Notizie tratte da: Massimo Fini # La guerra democratica # Chiarelettere Milano 2012 # pp. 289, 14,90 euro., 5 giugno 2012
000Notizie tratte da: Massimo Fini, La guerra democratica, Chiarelettere Milano 2012, pp. 289, 14,90 euro
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Notizie tratte da: Massimo Fini, La guerra democratica, Chiarelettere Milano 2012, pp. 289, 14,90 euro.
L’ARROGANZA A STELLE E STRISCE
• Armi chimiche. […] Che gli americani e i sovietici (vedi la dichiarazione di Shevardnadze) siano anche disposti a rinunciare a queste armi non significa nulla: hanno quelle nucleari. Chi ha l’atomica può fare a meno delle armi chimiche. (p. 13).
• Gli Usa infatti sono l’unico paese industrializzato che, in epoca moderna, ha fatto uso di armi speciali. Chi, col Giappone già in ginocchio, ha gettato la bomba atomica su Hiroshima? Chi ha utilizzato le armi chimiche in Vietnam? Nemmeno Hitler aveva osato tanto. […] Ci vuole quindi una bella faccia tosta ad andare a chiedere ai popoli del Terzo mondo di rinunciare alle armi chimiche («l’atomica dei poveri») mantenendo però intatto il ricatto nucleare. (p. 14)
«L’Europeo», Il Conformista, 30 gennaio 1989
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CHI HA PAURA DELLA GERMANIA UNITA?
• […] La Germania unita si appresta a riprendere in Europa quel ruolo dominante che, per posizione geografica, per storia, per cultura, le compete e che solo l’avventurismo di Hitler le aveva impedito di interpretare. Quello che non ha ottenuto con la forza militare la Germania lo conquista oggi con quella economica. Ed è probabile che assisteremo nel prossimo futuro a una sorta di colonizzazione tedesca dell’Europa. […] Non è colpa dei tedeschi se producono di più, se risparmiano di più, se lavorano meglio, se sono più ordinati e disciplinati.(pp. 15-16)
• La Germania è l’unica grande potenza a non avere la bomba atomica (mentre ce l’hanno, per esempio, Israele e il Sudafrica). (p. 17)
• […] la Nona di Beethoven, di cui anche un anarchico come Bakunin ebbe a dire: «Tutto morirà, nulla sopravvivrà: una cosa sola rimarrà eterna, la Nona sinfonia». (p. 17)
«L’Europeo», 11 agosto 1990
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ESERCITO EUROPEO. PER FARLA FINITA CON LA NATO
• Se il Vecchio continente vuole ritrovare la propria identità deve organizzarsi attorno a una «centralità» franco-tedesca. E avere un proprio sistema difensivo. Due settimane fa a La Rochelle è nato l’Eurocorps, il corpo d’armata franco-tedesco aperto alla partecipazione degli altri paesi Cee che, nelle intenzioni di Kohl e Mitterrand, dovrebbe accelerare la formazione di un vero esercito europeo. L’iniziativa è piaciuta pochissimo agli americani e agli inglesi. […] Gli americani temono che sia messa in pericolo la cosiddetta «centralità» della Nato, vale a dire il loro monopolio, militare e politico, nel Vecchio continente. In quanto agli inglesi si sa benissimo che stanno in Europa solo per boicottarla. Meno comprensibile è l’ostilità con cui Eurocorps è stato accolto da alcuni paesi europei fra cui l’Italia […]. Tale atteggiamento ha due origini. La prima nel notorio soccombismo, morale e intellettuale, nei confronti degli Stati Uniti, la seconda nel timore di una egemonia francese e, soprattutto, tedesca in Europa. […] La Nato è, da sempre, lo strumento con cui gli americani hanno tenuto soggiogata, militarmente e politicamente, l’Europa uscita sconfitta dalla Seconda guerra mondiale. Finché esisteva l’Urss questa subordinazione era il prezzo da pagare alla sicurezza: l’enorme deterrente atomico degli Stati Uniti funzionava anche a difesa dell’Europa. […] Se l’Europa vuole finalmente emanciparsi e ritrovare la propria identità non può che organizzarsi, dismessa l’Alleanza atlantica, attorno a un’altra «centralità» a lei certamente più consona e utile: quella dell’asse franco-tedesco che le farà da locomotiva [...]. (pp. 20-21)
«L’Europeo», Il Conformista, 12 giugno 1992
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- LE GUERRE DEGLI ANNI NOVANTA -
1. GOLFO
LA GUERRA NELL’ERA DELLA TV
• La protagonista della guerra del Golfo […], almeno nei primi giorni, è stata la tv. […] la tv ha dato minuto per minuto la «guerra in diretta». Persino Bush e il segretario americano alla Difesa Dick Cheney, hanno ammesso di aver passato le due prime notti di guerra incollati alle trasmissioni della Cnn. (p. 29)
• Il risultato di questo «bombardamento» televisivo non è stato quello di «spettacolarizzare» la guerra […], ma sicuramente di banalizzarla e, in una qualche misura, di innocuizzarla. […] Ciò dipende, a mio avviso, da due fattori. Il primo è che la tv, attraverso migliaia di ore di fiction, ci ha abituato alla violenza, l’ha resa quotidiana e immaginaria. Per cui quando questa si presenta nella realtà stentiamo a riconoscerla. […] In secondo luogo è proprio il mezzo, la tv, che banalizza e appiattisce, irrimediabilmente, tutto ciò che tocca. Non tanto per le sue qualità intrinseche, ma per il luogo in cui è collocata: casa nostra. È possibile che mentre noi mangiamo gli spaghetti o beviamo una Coca seduti tranquillamente nel nostro salotto là, oltre lo schermo, della gente muoia veramente? No, non è possibile. I nostri sensi […] rifiutano questa possibilità. Restiamo nel film. (pp. 29-30)
• «La guerra - scrive Rudolf Binding - è una maestra che insegna a diventare silenziosi.» (p. 30)
«L’Europeo», Il Conformista, 1° febbraio 1991
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UN GREGGE CHIAMATO ESERCITO IRACHENO
• L’inconsistenza, morale e psicologica, dell’esercito iracheno ha partorito una guerra che si sarebbe tentati di definire comica se noti ci fossero di mezzo tanti morti. Di fronte a 110.000 incursioni aeree degli alleati, gli iracheni hanno risposto con una settantina di Scud che hanno fatto tre morti per infarto in Israele. L’unico Scud che ha provocato seri danni stato quello deviato da un missile Patriot che l’ha indirizzato del tutto casualmente su una caserma fuori Dhahran. Su 110.000 missioni la contraerea irachena ha abbattuto 37 velivoli. […] I carri armati alleati sono avanzati nel deserto a una velocità operativa di 50 chilometri al giorno. Neanche in autostrada e in tempo di pace avrebbero potuto fare molto di più. A fronte dei 100.000 morti iracheni, ce ne sono 165 avversari. Di questi, 20 sono stati colpiti, per errore, dagli stessi alleati, 27 sono le vittime dello Scud precipitato a Dhahran. Nella battaglia di terra ci sono stati una cinquantina di morti alleati. Ora, quando si muovono 520.000 uomini armati e decine di migliaia di automezzi, 50 morti ci sarebbero comunque (per incidenti vari) anche se di fronte non ci fosse alcun esercito nemico. (p. 32)
«L’Europeo», Il Conformista, 15 marzo 1991
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FERMATE QUEI POLIZIOTTI!
• Guerra Iraq. […] Trincerandosi invece dietro «l’operazione di polizia internazionale» con scopi limitati (liberare il Kuwait) le truppe del generale Schwarzkopf si fermarono a 80 chilometri dalla capitale irachena e risparmiarono il dittatore. Sarebbe come se alla fine della Seconda guerra mondiale gli alleati, dopo quello che avevano combinato a Berlino, Dresda, Lipsia, Amburgo, avessero lasciato vivo, al potere e in forze il principale responsabile, Adolf Hitler. (p. 34)
• Adesso invece si sta affermando un principio nuovo, secondo il quale gli Stati Uniti possono intervenire con la forza, qua e là, anche senza avere alle spalle un preciso mandato dell’Onu. Basta che essi ritengano, a loro insindacabile giudizio, che una risoluzione Onu sia stata violata. (p. 34)
• Il diritto, nazionale e internazionale che sia, nasce storicamente per tutelare i più deboli nei confronti del più forte. Se invece il diritto si identifica con la forza del più forte, non è più diritto, è arbitrio. (p. 35)
«L’Europeo», 29 gennaio 1993
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2. SOMALIA
SULLA PELLE DEI SOMALI
• E finalmente ci siamo arrivati: nemmeno la guerra è più una cosa seria. Ma un’americanata un po’ kitsch, […]. Quello sbarco nell’alba di Mogadiscio, scaglionato e minutato come in una scaletta televisiva che era stata debitamente distribuita ai giornalisti presenti all’evento, è stato comico, così come comici erano quei marines muniti di occhiali a raggi infrarossi per poter vedere nel buio, abbagliati dai mille riflettori dei network che li attendevano al varco. E buon per tutti che, dall’altra parte, il nemico non c’era, che i famigerati «signori della guerra» somali son solo dei poveracci, perché, altrimenti, la farsa avrebbe potuto mutarsi rapidamente e facilmente in tragedia. (p. 36)
• […] Un articolo di Sergio Romano («La Stampa», 9 dicembre) […] lamenta come gli europei non abbiano preso l’iniziativa di intervenire in Somalia perché così si è persa «un’occasione per dimostrare la necessità dell’integrazione europea e superare la crisi morale del trattato di Maastricht... bisognava andare a Mogadiscio per rifare la Somalia e l’Europa». (p. 38)
«L’Italia», 23 dicembre 1992
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NON FATEVI LA GUERRA. VE LA FACCIAMO NOI
• In pochi mesi la farsa […] si è mutata in tragedia. Grazie a Restore Hope, restituire la speranza (gli americani potrebbero andarci cauti almeno con i nomi, avere un po’ più di senso del ridicolo), […] centinaia di somali, spesso civili, donne, bambini, sono stati uccisi e anche alcune decine di Caschi blu dell’Onu ci hanno lasciato la pelle. Eravamo andati in Somalia per salvare i somali dalla fame e stiamo risolvendo il problema nel modo più semplice: ammazzandoli in gran quantità. (p. 39)
• Perché i somali, o quant’apri, non hanno il diritto di risolvere da sé le proprie questioni, anche con le armi se occorre, e avere dei morti ammazzati almeno in conto proprio invece che in conto terzi? Forse che un somalo morto per mano Onu o americana o pakistana è meno morto di un morto per mano somala? […] Smettiamola di aiutare i somali, che si aiutano meglio da soli.
