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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Il generale dell’aviazione che s’impadronì dell’Egitto - C’ erano, in fondo, due Mubarak, quello del piano nobile, l’eroe della guerra di usura contro Israele, l’uomo che aveva riportato l’Egitto all’onore delle nazioni arabe, lavato la vergogna per il «tradimento» di Sadat, il presidente che appariva avveduto, prudente, cui tutti i leader del mondo chiedevano consigli mediazioni interventi

Il generale dell’aviazione che s’impadronì dell’Egitto - C’ erano, in fondo, due Mubarak, quello del piano nobile, l’eroe della guerra di usura contro Israele, l’uomo che aveva riportato l’Egitto all’onore delle nazioni arabe, lavato la vergogna per il «tradimento» di Sadat, il presidente che appariva avveduto, prudente, cui tutti i leader del mondo chiedevano consigli mediazioni interventi. E poi ce n’è uno completamente diverso, il Mubarak del pianterreno e delle cantine, quello con la moglie impicciona, il figlio corrotto e ambizioso, e il gendarme Suleiman che spiava tutto manipolava tutto reprimeva tutto. Qui il raiss, tarchiato, senza collo, guance carnose e palpebre pesanti come una figura in creta la cui modellazione sia rimasta incompiuta, diventava un borghesuccio egiziano completamente estraneo alla sua vita prestigiosa, un piccolo dittatore provinciale ottuso e immobilista, piatto sordo irriconoscibile, rincretinito dal cicalare dei parenti e cullato dalle idiozie e dalle ripetizioni imbecilli non soltanto dei piccoli cortigiani del Cairo e degli avventurosi pescecani che nuotano sempre attorno a un regime trentennale. C’erano, e che coro!, anche gli stranieri e quanti, americani israeliani francesi europei in mazzo. Per carità, ora che lo hanno condannato all’ergastolo e all’angoscia della detronizzazione, tra le urla e le deprecazioni di coloro cui ha ucciso nell’inutile repressione figli parenti amici, bisogna tacere sui concetti di «saggio patriarca del Medio Oriente», o di «uomo di grandi visioni» con cui gallonati sicofanti lo hanno lustrato da un terzo di secolo. I generali, i suoi colleghi generali, che continuano a esser padroni dell’Egitto «rivoluzionario», sono vili e senza memoria. Lo hanno dato in pasto alla rabbia universale. Davanti alla morte l’odio sfuma e si è uomini che hanno un destino e solo quello. Ma la giustizia e la memoria senza cui la Storia è inutile, impongono di scrivere e ripetere i nomi di coloro che gli erano così affezionati: un’Armata egiziana che ha perso tutte le guerre, ma amministra a meraviglia industrie e intrighi, e poi Clinton, Bush, Obama, che gli spalancavano la Casa Bianca e il borsellino, Peres, Olmert, Sharon e il suo preferito Netanyahu, che avevano trovato un complice perfetto; e Sarkozy, che si stropicciava al suo corpaccione, soddisfatto che avesse accettato la presidenza di quella costosa e bolsa vuotaggine che è l’Unione per il Mediterraneo. Intanto l’incensato autocrate praticava l’unica ideologia, l’unico Pensiero che gli era familiare fino all’ossessione, ovvero la sicurezza, la stabilità, che è un modo chic per dire immobilismo sostenuto dal manganello. Perfino nell’ultimo discorso, mentre in piazza Tahrir, e ad Alessandria e a Suez centinaia di migliaia di persone gridavano «Mubarak ladro», «Mubarak è un vigliacco», e l’Egitto era focosamente travolto dal contagio rivoluzionario tunisino, lui sillabava in televisione: «La frontiera tra stabilità e caos è sottile, io sono per la libertà almeno quanto tengo alla sicurezza e alla stabilità». I dittatori non capiscono mai nulla e ripetono gli stessi errori. Ma, in fondo, era un quarto di secolo che Mubarak praticava questa unica politica. Migliaia di estremisti, di terroristi islamici veri o supposti, e la maggioranza stava nella seconda categoria, sono stati gettati nelle prigioni, torturati con le scariche elettriche, sodomizzati con bastoni, le mogli e i figli arrestati, presi in ostaggio. Funzionava come un orologio, la macchina della stabilità: gli islamismi frantumati, i turisti ritornati a guardare con il naso in su le piramidi, tutto il mondo soddisfatto che applaudiva le rielezioni di questo candidato unico di un partito unico. Dove era l’errore? Fate attenzione alla data: 1993. E chi parla, al New York Times, è un alto diplomatico, il portavoce di Sadat, Tahsin Bashir: «Mubarak è caduto in una forma di narcisismo politico. Si guarda attorno e non vede che gente che lo sostiene al 110 per cento. È incapace di vedere la realtà, ovvero che la sua politica spinge inesorabilmente i giovani alla rivolta». Era davvero impossibile intuire che quella generazioni che non ha conosciuto altro che il suo regime, avrebbe trovato la forza per abbatterlo? Mubarak, in fondo, è sempre stato solo. Era un uomo solo al momento in cui Sadat, la sfinge che aveva cacciato i sovietici, fatto pace con gli ebrei e liquidato il goffo socialismo nasseriano, spalancando la porta agli affari, scelse questo sconosciuto aviatore, eroe di guerra, come vice presidente. Mubarak era solo, grigio, modesto, identikit perfetto per Sadat che voleva sbarazzarsi degli ultimi «ufficiali liberi» che erano stati come lui a fianco di Nasser. Perfino i barbus,gli islamisti pensavano che fosse una nullità, non si allarmarono quando nell’attentato che costò la vita a Sadat uscì con una leggera ferita alla mano. Il presidente Mubarak non aveva ideologie, non il panarabismo nasseriano e neppure le intuizioni visionarie dell’uomo che era andato a Gerusalemme. La «nullità», lo ripeteva ogni momento, era al potere per assicurare la stabilità. Dieci anni dopo era già diventato imperioso, rude, villoso e aspro, circondato da una cricca di clienti, per lo più dell’esercito. Ma gli islamismi erano debellati. Osava giocare strategie pericolose, come favorire contro i Fratelli musulmani l’ascesa dei salafiti. Certo gli attentati, sanguinosi, non si fermavano, tre almeno contro di lui; ma diventava sempre più indispensabile come diga contro gli estremisti. Con Israele e l’America ha sempre rispettato i patti. Da Israele ha accettato tutto: la colonizzazione selvaggia, l’eliminazioni mirata dei capi palestinesi. Ha perfino dato una mano a stringere i bulloni del blocco di Gaza. La gente in Egitto tumultuava contro questi tradimenti, lui incassava miliardi di dollari dall’America per il suo esercito di pretoriani . Era un mediatore di facciata, la sua politica estera era mussoliniana, cioè bluff, scenografia. Ha retto trent’anni perché gli occidentali hanno fatto finta di crederci. Tra quindici giorni elezioni vere (ma quanto?) sceglieranno il suo erede. Forse un sosia, un uomo che è stato suo «fedelissimo».