Luca Fraioli, la Repubblica 4/6/2012, 4 giugno 2012
SCALFARI: "COSÌ HO IMPARATO A CONOSCERE I NOSTRI LETTORI"
«Vendemmo moltissime copie, 230mila. Ci fu il tutto esaurito nelle edicole. E meglio non avremmo potuto fare, le nostre due rotative di Roma e Milano non avrebbero potuto tirare di più». Eugenio Scalfari ricorda così l´esordio il 14 gennaio del 1976 del quotidiano da lui fondato.
Direttore, quella data segna anche la nascita della "comunità" di lettori di Repubblica?
«Non direi. Il primo giorno molti comprarono Repubblica per curiosità. Il secondo giorno i lettori scesero a 150mila, poi a 100mila. Il quarto giorno erano 70mila e lì si stabilizzarono a lungo. Ma non si poteva ancora parlare di una comunità di lettori. Nel fondare Repubblica, la mia speranza era quella di portarmi dietro almeno la metà dei 300mila lettori dell´Espresso. Invece questo non avvenne: non avevo capito che il gesto d´acquisto di un settimanale è diverso dal gesto d´acquisto di un quotidiano. Il risultato fu che mi ritrovavo meno lettori di quanti me ne aspettassi e soprattutto non sapevo chi fossero. Quando ero all´Espresso riconoscevo per strada i lettori "fisicamente", anche se non avevano in mano una copia del settimanale. Può sembrare lombrosiano, ma è così e la dice lunga sulla sicurezza con sui facevamo l´Espresso. Nei primi mesi di Repubblica invece non riuscivo a capire chi fossero i nostri lettori e procedevo a tentoni».
È così importante sapere a che tipo di pubblico ci si rivolge?
«Rappresenta almeno il 50 per cento del lavoro di un direttore. Il giornale è la voce di una comunità di lettori, ma al tempo stesso, pur confermandoli nelle loro convinzioni, li aiuta a crescere e ad evolvere. Esistono due tipi di opinione pubblica: quella "emotiva", che compra il giornale solo in occasione di grandi eventi, e quella "strutturata", che invece condivide i valori che ispirano il giornale di riferimento. All´epoca in Italia c´erano due giornali che si rivolgevano a opinioni pubbliche strutturate: il Corriere della Sera per la borghesia produttiva lombarda e la Stampa, che rappresentava i valori della Fiat, il più grande gruppo industriale del Paese. Poi arrivammo noi, che volevamo rivolgerci soprattutto a un pubblico di donne e di giovani, adottando una linea radical-socialista».
Quando vi rendeste conto che anche i vostri lettori erano un´opinione pubblica strutturata?
«In occasione del rapimento di Aldo Moro, quando ci schierammo per la linea della fermezza. Allora capimmo che la nostra missione era quella di far uscire i comunisti dal ghetto in cui erano stati rinchiusi dal dopoguerra. Il Pci doveva diventare un partito democratico, solo così in Italia ci sarebbe stata una vera democrazia dell´alternanza».
E questa linea politico-editoriale si tradusse in un successo in termini di copie e di lettori?
«Certo, perché ci occupavamo di temi che interessavano ai lettori comunisti. E in breve mettemmo in crisi i due quotidiani legati al Pci: Paese Sera e l´Unità. Così, in meno di tre anni dall´esordio, arrivammo a 120mila copie. Ma Repubblica rimase un giornale trasversale: era letto dai liberali laici, come dai cattolici democratici e, appunto, dai comunisti. Lo leggevano perfino le Br, come dimostra la drammatica foto di Aldo Moro che tiene in mano una copia del nostro giornale mentre è prigioniero dei terroristi».
Ci sono stati momenti nella storia recente del Paese, in cui la gente è scesa in piazza con le prime pagine di Repubblica, quasi fosse una bandiera. Che effetto ti faceva vedere quelle immagini?
«Un effetto euforico, di un sogno che si avverava».
Ma non hanno finito per alimentare quelle voci che tornano periodicamente sull´esistenza di un "partito Repubblica"?
«A questo proposito cito Ezio Mauro: "Repubblica è insieme molto più e molto meno di un partito". È un giornale autoreferente, nel senso che si rivolge a un´opinione pubblica strutturata e risponde solo a lei. Siamo noi che decidiamo dove stiamo. E se dove stiamo troviamo anche altri che la pensano come noi vuol dire che diamo voce anche a loro».
Oggi la "comunità" di Repubblica va da chi aveva 30 anni nel 1976 ai trentenni del 2012 che usano il web e l´iPad. C´è un´unica definizione per tutte queste generazioni di lettori?
«Sono la sinistra italiana di oggi. Sono coloro che come Repubblica si battono non contro lo Stato ma per la riforma dello Stato, che credono nell´innovazione, nell´efficienza e nel laicismo. Questo è il Dna di Repubblica e dei suoi lettori».