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 2012  giugno 02 Sabato calendario

L’Irlanda approva l’austerità Al referendum oltre il 60% di sì - Sono le tre del pomeriggio quando il governo di Dublino ufficializza il risultato del referendum: «L’Irlanda ha detto sì al Trattato di stabilità fiscale, impegnando la coalizione a obiettivi di budget ancora più rigorosi»

L’Irlanda approva l’austerità Al referendum oltre il 60% di sì - Sono le tre del pomeriggio quando il governo di Dublino ufficializza il risultato del referendum: «L’Irlanda ha detto sì al Trattato di stabilità fiscale, impegnando la coalizione a obiettivi di budget ancora più rigorosi». Piove. E il vento scuote i cartelloni della campagna elettorale. Quelli per il no recitano: «L’austerity non funziona. Non renderla obbligatoria per legge». Erano pensati sul modello francese. «La spinta di Hollande aprirà gli occhi anche a noi». Ma Dublino non è Parigi e la sua voglia di rivincita è appena percettibile mentre l’ex Tigre Celtica, dopo un salvataggio da 85 miliardi, fa i conti con la disoccupazione al 14% e con 40 mila giovani che in dodici mesi hanno deciso di cercare fortuna altrove. Se ne sono andati. Per non tornare più. Eppure il primo ministro Enda Kenny sostiene che questo risultato diventerà la pietra angolare del nuovo tempio della serenità sociale. Si rigira tra le mani i numeri usciti dalle urne: 60,3% contro 39,7%. Apparentemente un risultato inequivocabile. Invece il Paese è spaccato. Degli oltre tre milioni di cittadini che avevano diritto al voto solo un milione e seicentomila hanno risposto alla chiamata. Hanno detto no le periferie e la working class, hanno detto sì gli altri, quelli a cui è rimasto in tasca ancora qualche euro per tirare la cinghia di un altro buco. Non l’hanno fatto con entusiasmo. Ma sottrarsi al rigore fiscale avrebbe voluto dire perdere la possibilità di accedere al fondo da 500 miliardi del Meccanismo di Stabilità Europea. Soldi destinati a chi è con l’acqua alla gola. E il rapporto di Standard & Poor’s del 2012 sul debito sovrano lasciava pochi dubbi: «Nonostante il salvataggio europeo, l’Irlanda è considerata una delle poche storie di successo degli anni passati e ha finito per essere riconosciuta come un manifesto per l’austerity dopo avere tagliato il debito pubblico e alzato le tasse. In ogni caso sta attraversando un periodo di recessione e probabilmente continuerà a faticare. Voto: BBB+». Ecco perché Kenny parla di vittoria. «Abbiamo mandato al mondo un potente segnale della nostra volontà di rialzarci in piedi», dice. Il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, lo chiama per complimentarsi. «E’ un grande giorno per voi e per l’Europa». Il voto potrebbe servire a stabilizzare i mercati, ma ora il deficit dell’Irlanda unico Paese dell’eurozona ad essersi affidato al referendum non potrà superare lo 0,5% del pil per non incorrere nelle sanzioni della Corte Europea di Giustizia. L’anno passato era al 13%. C’è aria di stangata. Fuori da un seggio l’insegnante in pensione Daniel O’Keeffe consegna alle telecamere la sua amarezza. «Chi non ha più niente non ha votato. Tanto che può succedere peggio di così? La gente si riempirà la pancia di birra e si stordirà con gli Europei di calcio, mentre le banche continueranno a fare i propri comodi». Si sente truffato. Ma se anche avesse vinto il no per lui sarebbe stato impossibile sostituire l’Irlanda del boom. «La mia Irlanda». Semplicemente quello che ama non esiste più.