Congresso il "fondo Paulson" da 600 miliardi di dollari. Obama conosce l´obiezione a quell´intervento (obiezione di Occupy Wall Street ma anche della destra neoliberista "pentita"), cioè che scaricò le malefatte dei banchieri sulle spalle dei contribuenti americani. Il seguito di quella vicenda però ha un finale meno negativo. Gli aiuti pubblici alle banche Usa sono stati recuperati nella massima parte. Poi è stato il mercato a farsi carico della fase successiva del risanamento. Le banche più deboli sono state comprate dalle più forti (vedi l´operazione Bank of America su Merrill Lynch). Gli investitori ne hanno tratto la fiducia sufficiente per partecipare a nuovi aumenti di capitali. Oggi il sistema creditizio americano è ben più solido di quello europeo, anche grazie ai rigorosi "stress test" delle autorità di vigilanza che hanno simulato situazioni di crisi per verificare come reagirebbero gli istituti Usa.
Le accuse di Obama trovano un´ampia risonanza. Il ministro delle Finanze del Canada, Jim Flaherty, nel rivelare la teleconferenza del G7 sposa la linea americana: «Il problema numero uno oggi sono le banche europee, la loro debolezza, la loro mancanza di capitali, e il fatto che le nazioni dell´euro non hanno affrontato questo problema in maniera adeguata». Uno sherpa del G7 si spinge oltre: «L´allarme deriva dalla possibilità di un assalto agli sportelli bancari in Spagna, che avrebbe ripercussioni ben oltre l´eurozona». Fanno quadrato attorno all´America di Obama anche gli emergenti. Il Brasile si unisce alla pressione sulla Merkel: «Quei Paesi europei che se lo possono permettere - e non sono molti - devono stimolare la ripresa con manovre di spesa pubblica». In quanto alla Cina, ha diramato istruzioni a tutti i rami della sua amministrazione pubblica, perché preparino piani d´emergenza in caso di uscita della Grecia dall´euro. Sulla questione bancaria l´interrogativo di Obama resta senza risposta. Se le banche spagnole sono sull´orlo del baratro, per Washington non c´è alternativa alla "terapia del 2008": ciò che non può essere salvato va liquidato in una "bad bank", poi gli interventi pubblici devono essere un passaggio transitorio, in vista di una vendita delle banche deboli ad altri istituti più forti. Problema: se questo significasse al termine che l´intero settore creditizio della Spagna diventa tedesco? In America non è un problema quando una banca del North Carolina (Bank of America) ne divora una con sede a New York (Merrill Lynch), ma l´Europa è un´altra cosa.