«L’Europeo», Il Conformista, 27 settembre 1993
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LA CASA BIANCA CI PORTA VERSO LA GUERRA MONDIALE
• Se Al Qaeda non esistesse - come probabilmente non esiste - gli americani se la sarebbero inventata. Perché adesso ogni loro violazione del diritto internazionale, ogni aggressione, ogni atto di pirateria di Stato, ogni occupazione, ogni invasione, ogni bombardamento viene giustificato col fatto che si volevano colpire terroristi o anche «presunti terroristi» (la presunzione è più che sufficiente) di Al Qaeda o anche solo «presumibilmente» legati ad Al Qaeda. (pp. 40-41)
• […] l’invasione della Somalia da parte dell’Etiopia non è avvenuta semplicemente con la benevolenza degli Stati Uniti, ma che gli americani ne sono stati gli istigatori e che sono alleati degli etiopi in questa guerra di aggressione. Quali erano le colpe della Somalia? Di avere un governo, quello delle Corti islamiche, che non corrisponde ai canoni della democrazia e della cultura occidentali. (p. 41)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 12 gennaio 2007
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SIAMO NOI I COLPEVOLI IN RUANDA
• L’intrusione di questo modello [IL MODELLO OCCIDENTALE] in Africa è infatti all’origine non solo della tragedia ruandese ma della più complessiva tragedia che sta uccidendo il Continente nero. E ciò non tanto perché noi abbiamo fornito a quei popoli armi micidiali, ma per motivi più sottili, profondi e devastanti: il modello occidentale […] ha distrutto gli antichi, collaudati, anche se fragili, equilibri tribali […]. Gli africani come tutti i popoli cosiddetti «primitivi», avevano elaborato […] una serie di accorgimenti per ritualizzare, innocuizzare, incanalare e comunque limitare la violenza abbassarne la soglia entro livelli tollerabili. L’antropologo Gaston Bouthoul ha raccontato che molte tribù africane avevano escogitato una guerricciola finta, la rotana, per liberare in questo modo la propria aggressività e scongiurare così il più possibile la diembi, la «guerra grande». […] Mi ricordo di aver assistito, una ventina di anni fa, a Nairobi, a un convegno sulla guerra cui partecipavano i rappresentanti di numerose etnie. […] A un certo punto anzi intervenne il re di non so quale tribù e disse: «Anche da noi, qualche anno fa, c’è stata una guerra, una cosa davvero tremenda, terribile. Ma poi, vicino a un pozzo, ci scappò il morto e la guerra finì immediatamente». Questa era l’Africa prima dell’incontro con l’Occidente. (pp. 42-43)
«L’Europeo», 15 giugno 1994
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QUANDO L’AFRICA SI AIUTAVA DA SOLA
• L’opinione pubblica occidentale […] è convinta che la fame in Africa sia endemica, che esista da sempre. Non è così. Ai primi del Novecento l’Africa nera era alimentarmente autosufficiente. Lo era ancora, in buona sostanza (al 98 per cento), nel 1961. Ma da quando ha cominciato a essere aggredita dalla pervasività del modello di sviluppo industriale alla ricerca di sempre nuovi mercati, per quanto poveri, perché i suoi sono saturi, la situazione è precipitata. L’autosufficienza è scesa all’89 per cento nel 1971, al 78 per cento nel 1978. (p. 45)
• Senza per questo volerlo giustificare, il colonialismo classico è stato molto meno devastante dell’attuale colonialismo economico. […] Il colonialismo classico si limitava a conquistare territori e a rapinare materie prime di cui spesso gli indigeni non sapevano che farsene, ma poiché le due comunità rimanevano separate e distinte poco cambiava per i colonizzati che, a parte il fatto di avere sulla testa quegli stronzi, continuavano a vivere come avevano sempre vissuto. […] II colonialismo economico, invece, ha bisogno di conquistare mercati e per farlo deve omologare le popolazioni africane alla nostra way of life, ai nostri costumi, possibilmente anche alle nostre istituzioni […] per piegarle ai nostri consumi. In Africa si vedono neri con i Ray-Ban (con quegli occhi!) e il cellulare, ma manca il cibo. Perché il cibo non va dove ce n’è bisogno, va dove c’è il denaro per comprarlo. (p. 46)
• Una ventina di anni fa, in contemporanea con una delle periodiche riunioni del G7 (allora c’era ancora il G7), i sette paesi più poveri del mondo, con alla testa l’africano Benin, organizzarono un polemico controsummit al grido: «Per favore non aiutateci più!». (p. 46)
«Il Fatto Quotidiano», 13 gennaio 2010
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3. BOSNIA -
QUELLA SANA INCIVILTA’
• Sul «Corriere della Sera» di ieri Angelo Panebianco fa propria una vecchia proposta di Edward Luttwak: poiché le Democrazie occidentali, a causa dell’alto livello di benessere raggiunto, […] non sono più in grado di fare la guerra, i loro governi dovrebbero finanziare la creazione di un esercito multinazionale di mercenari professionisti, superpagati e superarmati, disposti a morire al posto dei cittadini. […] Le premesse di Panebianco […] fotografano esattamente la situazione delle popolazioni occidentali svirilizzate dal benessere, dalle comodità, da mezzo secolo di pace e, in definitiva, dalla incapacità, per mancanza di allenamento, di soffrire. […] l’Italia dei telefonini potrebbe al massimo battersi col Principato di Monaco. (pp. 48-49)
• Ma […] le guerre, quelle vere, […] le vincono, grazie a Dio, ancora gli uomini. [….] non le hanno mai vinte i mercenari […], le hanno sempre vinte coloro che credevano di combattere per una causa giusta (giusta per loro e poco importa se sbagliata per tutti gli altri). (pp. 49-50)
• Lucio Sergio Catilina nel suo celebre discorso ai soldati prima della battaglia di Pistoia: «Nessuno proteggerà colui che non seppe proteggersi con le armi». (p. 50)
«L’Indipendente», 23 luglio 1995
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IN DIFESA DELLA GUERRA SLAVA
• […] gli occidentali non avrebbero, due anni fa, attaccato l’Iraq, uccidendo, con i loro bombardamenti «chirurgici» e i missili «intelligenti», 32.195 bambini, 39.612 donne, 86.164 uomini anch’essi civili (dati forniti dalla più insospettabile delle fonti: il Pentagono), per salvare l’indipendenza di uno Stato fantoccio come il Kuwait. (p. 51)
«L’Europeo», Il Conformista, 21 maggio 1993
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LASCIAMOLI COMBATTERE IN PACE
• Nel 1980 l’Iraq di Saddam Hussein aggredì l’Iran di Khomeini. Per cinque anni i paesi del cosiddetto Primo mondo si disinteressarono di quella guerra che definivano «assurda» […], salvo naturalmente rifornire copiosamente entrambi i contendenti di armi […]. Nel 1985, imprevedibilmente, l’esercito di «straccioni» di Khomeini sfondò le linee irachene e stava per prendere Bassora. Allora i paesi del Primo mondo intervennero a favore dell’Iraq, per motivi «umanitari» naturalmente, in realtà perché preferivano la dittatura di Saddam, […] alla teocrazia iraniana […]. La guerra, che era già finita, durò altri tre anni portando il computo dei morti da mezzo milione a un milione e mezzo. Terminata la guerra Saddam Hussein, ringalluzzito, alla prima occasione rovesciò l’enorme arsenale di armi che i paesi industrializzati gli avevano fornito sul primo posto che gli capitava: il Kuwait. Ciò provocò la guerra del Golfo in cui l’esercito americano invece di battersi con quello iracheno preferì bombardare per cinquantacinque giorni la città di Baghdad dove i suoi missili «intelligenti e chirurgici» fecero 160.000 […]. (pp. 54-55)
«L’Indipendente» , 29 maggio 1995
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QUEL TRIBUNALE INTERNAZIONALE SOMIGLIA TANTO A NORIMBERGA
• A Norimberga, i vincitori processarono i vinti. […] Con Norimberga, […] i vincitori non si accontentavano più di esser tali, pretendevano anche di essere moralmente migliori dei vinti tanto da poterli, appunto, giudicare. (p. 60)
• Uno ius belli - vale a dire regole di condotta in guerra - è infatti sempre esistito, nasce con la guerra stessa, ma non c’è mai stato un organismo con l’autorità e la forza di sanzionarlo. […] E v’è da dire che più si va indietro nel tempo, verso quelle civiltà primitive che noi ci ostiniamo a guardare con sufficienza, più lo ius belli era rispettato. […] Se si escludono le feroci guerre, di religione del Cinquecento (che son guerre ideologiche), è con la Rivoluzione francese che comincia a incrinarsi la concezione che la guerra va fatta con un minimo di fairplay. […] Tuttavia un certo rispetto delle regole di guerra ha resistito fino al primo conflitto mondiale e, in parecchi scacchieri, persino nel secondo. […] Le regole dello ius belli sono sempre meno osservate. (pp. 61-62)
«II Borghese», Il Conformista, 8 luglio 1998
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4. SERBIA/KOSOVO
DEMOCRAZIE IMPERIALISTE
• Nell’Ottocento le più importanti guerre europee furono combattute dalle Democrazie liberali. (p. 63)
• L’Unione Sovietica è stata il più grande impero multietnico del mondo e ancor oggi in Russia convivono più di cento nazionalità. (p. 64)
• Tutti i nazionalismi sono pericolosi, ma il più pericoloso di tutti è il nazionalismo che non ha coscienza d’essere tale e che si crede investito di una missione internazionale. (p. 64)
«Il Borghese», Il Conformista, 24 giugno 1999
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LASCIAMO CHE IL KOSOVO SI DIFENDA DA SÉ
• Kosovo, […] è una terra serba da più di mille anni ma, nel tempo, la minoranza degli albanesi è divenuta maggioranza perché costoro figliano di più. (p. 65)
• […] Parte dei proventi del traffico di droga degli albanesi nel nostro paese finisce alla guerriglia del Kosovo […]. (p. 66).
