Vittoria Puledda, A&F la Repubblica 4/6/2012, 4 giugno 2012
GRECO, IL NAPOLETANO DI FERRO CHE HA CONQUISTATO GLI SVIZZERI
Milano Il mondo in una polizza. Il curriculum di Mario Greco, classe ‘59 napoletano di nascita e mittleuropeo di formazione, con una moglie biondissima che sembra tedesca e invece è di origine torinese (parente, dicono le cronache mondane, di Franzo Grande Stevens) e due figli all’università, ma all’estero, è tutto racchiuso nel settore assicurativo, a parte qualche rarissima esperienza altrove (ad esempio è consigliere indipendente del Gruppo editoriale L’Espresso). E a parte gli esordi, nella società di consulenza più potente in Italia e non solo - la McKinsey - che negli ultimi venti anni ha sfornato top manager a tutto il Ftse Mib, da Francesco Caio a Corrado Passera, da Gianemilio Osculati a Vittorio Colao, da Paolo Scaroni ad Alessandro Profumo a Enrico Cucchiani. Con molti dei quali Greco si è incrociato - qualche volta anche in modo burrascoso - nell’arco della sua carriera. Del resto, per carattere e determinazione, Greco richiama attenzioni e forti reazioni. La diplomazia non è il suo forte, sostiene chi lo conosce, ma il piglio deciso che porta nei gruppi che va a dirigere è di quelli che lasciano il segno. A partire dal suo primo banco di prova, forse il più amato, nella Ras a cavallo degli anni Duemila. Un periodo di grande dinamismo, anche come stile di gestione: ad esempio Mario Greco fu tra i primissimi a studiare e a realizzare un importante spin off immobiliare, mettendo sul mercato nel marzo 2002 (e vendendo alla joint venture Morgan Stanley-Pirelli)
mattoni per 1,7 miliardi di euro, Torre Velasca compresa. Magari una manciata di mesi troppo presto rispetto ai picchi assoluti del boom immobiliare, ma comunque con una plusvalenza notevolissima, che fu poi retrocessa agli azionisti attraverso un corposo buy back (anche questo, un modo non diluitivo di redistribuire il capitale in eccesso e soprattutto una formula non comunissima, all’epoca). Per questa ragione il manager è stato sempre molto apprezzato dagli analisti e le sue presentazioni societarie molto seguite in campo internazionale: in tempi non sospetti, quando non era ancora la norma, illustrava slide e grafici, numeri al posto di lunghi discorsi, piani industriali pluriennali. Non sempre con la stessa fortuna: ad esempio l’integrazione tra la rete di agenti e quella dei promotori ex Dival, in un matrimonio di reti e di business in ambito Ras, non è mai andato in porto fino in fondo. Alla fine, quando è andato via dalla Ras, nell’aprile del 2005, Greco era stato appena nominato nel Vorstand della controllante Allianz, una promozione ma anche un potenziale allontanamento dalla compagnia operativa - all’epoca quotata - proprio a metà del piano industriale e sicuramente non gradito. L’addio, a vantaggio del suo braccio destro Paolo Vagnone in ambito Ras, fu accompagnato dall’ascesa di un altro protagonista della scena attuale, Enrico Cucchiani, che aveva prima ereditato la stessa carica europea di Greco e poi ha traghettato la Ras all’integrazione con il Lloyd Adriatico e al delisting della compagnia. Girate le spalle a Monaco, per Greco si apre invece la strada di Torino, dove approda all’Aip. L’acronimo non troppo dotato di appeal (Assicurazione internazionale di previdenza) era una creatura del Sanpaolo destinata a diventare il nucleo di partenza di un gruppo composto da tre anime e con un grande progetto, culminante nella quotazione in Borsa: era il primo nucleo di Eurizon, composto dal business del Vita, dai Fondi comuni, e dalla banca-rete di Fideuram (da poco cancellata dal listino). Il progetto doveva vedere l’integrazione tra le varie anime del business del risparmio gestito, polizze, distribuzione di prodotti: era la stagione che vedeva Pietro Modiano in grande ascesa a Torino, mentre aveva appena passato la mano, a Fideuram, Ugo Ruffolo. L’ostacolo sulla strada di Greco, a prescindere dalla fondatezza del piano industriale di integrazione tra i diversi business, arrivò dall’esterno, imprevisto quanto dirompente: il matrimonio tra due colossi bancari, il Sanpaolo di Torino e Banca Intesa. Un grande progetto - che avrebbe fatto più di una vittima illustre - ma anche un modello di espansione completamente diverso, in cui tutto fu ripensato. E l’idea di quotare Eurizon andò abbastanza rapidamente nel dimenticatoio; di lì a poco, nell’estate del 2007, Greco lascia. Un paio di mesi prima, in aprile (all’assemblea Generali, ironia della sorte) erano volati gli stracci: l’allora presidente Antoine Bernheim aveva detto che la controllata torinese nel Vita, Eurizon, era «il vero problema » nei rapporti con Intesa, di cui Generali aveva il 5%. Parole che avevano provocato l’immediata reazione del numero uno di Eurizon: «Stupisce e amareggia che un azionista giudichi Eurizon un problema. Eurizon è un progetto di grande rilevanza che in poco tempo ha raggiunto una redditività elevata, superiore a quella dei concorrenti », ma che avevano spinto anche alla constatazione che era tempo di pensare ad un’alternativa. E si arriva così, dopo pochi mesi, all’ultimo passaggio di Mario Greco: quello alla Zurich. Un approdo che lo ha portato, in una manciata di anni, a diventare il responsabile globale del ramo danni e a generare grosso modo il 50% della redditività della compagnia. Che è tra le più profittevoli e in Borsa ha battuto di gran lunga Generali. Essere quotati in franchi svizzeri aiuta, certo, ma dal gennaio 2009 ad oggi la Zurich ha perso complessivamente il 5%, Generali il 55.