• In Kosovo, dall’inizio delle ostilità, nel febbraio del 1998, ci sono stati 1200 morti, per lo più fra i combattenti. Tanti? Può darsi, ma che dire allora dei 2000 civili iracheni ammazzati in soli cinque giorni dai missili americani nei recenti raid su Baghdad? (p. 66)
«Il Gazzettino», 26 gennaio 1999
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CURDI E KOSOVARI, DUE PESI E DUE MISURE
• I curdi stanno su una terra che abitano ed è loro da sempre […]. Il Kosovo ha goduto, per molto tempo, di un’ampia autonomia, il Kurdistan turco mai. […] In Turchia i curdi non possono nemmeno usare la loro lingua. L’altro giorno un famoso cantante curdo, Ahmet Kaya, è stato aggredito a Istanbul per aver fatto un discorso in lingua curda. […] Alcuni anni fa addirittura dei parlamentari di origine curda vennero messi in galera per aver usato, nei loro comizi, il curdo. Del resto in Turchia i curdi non possono nemmeno essere chiamati e chiamarsi tali, devono essere definiti «turchi di montagna». In Serbia nessuno ha mai impedito agli albanesi di parlare albanese e di dirsi albanesi. (p. 69)
«II Borghese», 3 marzo 1999
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ORA LA NATO FARÁ PULIZIA ETNICA
• In verità i «motivi umanitari» sono come sempre la copertura di una realtà che è tutt’altra: la decisione americana di schierarsi, nel conflitto del Kosovo, dalla parte dei «terroristi» albanesi […] contro i serbi. Il vero torto della Serbia infatti, dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica in poi, è quello di essere rimasta l’unico paese comunista d’Europa. (p. 71)
«Il Borghese», 31 marzo 1999
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LA GUERRA DEI VIGLIACCHI
• La Nato è intervenuta in Iugoslavia per sbandierati motivi «umanitari» e ha provocato una carneficina. Doveva difendere i kosovari albanesi e ne ha ammazzati più l’Alleanza in due mesi che l’esercito serbo in un anno e mezzo di repressione che tutti hanno definito «feroce». […] Le milizie serbe erano accusate dagli osservatori dell’Osce di due massacri di civili (sempre che di civili si notasse e non di guerriglieri dell’Uck), uno a Reka, che aveva fatto 45 vittime, e un altro che ne aveva causate una trentina. Con le sole stragi di Korisa e di Djakovica i bombardamenti Nato hanno ucciso 165 kosovari albanesi sicuramente civili […] cui vanno aggiunti i kosovari vittime di «incidenti collaterali» di minor portata. Questo non é comunismo, è matematica. (pp. 73-74)
• Ma nonostante tutti questi disastri […] i raid continueranno a oltranza. Pare infatti che gli americani abbiano bisogno di bombardare ancora per un paio di mesi. […] C’è in giro denaro per 70.000 miliardi di dollari, una parte consistente dei quali non può trovare impiego che nell’acquisto di altro denaro, creando una pericolosa ricchezza virtuale. Svuotare gli arsenali per poterli poi ricostituire è un modo per dare una destinazione concreta a una parte di questi dollari. E infatti dall’inizio della guerra Wall Street non fa che salire. (p. 74)
«Il Borghese», Il Conformista, 26 maggio 1999
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NÉ CECENIA NÉ KOSOVO
• Il movimento indipendentista ceceno non è diverso da quello kosovaro albanese, con la differenza che opera sulla propria terra e non si è reso responsabile, in Cecenia, di assassini di poliziotti e di civili come hanno fatto gli uomini dell’Uck in Kosovo. Oggi poi si scopre l’acqua calda: che i famosi «crimini contro l’umanità» imputati alle milizie serbe in Kosovo sono una montatura occidentale. Il 16 maggio il ministro della Difesa americano, William Cohen, aveva dichiarato che gli albanesi kosovari scomparsi erano 100.000. Il 17 giugno erano diventati 10.000. Scavando e riscavando in questi mesi, […] sono stati trovati, alla fine, 2108 cadaveri. […] solo per 187 c’è il dubbio che si tratti di vittime civili delle milizie serbe. (p. 76)
• E come mai tanto decisionismo guerrafondaio in Kosovo (5000 morti serbi e 500 albanesi sotto i bombardamenti) e la totale inerzia nei confronti della Russia […]? [...] Perché la Russia, a differenza della Serbia comunista, è un grande e libero mercato dove si fanno dei gran begli affari e non è quindi il caso di formalizzarsi troppo […]. (p. 77)
«Quotidiano Nazionale», 10 gennaio 2000
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QUEI CENSORI IN MALAFEDE
• Sul «Corriere della Sera» (19 settembre) il professor Ernesto Galli Nella Loggia scopre che gli uomini sono «tendenzialmente malvagi». (p. 77)
«II Borghese», Il Conformista, dicembre 2000
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DALLA BOSNIA CON TERRORE
• Ci si ricorda severamente che gli Stati Uniti ci hanno salvati e liberati dal nazismo e ogni critica viene bollata come «antiamericanismo». Se voi andate al Cemetery War di Milano, il cimitero di guerra dei soldati del Commonwealth caduti nell’ultimo conflitto mondiale, vedrete che molti di questi ragazzi sono sudafricani. Per questo non avremmo dovuto denunciare I’apartheid? (p. 79)
«Quotidiano Nazionale», 4 novembre 2001
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IL MALAFFARE REGNA NEL KOSOVO
• Per il Kosovo passa l’80 per cento del traffico di eroina che si riversa in Europa insieme a 20.000 prostitute. I mercati più importanti, destinatari di questi traffici, sono la Francia, la Germania, l’Austria, l’Olanda, la Svezia e, soprattutto, l’Italia, […]. Del resto, almeno a quanto dicono le statistiche, il malaffare i kosovari ce l’hanno nel sangue se è vero che è kosovaro il 14 per cento del totale degli arrestati per droga nel mondo su una popolazione di meno di due milioni di persone. In Kosovo l’80 per cento del Pil è frutto del crimine e il resto è rappresentato dai due miliardi di euro (dati Ue) che la comunità internazionale ha investito in questo paese e che finiscono direttamente nelle mani dei mafiosi, [...]. (p. 80)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 25 febbraio 2005
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ELEZIONI FARSA IN KOSOVO
• Si era intervenuti in Kosovo contro la presunta «pulizia etnica» di Milošević («gli stupri etnici!», gli «stupri etnici!», strillava la commissaria europea Emma Bovino saltellando da una tv all’altra incitando, da «non violenta» naturalmente, a bombardare Belgrado - 5500 morti civili) e si è realizzata con la complicità delle forze Nato, la più grande «pulizia etnica» dell’intera storia dei Balcani: dei 360.000 serbi che vivevano in Kosovo ne sono rimasti solo 60.000, chiusi nelle loro case. […] Questi dati sono forniti da Human Rights Watch […]. (pp. 81-82)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 15 ottobre 2004
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5. MILOŠEVIĆ
LO SCANDALOSO PROCESSO MILOŠEVIĆ
• In Serbia i cosiddetti ultranazionalisti di Šešelj […] sono diventati il primo partito col 27,7 per cento dei voti cui si aggiunge il 7,4 per cento dei socialisti di Milošević. […] c’è poi la singolarità che sia Šešelj che Milošević eletti entrambi al parlamento non potranno nemmeno entrarvi perché sono detenuti all’Aja. È curioso: quando a Belgrado c’era il dittatore Milošević, in Iugoslavia c’erano un’opposizione e dei media di opposizione […]. Oggi che la Serbia è democratica i leader dell’opposizione sono in galera. (p. 84)
• […] Non è stato difficile per Milošević dimostrare che le sue responsabilità non sono diverse da quelle di molti altri capi di Stato democratici, democraticissimi. Non gli può essere addebitata la guerra di Bosnia perché fare la guerra, almeno finora, non è mai stato, di per sé, un crimine. Se lo fosse, sul banco degli imputati all’Aja dovrebbe sedere anche George W. Bush che, senza essere stato minimamente provocato, ha aggredito l’Iraq e la stessa Iugoslavia e pure Massimo D’Alema, capo del governo italiano all’epoca della guerra slava. (p. 85)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 2 gennaio 2004
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IL PROCESSO DIMENTICATO A SLOBODAN MILOŠEVIĆ
• […] I processi che i vincitori fanno ai vinti, […] principiati con Norimberga, sono un’aberrazione giuridica e una farsa tragica. Così li considerava il liberale Benedetto Croce. Ma anche il quotidiano inglese «The Guardian», […] scrisse, nel 1946: «Il processo di Norimberga apparirà giusto o sbagliato nella storia a seconda del futuro comportamento delle nazioni che ne sono responsabili». (pp. 86-87)
• I vincitori dovrebbero accontentarsi di esser tali. Perché se si entra nel merito giuridico dei crimini dei vinti poi diventa molto difficile far finta che non esistano quelli dei vincitori. (p. 87)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 18 novembre 2005
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LA MORTE DI UN UOMO SCOMODO, MILOŠEVIĆ. OCCASIONE PER UN RIEPILOGO
• In realtà i civili uccisi dalle forze paramilitari serbe prima dell’intervento della Nato furono in tutto 205, divennero circa 2000, secondo gli accertamenti dei 500 ispettori dell’Onu mandati in loco alla fine della guerra, ma solo «dopo» l’intervento della Nato, […]. (p. 93)
• Madeleine Albright, che condusse contro la Serbia una sua personalissima guerra perché, essendo di origine ebraica, vedeva in Milošević un nuovo Hitler […]. (p. 94)
«Il Gazzettino», 26 marzo 2006
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-L’11 SETTEMBRE –
IL RITUALE DELL’11 SETTEMBRE
• […] Dopo gli attentati dell’ 11 settembre 2001 il filosofo francese Jean Baudrillatd scrisse, con crudezza, con lucidità e con coraggio (e ce ne voleva moltissimo in quel momento) «che l’abbiamo sognato quell’evento, che tutti senza eccezioni l’abbiamo sognato - perché nessuno può non sognare la distruzione di una potenza, una qualsiasi, che sia diventata tanto egemone […]» (Lo spirito del terrorismo, Cortina Editore, 2002).
• Per tutta la vita ho sognato che bombardassero New York e non posso essere così disonesto con me stesso e con i lettori da negarlo ora che il fatto è avvenuto. Eppure ho provato anch’io un istintivo orrore per quella carneficina, per quello sventolar di fazzoletti bianchi, per quegli uomini e quelle donne che si buttavano dal centesimo piano. E allora? L’America è una potenza che da più di mezzo secolo colpisce, con tranquilla e spietata coscienza, nei territori altrui, che negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale ha bombardato a tappeto Lipsia, Dresda, Berlino premeditando di uccidere milioni di civili perché, […] bisognava «fiaccare la resistenza del popolo tedesco», che ha sganciato una terrificante, e probabilmente inutile, bomba su Hiroshima e Nagasaki e che nel dopoguerra ha fatto centinaia di migliaia di vittime innocenti in ogni angolo del pianeta (lo scrittore americano Gore Vidal ha contato 166 attacchi militari che gli Stati Uniti hanno sferrato senza essere provocati). […] Pensavo che questa tragedia avrebbe insegnato loro qualcosa […]. […] Che gli avrebbe insegnato che anche le vite degli altri hanno un valore, […]. Invece hanno continuato imperterriti. […] Hanno cominciato con l’Afghanistan. Poteva esserci una ragione perché da quelle parti stava Bin Laden, anche se nessuna inchiesta seria è mai stata fatta per dimostrare che dietro gli attentati alle Twin Towers o a quelli del 1998 in Kenya e Tanzania ci fosse effettivamente il Califfo saudita […]. Ma dopo dieci anni di occupazione rimangono sul terreno 60.000 vittime civili, la maggior parte delle quali provocate dai bombardamenti a casaccio sui villaggi e persino sui matrimoni. A stretto giro di posta è venuta l’aggressione all’Iraq: 650.000 vittime civili.
«il Fatto Quotidiano», 10 settembre 2011
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GLI USA, TRA FORZA E MORALE
• […] L’americano Robert Kagan, uno dei più ascoltati consiglieri di Bush, […] sostiene, in sostanza e in estrema sintesi, che gli Stati militarmente forti hanno sempre privilegiato una politica di potenza, col ricorso, quando lo ritengono necessario o anche solo opportuno, alle armi […]. […] nel Seicento, nel Settecento, nell’Ottocento, Inghilterra, Francia e Russia, quelle che allora erano le potenze, hanno privilegiato la Machtpolitik, mentre gli Stati Uniti, che allora erano deboli, o comunque più deboli, facevano i gradassi con le stracciate popolazioni del continente americano, ma puntavano sul diritto internazionale per le relazioni globali, mondiali. Oggi la situazione fra America ed Europa si è invertita. Quindi, il differente approccio alla politica di potenza, all’uso delle armi, al rispetto o meno delle regole internazionali non deriva, secondo Kagan, da troppo strombazzate differenze culturali fra europei e americani, ma da un dato di fatto: che i primi sono deboli e i secondi forti, anzi fortissimi. […] Una teoria del genere legittima il terrorismo internazionale. Se ciò che vale è, di fatto, solo la forza, […] ognuno ha il diritto di difendersi con le armi che ha a disposizione ed è ovvio che contro una superpotenza come gli Stati Uniti la sola arma possibile è il terrorismo. […] La seconda conseguenza […] taglia di mezzo l’intero impianto concettuale che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, […] si basa sulla vittoria sul nazismo considerato come il Male. Ma se ciò che conta è solo la forza, il nazismo non era né il Male né il Bene, esercitava semplicemente, […] la propria politica di potenza. Credo che sia anche per questo, […] che gli Stati Uniti, […] sono costretti a mascherare la loro politica di potenza, il loro imperialismo, dietro la favoletta […] di essere i portatori del Bene, della Morale, dell’Etica. […] Non si accontentano di essere i più forti, vogliono essere i più morali. Vogliono avere anche la coscienza a posto. […] Diceva Friedrich Nietzsche che non c’è niente di peggio di non essere all’altezza delle proprie cattive azioni. E che la coscienza sporca le rende ancora più turpi. Ecco perché, se si segue l’impostazione di Kagan, va a finire che Hitler, che perlomeno è fatto a Hitler e non cerca autogiustificazioni morali, è meglio di George W Bush e degli americani. (pp. 101-102)
«II Gazzettino», 20 maggio 2003
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L’OCCIDENTE COSÍ LEGGERO E VULNERABILE
• […] La battuta che Goethe, nel Faust, mette in bocca a Mefistofele: «io sono lo spirito che vuole eternamente il male e opera eternamente il bene». Il paradosso dell’Occidente è di credersi il Bene […]. (p. 104)
• Marx diceva che col sistema capitalistico i ricchi sarebbero diventati sempre più ricchi ma anche sempre meno numerosi, per cui alla fine per scacciarli non sarebbe stata necessaria alcuna rivoluzione, sarebbero bastate delle pedate nel sedere. (p. 106)
«II Gazzettino», 12 settembre 2002
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-DOPO LE TORRI GEMELLE-
1. IRAQ
CONTRO SADDAM SOLO IL DIRITTO DEL PIÚ FORTE
• […] C’è nel Bene un totalitarismo maggiore che nel Male. Il Bene si ritiene, poiché tale, autorizzato a tutto; non ha, a differenza del Male, cattiva coscienza. (p. 112)
«Quotidiano Nazionale», 11 agosto 2002
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GUERRA PREVENTIVA, IDEA INACCETTABILE
• 1990 . Guerra del Golfo. Allora Saddam Hussein […] aveva aggredito e occupato uno Stato sovrano, il Kuwait. La guerra era legittima, […]. Oggi no. Saddam Hussein non ha attaccato nessuno né minaccia di farlo. Dal 1991 non c’è stato un solo atto di provocazione militare, al di fuori del suo territorio, da parte dell’Iraq, […]. Né si può dimostrare in alcun modo un legame fra l’Iraq e i terroristi di Al Qaeda. Non c’erano iracheni nei commandos che attaccarono le Torri Gemelle e il Pentagono […], così come non c’erano afghani, ma arabi sauditi, egiziani, giordani, tunisini. Ma, dicono gli americani e gli inglesi, Saddam è in possesso di armi chimiche di distruzione di massa, e potrebbe usarle. Che le abbia è certo, perché le usò già nel 1998 contro la città curdo-irachena di Halabja facendo 5000 morti, nel vergognoso silenzio della stampa occidentale perché allora l’Occidente usava Saddam contro l’Iran khomeinista. Ma il fatto che Saddam possegga queste armi e che potrebbe teoricamente usarle non legittima nessun attacco. Anche l’America possiede armi di distruzione di massa, ben più potenti di quelle dell’Iraq, ma nessuno si sognerebbe di considerare legittimo, per questo, un attacco agli Stati Uniti. Se si comincia con le «guerre preventive», […] il pianeta sarà presto un lago di sangue. Del resto la teoria della «guerra preventiva» è stata sempre fatta propria dagli Stati guerrafondai, a cominciare dagli antichi Romani (si vis pacem para bellum) […]. (p. 113-114)
• E forse non ha del tutto torto quel 60 per cento di cittadini inglesi che in un sondaggio che chiedeva di indicare quale fosse, secondo loro, l’uomo più pericoloso del mondo, hanno messo, al secondo posto, dopo Osama Bin Laden, George «dabliu» Bush.
«Il Gazzettino», Il Conformista, 6 settembre 2002
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MOTIVI PIÚ CONVINCENTI PER ATTACCARE SADDAM
• Il paragone fra Saddam Hussein e Hitler, molto caro a Bush e avanzato ieri anche dal nostro presidente del Consiglio nel suo discorso alle Camere, è improponibile. Non perché Saddam sia in qualche modo migliore di Hitler, ma perché il contesto è completamente diverso. Hitler aveva alle spalle un grande paese con un’ottantina di milioni di abitanti, un’economia e un’industria potentissime, un esercito armato nel migliore dei modi e di collaudato valore; […]. L’Iraq è un paese di 20 milioni di abitanti, economicamente e strutturalmente debole, con un esercito discretamente armato se messo in raffronto ai suoi vicini mediorientali, ma inesistente rispetto a una potenza dell’Occidente; inoltre da dodici anni non compie alcun atto di aggressione né minaccia di farlo[…]. Ecco perché Bush ha dovuto inventarsi la guerra preventiva, con la quale si può aggredire anche gli eschimesi del Polo Nord, basta ipotizzare che, prima o poi, possano costituire un pericolo. […] Le guerre […] quella fra Iraq e Iran, e, […] quelle di Bosnia e di Kosovo […] erano ancora le vecchie, oneste e care guerre tradizionali, fatte con armi convenzionali, dove l’uomo, con i suoi valori, il suo coraggio, la sua valentia guerriera, e anche, certo, la sua ferocia e la sua crudeltà, vi aveva un posto, e non le guerre a colpi solo di missili e di bombe spaventose, come abbiamo visto nel Golfo nel ’90, in Iugoslavia, in Afghanistan, dove l’uomo non c’è più, c’è solo la macchina. (pp. 117-118).
• […] la nostra Costituzione, all’articolo 11, scrive che «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». (p. 118)
• […] il modo di combattere degli americani - quasi esclusivamente dall’alto - è quanto di più vile si possa immaginare. Una sola parte può colpire, l’altra solo subire. (p. 118)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 29 settembre 2002
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LUPO BUSH E (L’IMPROBABILE) AGNELLO SADDAM [N.B. Articolo intero]
Il lupo e l’agnello bevevano al fiume, l’agnello prudentemente a distanza, verso la foce, l’altro più in su. Disse il lupo, che voleva attaccare briga: «Mi intorbidisci l’acqua». «Come posso?» rispose l’agnello. «Tu bevi a monte e io a valle». II lupo immerse il muso nell’acqua, furioso perché l’argomento era troppo logico per poter essere contestato. Rialzò la testa e ululò: «Sei mesi fa mi hai fatto uno sgarbo». «Ma sei mesi fa non ero ancora nato» belò l’altro. Era troppo per il lupo: «Se non sei stato tu saranno stati i tuoi genitori». E se lo divorò.
Anche se è difficile vedere Saddam Hussein nella parte dell’agnello, la logica con cui si sta portando Bush è proprio quella del lupo nella favola di Esopo. Già mentre stavano spianando l’Afghanistan a suon di bombe, anche chimiche, gli americani avevano dichiarato che il prossimo obiettivo sarebbe stato l’Iraq. Si trattava ora di trovare un pretesto, anche perché non risultavano iracheni fra i militanti di Bin Laden. Quest’estate gli americani affermarono di aver trovato un tremendo arsenale chimico di Al Qaeda in territorio iracheno, di averne le prove, che trasmisero alla compiacente Cnn la quale mandò in onda una ventina di filmati. [...] Ma emerse che il terribile laboratorio era in territorio curdo non controllato da Saddam. Allora gli americani rispolverarono le risoluzioni Onu non rispettate dall’Iraq, che da alcuni anni impedisce le ispezioni per accertare l’eventuale presenza di armi chimiche. E Saddam accettò le ispezioni. «Bluffa» ululò Bush. «E in ogni caso non permette che siano ispezionati i palazzi presidenziali.» Saddam ha fatto sapere, attraverso il suo rappresentante all’Onu, che anche questi palazzi sono a disposizione. «Non basta» ha ululato Bush dal suo ranch. «Noi vogliamo comunque processare Saddam per crimini di guerra.» Il che è perlomeno curioso visto che la guerra non c’è ancora stata.
Quali siano i reali fini degli americani non è chiaro. Circolano diverse ipotesi. Quel che è certo è che vogliono fare la guerra all’Iraq, come il lupo voleva divorare l’agnello, e non c’è argomentazione logica che possa fermarli. E la facciano dunque, ma la smettano di ossessionarci impegnando l’Onu, gli alleati e l’universo mondo in una logica da favola di Esopo che logica non è, ma tracotanza. (pp. 119-120)
«Quotidiano Nazionale», 8 ottobre 2002
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L’AMERICA HA GIÁ DECISO, PER IL RAIS NON C’È SCAMPO
• Saddam. «Impresario del crimine» lo aveva soprannominato l’ayatollah Khomeini […]. (p. 121)
• […] Se l’Iraq possiede armi di distruzione di massa è legittimo fargli la guerra. Ma armi di distruzione di massa, e ben più potenti, le hanno gli Stati Uniti, la Russia, Israele, l’India, il Pakistan, il Sudafrica […]. In quanto a farne uso, negli ultimi sessant’anni non ci ha mai provato nessuno (nemmeno Hitler […]) se non proprio gli Stati Uniti a Hiroshima e Nagasaki e, è vero, lo stesso Saddam sulla città curdo-irachena di Halabja ma perché sapeva di poter contare sulla vergognosa copertura occidentale […]. Ma nemmeno Saddam Hussein oserebbe mai usare queste armi […] Perché è un criminale, non un pazzo, e sa benissimo che verrebbe immediatamente investito da una tale scarica di bombe atomiche che, oltre a spianare l’intero Iraq, ucciderebbero pure lui, […]. (pp. 121-122)
«Il Gazzettino», 4 dicembre 2002
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IL VERO OBIETTIVO DI UNA GUERRA FALSA
• A proposito dei missili di Saddam Hussein, voglio raccontare una storia divertente. Nel 1987 mi trovavo a Teheran, quando Saddam , annunciò che avrebbe cominciato a bombardare la capitale iraniana con i suoi missili. Fino ad allora la guerra era stata infatti combattuta in modo tradizionale, soprattutto dalle fanterie. La «guerra dei missili», come venne chiamata, preoccupava naturalmente molto gli abitanti di Teheran che avevano condotto fino ad allora la vita quasi normale […]. […] I missili cominciarono ad arrivare, ma i primi non riuscirono a inquadrare la città, cadevano a una cinquantina di chilometri, in pieno deserto. […] E finalmente, dopo parecchi giorni, un missile centrò in pieno Teheran. E sbrecciò un muro. […] I famosi missili di Saddam Hussein, forniti dai russi, avevano infatti una portata limitata e per coprire le centinaia di chilometri che separavano le basi di lancio dalla capitale iraniana gli iracheni avevano dovuto aumentare di molto il propellente sacrificando però così il carico di esplosivo che si era ridotto a poco più di un grande petardo. La cosa era talmente ridicola che a Teheran invalse l’uso di dire, quando si voleva segnalare una cosa che non valeva niente, una bufala, bullshit, che era «come i missili di Saddam». (p. 123)
«II Gazzettino», Il Conformista, 27 dicembre 2002
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QUANDO LE STRAGI FACEVANO COMODO AGLI AMERICANI
• […] La strage compiuta da Saddam Hussein nella città curdo-irachena di Halabja, bombardata con armi i chimiche che fecero 5000 morti. […] Se si eccettua l’atomica su Hiroshima - era la prima volta, dopo la guerra 1915-18, che venivano usate armi chimiche, le cosiddette «armi di distruzione di massa». (pp. 124-125).
«II Gazzettino», Il Conformista, 3 gennaio 2003
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PETROLIO, SOLO PETROLIO
• Gli Stati Uniti […] hanno 60 basi militari disseminate in 19 paesi del mondo. (p. 126)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 10 gennaio 2003
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LA VECCHIA EUROPA HA RIALZATO LA TESTA
• Di fronte al deciso no alla guerra pronunciato da Schröder e Chirac […], al rifiuto di Parigi e Berlino di rendere operativo, almeno per il momento, qualsiasi appoggio Nato all’intervento militare americano, alla […] risoluzione che preveda un attacco a Saddam, il ministro della Difesa americano Rumsfeld ha replicato sprezzantemente: «E solo la vecchia Europa, tanti altri paesi sono con noi». (p. 127)
• La Turchia è da molto tempo il vero, grande alleato degli Stati Uniti nella nostra area. L’immensa portaerei naturale indispensabile agli americani per le loro avventure militari. (p. 129)
«II Gazzettino», Il Conformista, 24 gennaio 2003
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E ALLA SESTA GUERRA LA GENTE DICE BASTA
• […] ritengo che, in certe circostanze, la guerra sia necessaria e a volte persino feconda […]. (p. 132)
• Peraltro dagli inizi di questa vicenda sono avvenuti fatti che nessuna persona raziocinante può ignorare o tenere in non cale. I due più importanti paesi europei, Germania e Francia, storici alleati dell’America, si sono dichiarati fermamente contrari a questa guerra; lo stesso hanno fatto […] Russia e Cina; contrario è il presidente della Ue, Romano Prodi; contrario è il segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan; non passa giorno che il Papa […] non parli in favore della pace […]; più di cento milioni di persone nel mondo sono scese in strada per manifestare per la pace (tre milioni solo in Italia); […]. (p. 132)
• […] gli americani, da quando è scomparsa l’Unione Sovietica, hanno fatto, con le motivazioni più varie, cinque guerre: nel Golfo, in Somalia, in Bosnia, contro la Iugoslavia, contro l’Afghanistan. (p. 133)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 14 marzo 2003
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IL DIRITTO DELLA FORZA
• Almeno in questo Marx ha avuto ragione: il diritto non è che una sovrastruttura, un’ipocrisia, ciò che realmente conta sono i rapporti di forza. (p. 134)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 21 marzo 2003
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IL VIZIO OSCURO DELL’OCCIDENTE
• Saddam commise i suoi crimini peggiori dal 1980 al 1988 quando tutto l’Occidente, americani in testa, lo sosteneva, contro l’Iran. (p. 138)
• Abbiamo scoperto chi era Saddam solo dopo che ebbe occupato il Kuwait. Non che ci importasse nulla della libertà del Kuwait, naturalmente, ci importava il petrolio. […] Dopo aver fatto, nel ’90-91, la guerra all’Iraq sostenendo che l’obiettivo era Saddam Hussein e non il popolo iracheno, e dopo aver ucciso nei bombardamenti 160.000 civili (32.195 bambini), abbiamo lasciato al suo posto proprio Saddam e intatta la sua guardia repubblicana. Come mai? […] Saddam serviva per reprimere la rivolta curda al Nord, in favore dell’alleata Turchia che ha dieci milioni di curdi indipendentisti in casa, e quella sciita al Sud per tenere a bada l’Iran. […] La replica, naturalmente, è che appoggiammo Saddam perché allora il vero pericolo era Khomeini. […] Khomeini aveva fatto una rivoluzione nel suo paese scalzando un dittatore, lo Scià di Persia, sostenuto dagli Stati Uniti, sostituendolo con una teocrazia che non è la democrazia ma è pur sempre qualcosa di più complesso del potere assoluto di un solo individuo. A differenza di Saddam, Khomeini non aveva attaccato né minacciato nessuno. (pp. 139-140)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 4 aprile 2003
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LA FALSA DEMOCRAZIA, QUELLA TOTALITARIA
• La vittoria non conferisce la ragione. Altrimenti, sul filo di questa logica, Hitler ha ragione finché vince. (p. 140)
• Chi appoggia la «teoria della liberazione» si fa forte delle scene di giubilo che si sono viste a Baghdad dopo l’ingresso degli americani. Non ci sono state scene di giubilo. Ci sono state 150-200 comparse prezzolate che, aiutate dagli americani, hanno abbattuto una statua. […] Lontano dalle tv, le effigi di Saddam rimanevano al loro posto […]. (p. 141)
«Il Gazzettino», 14 aprile 2003
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IL BUSINESS DELLA RICOSTRUZIONE
• Iraq. […] La cosiddetta «ricostruzione» è la parte del bottino di gran lunga più interessante, più dello stesso controllo del petrolio. Si tratta infatti di un business colossale. «Le imprese che si assicureranno i primi contratti avranno di fronte una prospettiva di grandi guadagni per lungo tempo» dice Steven Schooner della George Washington University. E il piano elaborato, su direttiva di Bush, dalla US Agency for International Development già all’inizio dell’anno (la guerra era quindi decisa già da tempo) prevede, entrando nel dettaglio, che tutti gli appalti, e subappalti vadano a imprese private americane, lasciando qualcosina agli inglesi e proprio le briciole agli altri. Secondo Schooner la ricostruzione vale 30 miliardi di dollari l’anno, altri analisti parlano di 60 miliardi, cifre pazzesche e di gran lunga superiori ai 20 miliardi di dollari che arriveranno dalla vendita di petrolio iracheno una volta che la capacità produttiva dei pozzi torni quella di prima del conflitto. Viene il legittimo sospetto che il vero motivo della guerra all’Iraq fosse distruggerlo per poterlo ricostruire [...]. (pp. 142-143)
«Il Gazzettino», 17 aprile 2003
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LE ISPEZIONI DELL’ONU ORA NON VANNO PIÚ
• […] Gli americani dopo aver fatto quel po’ po’ di casino per le ispezioni in Iraq alla ricerca delle «armi di distruzione di massa», adesso non le vogliono più. […] Cioè, poiché in Iraq adesso comandano loro, le ispezioni se le fanno da soli, si autoispezionano. (p. 143)
«Il Gazzettino», 22 aprile 2003
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QUANDO LA CURA UCCIDE IL MALATO
• La Francia pagherà le conseguenze del suo no alla guerra all’Iraq: lo ha detto il segretario di Stato Colin Powell […] durante il Charlie Rose Show […]. Secondo quanto è stato fatto filtrare dal Dipartimento di Stato alla Francia «saranno interdetti l’accesso al petrolio iracheno e alla ricostruzione economica dell’Iraq». Oh bella. Gli Stati Uniti non van dicendo che sono intervenuti in Iraq per liberarlo, per restituirgli l’indipendenza e per riportare il petrolio iracheno sul libero mercato? Che libero mercato è se la Francia e gli altri paesi che sono stati «cattivi» non vi potranno accedere? (p. 144)
• Di un alleato come gli Stati Uniti non so se si può fare a meno, ma si deve fare a meno. Perché non sono degli alleati, ma dei padroni. […] Perché se è vero che la libertà dell’Europa di ieri è passata – anche - attraverso gli americani, è altrettanto vero che la libertà dell’Europa di oggi si può realizzare solo contro gli americani. […] E, come ha detto […] un Mullah iracheno fra i più moderati, Mohammed al Kachami: «Gli americani sono come le medicine. Quando le dosi sono troppo massicce diventano un veleno che uccide, peggio della malattia che c’era prima». (p. 145)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 25 aprile 2003
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MA NON CHIAMATEO TERRORISMO: È GUERRIGLIA
• È ipocrita piangere ora lacrime di coccodrillo sui militari italiani morti nell’attacco di Nassiriya e continuare a raccontarci la favola convenuta dei nostri militari che sono in Iraq per portarvi l’ordine, la pace, la democrazia. [..] gli iracheni […] li considerano per quello che realmente sono: truppe straniere che occupano il loro territorio, alleate di chi li ha bombardati, invasi, […]. L’attacco di Nassiriya non è un atto terroristico, […] ma di guerriglia che ha preso di mira un obiettivo militare. (p. 150)
• L’Iraq di Saddam Hussein non ospitava terroristi «alla Bin Laden» per la semplice ragione che una dittatura del genere non tollera altri poteri sul suo territorio perché potrebbero sfuggire al suo controllo. [...] Oggi che l’Iraq è «terra di nessuno», fuori da ogni controllo, diventa il ricettacolo ideale per i terroristi internazionali, che vi hanno spazio, appoggi, mano libera e a disposizione bersagli praticamente fissi. Una vera pacchia. (p. 150)
«Il Giorno», 12 novembre 2003
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SIAMO IN BALLO, MA QUELLA IN IRAQ È GUERRA
• Tutti i regimi del Medio Oriente, compresi quelli che ci sono alleati, sono dittatoriali o autocratici. Può essere che una parte degli iracheni fosse decisa a liberarsi di Saddam, ma non al prezzo di un’occupazione straniera. E, in ogni caso, non gli importa niente della nostra democrazia, dei «sacri principi dell’89», dei «diritti umani». Sono concezioni nostre, non loro. Semplicemente: non ci vogliono. (p. 151)
«Quotidiano Nazionale», 2 dicembre 2003
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IL DIRITTO DI PROTESTARE
• Nell’Italia democratica qualsiasi manifestazione è lecita purché si svolga «pacificamente e senz’armi» (art. 14 Costituzione). (p. 152)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 12 dicembre 2003
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ASSURDO PROCESSARE IL NEMICO
• […] Quando gli americani uccidono dei guerriglieri iracheni noi non lo consideriamo un crimine, ma un legittimo atto di guerra. Ma deve valere anche la reciproca. Dice: ma noi italiani non siamo occupanti, siamo lì per il bene degli iracheni e per portare loro la democrazia. Peccato che ci sia una buona parte degli iracheni che non la pensa così […]. La guerra […] non è una cosa sporca, come tutta l’ipocrisia e la cattiva coscienza occidentale la considera, ma un modo, sia pure estremo, per risolvere un conflitto. Sporco è caso mai il modo in cui la si fa. Sporca e sleale è una situazione in cui una sola delle parti può colpire e l’altra deve solo subire, come ha fatto la Nato in Iugoslavia e gli americani in Afghanistan. […] Se non c’è il combattimento, non si tratta più, proprio dal punto di vista tecnico, di una guerra, ma di una situazione che non si differenzia sostanzialmente dall’attacco dello strangolatore contro la sua vittima. (pp. 153-155)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 19 dicembre 2003
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ARMI DI DISTRUZIONE, UN TRAGICO BALLETTO
• Colin Powell […] aveva presentato su queste armi un rapporto che aveva definito «basato sui fatti e su una intelligence solida» e che invece era stato costruito con i piedi, tanto che una dozzina di pagine, parto degli inglesi, erano risultate fotocopiate da una tesi di laurea. […] Ci siamo sbagliati? Ma questo è costato la vita a 15.000 civili iracheni, secondo le stime più prudenziali, a 55.000 secondo Medact, un’associazione di medici e di infermieri che opera sul campo, a più di 500 americani e a un centinaio di soldati alleati, fra cui 19 italiani. (pp. 155-156)
«II Gazzettino», Il Conformista, 6 febbraio 2004
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È L’INIZIO DI UNA GUERRA CIVILE
• Saddam Hussein era l’equilibrio che quel paese aveva trovato nella difficilissima convivenza di tre gruppi culturali ed etnici profondamente diversi e intimamente ostili, sanniti, sciiti e curdi, messi cervelloticamente e arbitrariamente insieme in uno Stato unitario dagli inglesi, che erano stati i padroni coloniali di quella regione negli anni Venti e Trenta […]. Tolto il tappo Saddam, è diventato un inferno ingovernabile. I sanniti non ci stanno a vivere sotto un’egemonia sciita. Questo è quanto. L’odio fra le due comunità ha radici antichissime, risale al 680 dopo Cristo quando l’imam Hussein, nipote di Maometto, fu ucciso dai seguaci del califfo Yazid. Fatto che segnò la definitiva scissione dell’Islam in due rami. (pp. 156-157)
«Il Gazzettino», 4 marzo 2004
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IL DIRITTO DI DIRE NO AI «LIBERATORI»
• […] il comunicato degli insorti è ineccepibile: «Annunciamo a voi e a tutti gli uomini liberi del mondo che la nostra è una causa giusta. Stiamo difendendo la nostra terra, il nostro onore, la nostra dignità e i nostri sacri valori, mentre le forze del male sono venute da oltre gli oceani per occupare la nostra terra. È dunque nostro diritto difendere le nostre terre e questo diritto è contemplato dalle leggi celesti e dalle leggi internazionali». Potrebbero essere, a parte qualche dettaglio, parole di un eroe del nostro Risorgimento. (pp. 162-163)
• […] don Gianni Baget Bozzo, un prete ferocemente antimusulmano che presumo starebbe bene in una teocrazia di tipo islamico visto che confonde la politica con la religione e incarna entrambe nella sua persona. (p. 162)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 30 aprile 2004
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GLI IRACHENI ADESSO VOGLIONO LA LIBERTÁ
• Andrea Nicastro, uno dei giornalisti rimasti intrappolati nella Cpa di Nassiriya, racconta come a comandare le operazioni in loco non siano i militari italiani, quelli del San Marco, ma i mercenari filippini, assoIdati a mille dollari al giorno da una compagnia privata di sicurezza, la Triple Canopy. […] Intanto i nostri militari che dovrebbero essere lì per garantire la sicurezza altrui riescono a malapena a salvaguardare la propria, molto probabilmente con accordi sottobanco […] del tipo: noi fingiamo di attaccarvi, senza affondare davvero i colpi, e voi ci lasciate il controllo di Nassiriya. Da controllori siamo diventati controllati. (p. 165)
«Il Gazzettino», 17 maggio 2004
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AMMETTIAMO L’ERRORE E ANDIAMOCENE
• I nostri soldati non sono forze di pace, ma non sono nemmeno attrezzati per essere forze di guerra. Sono bersagli. […] Adesso per noi è diventato molto più difficile disimpegnarsi. Non perché, come dice Berlusconi, se andiamo via è il disordine (siamo noi - le truppe occupanti - la reale causa del disordine), ma perché, essendo sotto attacco diretto, sarebbe una fuga. (p. 166)
«Quotidiano Nazionale», 18 maggio 2004
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CONTINUERÁ LA GUERRIGLIA AGLI STRANIERI
• II giorno stesso della sua nomina il primo ministro Allawi si è precipitato alla televisione per dire che le truppe straniere devono restare assolutamente in Iraq. Ed è ovvio. Senza quelle truppe la vita di Allawi e degli altri 24 ministri del governo provvisorio varrebbe meno di un dollaro bucato. (p. 168)
«Il Gazzettino», 8 giugno 2004
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DEMOCRAZIA IN IRAQ, L’ERRORE AMERICANO
• […] passo dell’Agamennone di Eschilo in cui si dice: «I vincitori si salveranno se rispetteranno gli dei e i templi dei vinti». (p. 170)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 27 agosto 2004
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PROCESSO A SADDAM: FARLO ORA È FOLLIA
• Processo a Saddam Hussein. Intervistato dalla giornalista Monica Maggioni del Tg1 il presidente di questo sedicente tribunale si è fatto riprendere di spalle, per paura di essere riconosciuto, e alla domanda della giornalista italiana sulle ragioni che lo avevano indotto ad accettare quell’incarico ha risposto in questo modo: «Ho accettato perché non ho un altro lavoro, per dar da mangiare a me e ai miei figli». (p. 171)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 18 giugno 2004
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NATO E USA PER GLI ARABI SONO UGUALI
• […] Le truppe italiane, […] la loro presenza, dal punto di vista concreto, è completamente indifferente. Perché non fanno assolutamente nulla. […] In realtà gli italiani, dopo l’attacco a Nassiriya, hanno fatto né più né meno quello che fece il generale Angioni in Libano: si sono accordati segretamente con coloro che avrebbero dovuto combattere (ed è la stessa cosa che stiamo facendo a Kabul e dintorni). […] È nostra collaudata abitudine, in guerra (e non solo), di tenere i piedi in molte scarpe. Non siamo seri né affidabili. Al contrario, per esempio, degli inglesi. […] Blair ha preso la decisione di appoggiare gli americani nell’operazione irachena e la sta portando fino in fondo. Ma si vede ictu oculi che non l’ha fatto alla leggera e la sta pagando fisicamente e politicamente. Silvio Berlusconi, nel pieno della tragedia, furoreggiava nella sua villa di Sardegna, fra anfiteatri abusivi, giochi d’acqua, giochi d’artificio, giochi di prestigio e cantastorie napoletani, con una bardana da pirata. Per questo gli inglesi, per quanti errori e anche scelleratezze possano aver compiuto e compieranno, restano un gran popolo. E gli italiani solo una ciurma di cialtroni degnamente rappresentati dal loro presidente del Consiglio. (pp. 172-173)
«Il Gazzettino», 6 ottobre 2004
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FARE LA GUERRA CHIAMANDOLA PACE
• Nella modernità il rito di demarcazione era la dichiarazione di guerra. Un documento formale veniva consegnato all’ambasciatore deIIo Stato divenuto nemico (considerato però uno justus hostis) e gli venivano lasciate quarantotto ore per abbandonare il paese insieme a tutti i suoi connazionali. E così faceva la controparte. […] Le cose erano e dovevano essere chiare: ogni cittadino dello Stato nemico era un nemico e, se trovato sul proprio territorio, poteva essere preso prigioniero. Come c’erano riti di demarcazione per dar inizio a una guerra, così ce ne erano altri per decretarne la fine che si sostanziavano nella dichiarazione di resa, […]. Oggi la guerra la si fa, come sempre, ma non si osa più dichiararIa e si preferisce mascherarla ipocritamente, da parte occidentale, sotto nomi diversi […]. All’Iraq nessuno ha dichiarato guerra, però il suo territorio è stato invaso e stabilmente occupato da truppe straniere, […]. Se George W Bush non ha dichiarato guerra all’Iraq ne ha però in compenso, a marzo di un anno e mezzo fa, dichiarato la fine. […] La guerra […] all’Iraq […] Kerry, il candidato alla presidenza degli Stati Uniti, l’ha definita «una guerra sbagliata, fatta nel momento sbagliato con le motivazioni sbagliate» […]. (pp. 173-174)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 10 settembre 2004
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NOI E I CANNIBALI
• Le cronache delle prime udienze, che riguardano Alì Hassan al-Majid, cugino di Saddam, il famigerato «Alì il chimico», e il ministro della Difesa, Sultan Hashim, e che sono trasmesse anche in video, descrivono così gli imputati: «Hanno giacche un po’ troppo larghe, pantaloni senza cintura e camicie senza cravatta... Prigionieri. Inoffensivi. Umiliati... le immagini dell’istruttoria sono diventate soprattutto uno spettacolo di dissacrazione». […] interrogare qualcuno con i calzoni che gli cascano, in modo che si ridicolizzi nel tentativo di tenerseli su, era una pratica nazista, l’umiliazione pubblica è una tortura, la peggiore perché colpisce l’individuo non nella carne, dove, se ha tempra, può tener botta, ma nello spirito, senza difesa. In qualsiasi civiltà che seppur feroce abbia conservato un minimo senso dell’umano non si tortura e non si umilia il nemico vinto, lo si uccide. Montaigne nei suoi Saggi (capitolo XXXI) racconta come i cannibali brasiliani trattassero con rispetto i loro prigionieri per poi ucciderli e mangiarli secondo i propri rituali. (p. 177).
«Il Gazzettino», 22 dicembre 2004
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IRAQ, L’ULTIMO CAPITOLO DEL FALLIMENTO DELLA POLITICA ESTERA USA
• […] Iraq dove i morti iracheni sono stati calcolati fra i 650 e i 750.000, infinitamente di più di quanti ne abbia fatti Saddam Hussein in trent’anni di dittatura, a cui vanno aggiunti 4500 caduti Usa. (p. 184)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 23 dicembre 2011
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-LIBIA -
GHEDDAFI E LE CARNEVALATE DI BERLUSCONI
• Abbiamo firmato con la Libia un «Trattato d’amicizia» che prevede un indennizzo risibile di 150 milioni per 120.000 italiani cacciati nel 1979, da un giorno all’altro, dallo stesso Gheddafi, a patto di confische per oltre tre miliardi, in compenso noi pagheremo cinque miliardi alla Libia a titolo di risarcimento per il nostro passato coloniale. (p. 186)
• Abbiamo regalato alla Libia sei motovedette per «contrastare l’immigrazione clandestina» che parte da quelle coste, come recita il Trattato, e per effettuare su di essa «attività di controllo, ricerca e salvataggio». E che fanno gli «amici» libici? Alla prima occasione, […] sparano con le nostre motovedette, ad altezza di scafo, a un nostro motopesca d’altura che navigava a 30 miglia dalle coste libiche e quindi in acque internazionali. E il tutto avviene, paradosso beffardo, penoso e umiliante, con la presenza sulla motovedetta libica di sei militari italiani che, invece di intervenire a difesa dei loro connazionali, si infilano, come dei Don Abbondio, sottocoperta. […] Poi, la sera, tutti all’ambasciata libica a festeggiare l’anniversario della presa del potere, nel 1969, del dittatore Gheddafi. (pp. 186-187)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 17 settembre 2010
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COSÌ LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE CREA STATI FIGLI E FIGLIASTRI
• […] in Cecenia dove le armate russe di Eltsin e dell’«amico Putin» hanno consumato il più grande genocidio dell’era moderna: 250.000 morti su una popolazione di un milione. (p. 189)
«il Fatto Quotidiano», 19 marzo 2011
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L’OCCIDENTE PROTEGGE SE STESSO
• Un liberale che pretende che tutti siano liberali non è un liberale: è un fascista. (p. 191)
• Dal 1990, cioè dal crollo dell’Urss, la Nato, sia pur con mascherature varie, ha inanellato cinque guerre d’aggressione: Iraq 1990, Serbia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003 e, ora, la Libia. (p. 191)
«il Fatto Quotidiano», 23 marzo 2011
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LA FINE DELLA SOVRANITÀ NAZIONALE
• Gli insorti afghani, […] subiscono da dieci anni il trattamento che i rivoltosi libici hanno assaggiato per pochi giorni dagli aerei di Gheddafi. Non si lamentano. Si battono, disprezzando gli americani che usano quasi esclusivamente i caccia e i droni, aerei senza equipaggio, e facendo strame di civili (persino Karzai, di fronte all’ennesima strage, è stato costretto a dire ai suoi padroni americani: «Ma combattete almeno un po’ all’afghana!»). (p. 194)
• Pierluigi Battista […] è uno che se gli scoppia un petardo a dieci metri sviene. […] Se ci fosse una sola possibilità che un missile di Gheddafi colpisse le nostre città, le nostre case e magari la sua, Pierluigi Battista diventerebbe più pacifista di Feltri. (p. 195)
«il Fatto Quotidiano», 2 aprile 2011
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DELLA VILTÀ DEI POTENTI
• […] I dittatori moderni: spietati con le vite degli altri, disposti a ogni ignominia pur di salvare la propria. Saddam Hussein si è fatto trovare come un topo di fogna in fondo a un tombino. Ben Ali è scappato con la cassa. Hosni Mubarak si è lasciato barellare in uno di quei grotteschi processi che, da Norimberga in poi, i vincitori intentano ai vinti, sperando così di impietosirli. E, per restare in casa nostra, riandando a tempi più lontani, Benito Mussolini, dopo tanta retorica sulla «bella morte» che spinse molti giovani di Salò a sacrificare la vita per lui, si fece pescare mentre fuggiva verso la Svizzera travestito da soldato tedesco. Anche Muammar Gheddafi, che per tutta la vita ha fatto il gradasso, sembra seguire questa via vergognosa: dopo aver chiesto per mesi ai suoi l’estremo sacrificio («combatteremo fino all’ultima goccia di sangue») lui sta fuggendo, come una lepre impazzita, per ogni dove invece di affrontare il nemico nell’ultima battaglia. Certamente non è Catilina: «Catilina fu trovato lungi dai suoi fra i cadaveri dei nemici: respirava ancora un poco, ma gli si leggeva sul volto la stessa espressione di indomita fierezza che aveva da vivo» (Sallustio, La congiura di Catilina, LXI). Peraltro Catilina non era un dittatore, ma un ribelle che si era rivoltato contro la falsa democrazia delle oligarchie dominanti e nullafacenti della Roma repubblicana,[…]. Nella modernità la sola classe dirigente coerente con i propri misfatti è stata quella nazista. Quando Hanna Ritschl, asso dell’aviazione tedesca, negli ultimi giorni di Berlino riuscì ad atterrare, non si sa come, vicino al bunker bombardato da tutte le parti, disse a Hitler: «Mio Führer, salite sull’aereo. Vi porterò in salvo», Hitler rifiutò e ordinò alla donna di riprendere immediatamente il volo, altrimenti non avrebbe avuto più margini di fuga. E non volle accettare nessun’altra soluzione: «Sono sicuro che se gli americani mi prendono prigioniero, mi esporranno in una gabbia, come una scimmia». Si suicidò con un colpo di pistola. Mentre Goebbels e la moglie Magda si diedero il veleno dopoaverlo fatto con i loro sei figli. Questo non li assolve da nulla, ma li mette perlomeno all’altezza dei loro crimini. […] La guerra ha almeno questo di buono: rivela gli uomini. (p. 199)
«il Fatto Quotidiano», 3 settembre 2011
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-AFGHANISTAN-
MASSACRARE I TALEBANI PER GLI USA NON È REATO
• Si fa troppa, e voluta, confusione fra Talebani e terroristi. […] Lo Stato governato dai Talebani, benché riconosciuto da soli tre paesi, era uno Stato legittimo. I sacri testi del diritto internazionale dicono infatti che uno Stato esiste quando ci siano tre elementi: un governo, un popolo, un territorio. E lo Stato talebano aveva un governo, un popolo e un territorio. […] sul piano internazionale lo Stato talebano si è comportato molto correttamente. Non è stato aggressivo, non ha mai costituito un pericolo per i suoi vicini […].
«Quotidiano Nazionale», 1° dicembre 2001
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I TALEBANI IN CATENE SPETTACOLO INCIVILE
• […] A Porta a Porta […] Proprio dalle parole di Martino, della Annunziata, di Ranieri veniva fuori con chiarezza che gli americani sono andati in Afghanistan per combattere i terroristi e han finito per far la guerra al governo talebano e al burqa. Ci si può chiedere se è lecito bombardare per tre mesi un paese, ammazzare 3767 civili (più delle Torri Gemelle) secondo stime dell’Università del New Hampshire, 8000 secondo altre, solo perché c’è una teocrazia. […] Cose che non si erano viste neanche nella Seconda guerra mondiale: bombarda menti su detenuti, bombe da sette tonnellate per stanare un talebano inguattato, bombe su un intero villaggio perché vi è nascosto, forse, un terrorista, arresti di ambasciatori accreditati e, da ultimo, prigionieri trattati non come prigionieri di guerra e nemmeno come criminali, ma trascinati, legati l’uno all’altro, in catene incappucciati, riempiti di psicofarmaci, costretti a cagarsi addosso in un viaggio aereo di ventisette ore e, infine, rinchiusi, come bestie, in gabbia all’aperto sotto la luce dei riflettori giorno e notte. (pp. 205-206)
«Quotidiano Nazionale», 13 gennaio 2002
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AFGHANISTAN VIOLENTATO
• Finora in Afghanistan la legittimazione al comando si era conquistata per la valentia guerriera […], il coraggio, la forza fisica, l’appartenenza a una famiglia, a un clan, a una tribù, a una tradizione, tutti valori che non c’entrano nulla con la democrazia perché fanno parte, per dirla con Max Weber, di quel «potere carismatico» che in certe realtà del mondo e in certi periodi della Storia ha molto più senso di quello democratico. Io nego nel modo più assoluto che il Mullah Omar fosse mene rappresentativo della sua gente di Renato Schifani, o chi per lui, solo perché qui qualcuno ha messo una scheda in un’urna. Sono uomini e modi diversi per realtà diverse. La democrazia in Afghanistan […] nasce a carte truccate per mantenere al potere Karzai, il Quisling degli americani, consulente da dieci anni della statunitense Unocal che dovrebbe costruire il gigantesco gasdotto che partendo dal Turkmenistan. Progetto cui è economicamente interessata mezza amministrazione Bush, da Dick Cheney a Condoleezza Rice, e che è uno dei motivi per cui gli americani, col pretesto di dare la caccia al fantasma di Bin Laden, mantengono le loro truppe in quel paese. […] Se l’Afghanistan è infatti relativamente tranquillo, rispetto per esempio all’Iraq, è perché le truppe occupanti controllano a malapena Kabul e qualche città. In tutto I’Afghanistan rurale, vale a dire nel 90 per cento del paese, il potere è rimasto, grazie a dio, nelle mani delle tribù. (pp. 206-207)
«II Gazzettino», Il Conformista, 16 gennaio 2004
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AFGHANISTA AL VOTO. UNA FARSA
• II traffico d’oppio, che il […] Mullah Omar era riuscito a stroncare proprio l’anno precedente l’invasione americana, produce oggi 2,3 miliardi di dollari e rappresenta l’unica risorsa economica del paese o, per meglio dire, dei trafficanti, locali e internazionali […]. Ma, via, non bisogna disperare. Non tutto va male in quel paese. Adesso a Kabul, novità e prodigio della democrazia, sono arrivati finalmente i bordelli. (pp. 208-209)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 8 ottobre 2004
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SULL’AFGHANISTA L’OMBRA DELL’OCCIDENTE
• Nei dieci anni di guerriglia contro l’Unione Sovietica, gli afghani, pur dovendo affrontare un esercito tanto più potente e tecnologicamente armato, non si lasciarono andare a un solo atto di terrorismo, né all’interno del loro paese né fuori. E all’istigazione di alcuni consulenti occidentali che gli facevano notare che il mondo era pieno di sedi dell’Aereoflot, facili bersagli, uno dei capi della guerriglia afghana rispose: «Noi queste cose non le facciamo». E anche nella guerra fra i Talebani e gli ex capi della guerriglia, trasformatisi, per la povertà in cui era precipitato il paese, in predoni, taglieggiatori, tagliagola e stupratori, non si registra alcun episodio di terrorismo. (pp. 209-210)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 3 giugno 2005
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SE LA GUERRA VA FUORI DAI RANGHI
• Nei giorni scorsi gli americani hanno bombardato il villaggio pakistano di Damadola, al confine con l’Afghanistan, pensando che vi si fossero rifugiati il cosiddetto «numero due» di Al Qaeda, il medico egiziano Ayman al Zawahiri, e il Mullah Omar […]. Risultato del raid: 18 morti, tutti civili, di cui otto donne e cinque bambini. Di al Zawahiri e del Mullah Omar, naturalmente, nessuna traccia. Com’è stato possibile un simile errore? Il fatto è che gli americani utilizzano aerei Predator senza pilota, armati di missili Helfire teleguidati attraverso satelliti e sensori, dalla base di Nellis nel Nevada a 10.000 chilometri di distanza. (p. 211)
• Che si fa di fronte a un nemico invisibile? O si subisce senza reagire oppure la risposta non può essere che quella terroristica (e non è un caso che dall’inizio del 2006 anche gli afghani si siano dati, soprattutto nella zona di Kandahar, tradizionale roccaforte talebana, ad atti di terrorismo, completamente estranei, a differenza degli arabi, alla loro cultura [...]). (pp. 212)
• Di molte delle guerre combattute dagli occidentali negli ultimi quindici anni (quella del Golfo del 1990, guerra alla Iugoslavia del 1999, guerra all’Afghanistan del 2001-2002 e guerra all’Iraq […]) si può persino dubitare che siano, tecnicamente, delle guerre. Vi manca infatti l’essenziale: il combattimento. […] In tal modo questo tipo di guerra, che Edward Luttwak con indovinata intuizione ha chiamato «post eroica», perde non solo ogni epica ma anche ogni etica e la propria stessa legittimità, e dentro di essa la perde il combattente clic non combatte […].Si esce quindi dall’ambito della guerra e si entra in quello dell’assassinio. Caratteristica che la guerra «post eroica» condivide col terrorismo globale col quale ha anche molte altre affinità. Ne citerò una sola: la mancanza di qualsiasi, anche minimo, ius belli, di regole, di codici di lealtà e di onore, di rispetto della dignità altrui e propria. (pp. 212)
«Il Gazzettino», 18 gennaio 2006
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LIBANO E AFGHANISTAN, DUE MISSIONI CON SCOPI DIVERSI
• […] Il movimento talebano non può essere scambiato con un fenomeno terrorista. […] Come mai i Talebani si erano affermati in Afghanistan? Perché dopo dieci anni di guerra all’invasore sovietico il paese si era drammaticamente impoverito e i leggendari capi che avevano combattuto e vinto le truppe russe, gli Ismail Khan, gli Heckmatyar, i Dostum, i Pacha Khan e anche i Massud, si erano trasformati […] bande mafiose e senza legge, che taglieggiavano e opprimevano la popolazione (un camionista, per fare un esempio, per attraversare il paese doveva pagare almeno una ventina di «pizzi»), che ammazzavano, rubavano, stupravano (la carriera di leader del Mullah Omar comincerà proprio col salvataggio, in due occasioni, di ragazze che erano state sequestrate da queste bande). I Talebani furono una reazione a questa situazione divenuta intollerabile. Grazie alla loro valentia guerriera […] e soprattutto all’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione, in particolare rurale […] vinsero la partita militare e riportarono l’ordine, sia pure un duro ordine, nel loro paese. […] i Talebani, si battevano con straordinario coraggio contro lo strapotente esercito sovietico (il Mullah Omar, diciannovenne, perse un occhio in battaglia). (p. 216)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 15 settembre 2006
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GLI AFGHANI CI CACCERANNO COME HANNO GIÀ FATTO CON I SOVIETICI
• David Richards, il generale inglese cui gli americani […] hanno lasciato da luglio lo scomodo ruolo di comandante delle forze Nato in Afghanistan, ha ammesso che solo il 20 per cento della popolazione appoggia il governo Karzai, il resto, guatare quinti, sta con i Talebani. E ha aggiunto che anche quel 20 per cento deciderà di appoggiare il Mullah Omar se nei prossimi sei mesi non vedrà un miglioramento delle proprie condizioni di vita». (p. 217)
• […] il chirurgo Marco Garatti, da anni in Afghanistan: «Le offensive militari internazionali non sono servite a nulla, se ammazzano 500 talebani ne arrivano altri cinquemila». (p. 218)
«II Gazzettino», Il Conformista, 20 ottobre 2006
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QUANTE BUGIE IN TV SUOI SEGUACI DEL MULLAH OMAR
• I Talebani […] Proprio per il loro integralismo religioso e il loro moralismo, lo stupro è fuori dal la loro pratica. (p. 218)
«Quotidiano Nazionale», 8 marzo 2007
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QUANDO I TALEBANI «MANGIAVANO» I ROSSI
• Parlando all’Università di Firenze Massimo D’Alema […] : «Abbiamo a sinistra dei giovani... che guardano ai Talebani come fossero un movimento antimperialista. Una delle iniziative che i Talebani presero quando erano al potere fu quella di squartare i comunisti». […] I Talebani non squartavano i comunisti. Li impiccavano. E con delle buone ragioni. Perché durante i dieci anni di occupazione sovietica, mentre tutto il popolo afghano si batteva, con formidabile coraggio contro l’Armata rossa, i comunisti di quel paese, non molti per la verità, sostenevano gli invasori. Quando neI novembre del 1996 il Mullah Ornar entrò a Kabul alla testa delle sue truppe, il primo provvedimento che prese fu di far impiccare l’ex presidente Naiisbullah che era stato il Quisling dei sovietici così come oggi Karzai lo è degli occidentali. E, dopo processi, sia pur sommari, furono impiccati gli altri collaborazionisti comunisti. Alla fine della Seconda guerra mondiale i comunisti fecero di peggio. Assassinarono, senza l’ombra di un processo, […] decine di migliaia di «fascisti» o presunti tali, mentre la resistenza si coprì di vergogna facendo sfilare nude per le strade, e con i capelli rasati a zero, ragazze che erano andate a letto con i tedeschi. (pp. 219-220).
• I Talebani non hanno il nostro concetto di antimperialismo. E, in partenza, non erano nemmeno antioccidentali e antiamericani […]. Si interessavano solo del loro paese […]. Più volte cercarono di avviare rapporti normali con gli Stati Uniti, rapporti che si incrinarono quando il Mullah Omar decise di non affidare la costruzione del colossale gasdotto che dal Turkmenistan avrebbe raggiunto il Pakistan e quindi il mare, passando per la maggior parte in territorio afghano non alla Unocal americana, cui era interessata mezza amministrazione Bush, ma all’argentina Bridas diretta dall’italiano Carlo Bulgheroni. (p. 220)
«Il Gazzettino», Il Conforrnista, 10 marzo 2007
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NON CHIAMIAMOLI TERRORISTI
• I Talebani non sono terroristi. […] La sola colpa dei Talebani è di essersi trovati in casa, al momento delle Torri, Bin Laden, questo ricchissimo e ambiguissimo saudita che proprio gli americani avevano foraggiato in funzione antisovietica; ma Osama era un problema anche per loro, tanto che quando Clinton propose al Mullah Omar di ucciderlo si mostrarono disponibili purché gli americani se ne assumessero la responsabilità. (p. 221)
• Secondo il Centro studi britannico Senlis l’88 per cento degli afghani considera quelle Nato truppe di occupazione. (p. 221)
«Quotidiano Nazionale», 21 marzo 2007
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TALEBANI TERRORISTI? NO, UOMINI
• […] Settimane fa due guerriglieri afghani assaltarono una base americana a colpi di fucile. Ripiegando si rifugiarono in un vicino villaggio. Se gli americani volevano prenderli potevano mandar fuori le truppe. Invece hanno sganciato due bombe da 900 chili uccidendo cinque donne, tre bambini e un vecchio, senza prendere i guerriglieri. (p. 222)
• Ma la disgregazione più devastante per quel popolo deriva proprio dalla nostra presenza, anche quella pacifica. Sul «Corriere» di qualche tempo fa si poteva leggere: «Vegliano fino a notte alta migliaia di afghani, giovani e meno giovani, davanti alla tv satellitare che grazie alle enormi paraboliche trasmette i clip indiani con seducenti cantanti carezzate da veli trasparenti. Passano ore al telefonino a scambiarsi immagini spinte e ad ascoltare suonerie al ritmo di lambada e macarena. Comprano per pochi dollari cd e dvd con i film occidentali porno. Si raccontano i desideri e le pene d’amore a radio Arman. Fanno le ore piccole negli "Internet Cafè", cresciuti come funghi a Kabul. E si lustrano gli occhi: finalmente possono avere una visione integrale di quell’essere femminile che sotto i Talebani non poteva mostrare in pubblico le caviglie». Insomma stiamo cercando di occidentalizzare a forza la popolazione afghana e, in attesa di corrompere anche le loro donne, in nome naturalmente della dignità femminile, di trasmettere a quegli uomini così belli, così affascinanti, così fieri, così audaci, così coraggiosi, così dignitosi, anche antropologicamente, così virili, feroci e crudeli anche, certo, ma uomini, le nostre nevrosi, le nostre ossessioni, il nostro vuoto esistenziale e spirituale, la nostra impotenza sessuale. Era meglio il Mullah. (p. 223)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 23 marzo 2007
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AFGHANISTAN, A ROMA UNA «COMICA» CONFERENZA
• Secondo stime Onu dall’inizio dell’anno le vittime civili sono state 430. Noi non siamo l’Onu, ma semplicemente raccogliendo le notizie dei giornali ne abbiamo contate 872. (p. 224)
• La Nato non combatte «all’afghana», cioè con le forze di terra, ma con i bombardieri. […] La struttura sociale afghana è fatta a grandi famiglie, a clan, è tribale. Se tu uccidi un uomo di un villaggio non uccidi solo un uomo, «uccidi» l’intero villaggio e lo avrai tutto contro. In Afghanistan è nato addirittura un proverbio: «Per ogni civile morto nascono dieci Talebani». (pp. 224-225)
• Siamo lì […] «per ricostruire il paese e riportarvi l’ordine» . Ma bisognerebbe prima chiarire chi è che ha distrutto quel «martoriato paese» e vi ha portato il disordine. Dal 1980 al 1990 sono stati i sovietici, dal 1990 al 1996 sono stati i «signori della guerra», e dal 2001 siamo noi. L’unico periodo in cui l’Afghanistan ha vissuto nell’ordine e nella pace è stato il 1996-2001, quando governavano i Talebani. (p. 225)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 6 luglio 2007
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ANDIAMOCENE E LASCIAMO CHE GLI AFGHANI SE LA SBRIGHINO DA SOLI
• Gli occidentali, e soprattutto gli americani, bombardano alla cieca i villaggi senza rendersi conto che nei villaggi ci sono solo vecchi, donne e bambini, perché tutti gli uomini validi sono a combattere. (p. 226)
• In Iraq le vittime civili sono state conteggiate in circa 650.000, in Afghanistan […] non sono calcolate e sono incalcolabili. Comunque cento volte superiori a quelle dell’assedio di Sarajevo della famosa strage del mercato e di quella di Srebrenica (dove peraltro a essere liquidati furono solo maschi adulti), episodi per i quali Karadžić e Mladić sono stati trascinati davanti al Tribunale internazionale dell’AJa per «crimini di guerra». (p. 226)
«Quotidiano Nazionale», 24 agosto 2008
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UNA DEMOCRAZIA NON PUÒ TEMERE LE IDEE DEGLI ALTRI
• Negli stessi documenti interni del Pentagono e della Cia i combattenti afghani, talebani e non, sono chiamati insurgents, insorti. Si tratta di una guerra di liberazione contro l’occupazione dello straniero […]. (p. 230)
• C’è da aggiungere infine che se anche i Talebani riprendessero il potere nel loro paese, l’Afghanistan non costituirebbe un pericolo per nessuno. Non è dotato, a differenza del Pakistan, di armi atomiche, non ha mai posseduto, a differenza dell’Iraq, armi di distruzione di massa, è armato in modo antidiluviano e nella sua storia non ha mai aggredito nessun paese, né vicino né lontano. (p. 230)
• […] è ben debole una democrazia che ha paura delle idee altrui. Vuol dire che non è più tanto convinta delle proprie. (p. 231)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 20 febbraio 2009
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LE TRAGEDIE IN AFGHANISTAN E LE RESPONSABILITÀ OCCIDENTALI
• […] il combattente che non combatte perde ogni legittimità. (p. 232)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 8 maggio 2009
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MENZOGNA AFGHANA (UN RIEPILOGO DOPO OTTO ANNI DI OCCUPAZIONE)
• In Afghanistan all’epoca dell’attacco alle Torri Gemelle c’era Bin Laden. Ma i Talebani, preso il potere, se l’erano trovato in casa e, dopo gli attentati in Kenya e Tanzania, era diventato un problema anche per loro. Tanto che quando Clinton nel 1998, attraverso contatti discreti, propose al Mullah Omar di uccidere lo sceicco saudita il leader talebano si mostrò disponibile. Inviò a Washington il suo braccio destro, Ahmed Wakil Muttawakil, che incontrò il presidente americano due volte, il 28 novembre e il 18 dicembre. […] la responsabilità dell’attentato dovevano assumersela gli americani perché Bin Laden in Afghanistan aveva costruito ospedali, strade, ponti, godeva di una grande popolarità presso la popolazione e il governo talebano non poteva assumersi la paternità del suo assassinio. Stranamente Clinton declinò l’offerta (Documento del Dipartimento di Stato, agosto 2005). (p. 234)
• La Cia ha calcolato che fra i circa 50.000 insurgents ci sono 386 stranieri. Ma sono uzbeki, ceceni, turchi. Non arabi. (p. 234)
• Nell’Afghanistan del Mullah Omar, come mi ha raccontato Gino Strada che vi ha vissuto, si poteva viaggiare tranquilli anche di notte. In quell’Afghanistan non c’era disoccupazione perché il Mullah, sia pur con qualche moderata e mirata concessione all’industrializzazione, aveva mantenuto l’economia di sussistenza. Non c’era corruzione per il semplice motivo che i Talebani facevano impiccare i corrotti. Infine dal 2000 non c’era neppure più traffico d’oppio perché il Mullah aveva troncato la coltivazione del papavero (si veda il diagramma pubblicato dal «Corriere» il 12 giugno 2006: nel 2001, la produzione di oppio crolla quasi a zero, oggi l’Afghanistan produce il 93 per cento dell’oppio). (p. 235)
«il Fatto Quotidiano», 23 settembre 2009
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NIENTE «SDEGNO» PER L’ATTENTATO. È STATA UN’AZIONE DI GUERRA
• In alcune aree del paese i contingenti occidentali pagano tangenti ai Talebani perché li proteggano. […] Ma il 3 maggio una pattuglia di soldati italiani, evidentemente con i nervi a fior di pelle, ha sparato contro una Toyota che procedeva in senso inverso, regolarmente sulla propria corsia, prendendola per una macchina di attentatori, e ha ucciso, decapitandola, una bambina di dodici anni e ferito tre suoi familiari. Il gruppetto stava andando a un matrimonio. E l’accordo è saltato. […] È iniziato così uno stillicidio di attentati […]. I Lince hanno cominciato a saltare in aria, pur senza che ci fossero, vittime. Poi il 12 giugno sono stati feriti tre alpini. A metà luglio è stato ucciso Alessandro Di Lisio. Quindi è arrivato il terrificante botto di Kabul. E certamente non è finita. È ovvio che non dobbiamo lasciare l’Afghanistan perché abbiamo avuto delle perdite. Gli americani sono a quota 850, gli inglesi a 216, i canadesi 131, i danesi 26, più del 10 per cento del loro piccolo contingente di 200 uomini. (pp. 235-236)
«Il Gazzettino», Il Conformista, 25 settembre 2009
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IMPOSSIBILE ORMAI PORTARE DEMOCRAZIA IN AFGHANISTAN. SI RESTA PER L’UNITÀ DELLA NATO
• Gli americani manderanno altri 30.000 soldati in Afghanistan. Agli alleati europei ne sono stati richiesti 5000. L’Italia […] ne ha promessi 500. Già queste cifre, che vanno sommate agli 80.000 uomini attualmente in Afghanistan, dicono che c’è qualcosa che non quadra. Che ci sia bisogno di un esercito di 120-130.000 soldati, armati con i mezzi più sofisticati, per battere quello che dovrebbe essere un manipolo di terroristi non è credibile. (pp. 236-237)
• […] Gli Stati Uniti, dopo aver commesso l’errore di entrare in quel paese, non possono uscirne senza aver almeno dato l’impressione di aver ottenuto qualche risultato, pena «perdere la faccia» […]. Per la verità una ragione seria, anche se sottaciuta, per restare in Afghanistan almeno gli americani ce l’hanno. Perché se la Nato perde in Afghanistan si sfalda. Ma quello che per gli americani sarebbe sicuramente un grave danno, non è detto che non sia invece un vantaggio per gli europei. La Nato è stata, ed è infatti, lo strumento con cui gli americani tengono da più di mezzo secolo l’Europa in uno stato di sudditanza militare, politica, economica e alla fine, anche culturale. Forse è venuta l’ora, per l’Europa, di liberarsi dell’ingombrante «amico americano». E l’Afghanistan potrebbe essere l’occasione buona. (p. 237)
«Il Gazzettino», 27 novembre 2009
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QUEL RIDICOLO TENTATIVO DI COMPRARE I TALEBANI
• […] sul «Corriere della Sera» Giovanni Sartori […] Scrive: «Un fanatismo religioso non è mai comprabile». (p. 239)
• […] I Talebani non sono comprabili. Ci sono infiniti esempi, il più clamoroso riguarda il Mullah Omar. Vinta la guerra nel 2001 gli americani si misero in caccia del Mullah su cui pendeva una taglia di 25 milioni di dollari. L’individuarono presso certe tribù pashtun e ne chiesero la consegna in cambio della taglia. Con quella cifra, da quelle parti, si compra tutto l’Afghanistan e anche un po’ di Pakistan. Ma i capitribù finsero di trattare, per un paio di giorni, per permettere a Omar di guadagnare tempo mentre fuggiva in motocicletta. (p. 239)
«Il Gazzettino», 5 febbraio 2010
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LA GUERRA AFGHANA VISTA CON GLI OCCHI DEI GIOVANI TALEBANI
• […] gli afghani non appartengono né alla sinistra né alla destra, […] e hanno il torto di non essere né cristiani, né ebrei e nemmeno arabi. (p. 241)
«Il Gazzettino», 26 febbraio 2010
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GUERRA IN AFGHANISTAN: UNA STRAGE TROPPO SPESSO IGNORATA
• La situazione è talmente compromessa che il presidente Karzai, la cui sopravvivenza dipende dalla presenza delle truppe Nato, ha dichiarato in una conferenza stampa: «Gli americani lavorano perché il conflitto continui per poter continuare a occupare il paese. Se va avanti così diventerò alleato dei Talebani». Un simile azzardo da parte di Karzai vuol dire una sola cosa: che i Talebani stan vincendo la partita, non sul piano militare, dove la sproporzione tecnologica è enorme, ma perché ormai è passata dalla loro parte pressoché l’intera popolazione afghana, anche quella parte che prima li detestava e li aveva combattuti. (p. 242)
«Il Gazzettino», 9 aprile 2010
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IO STO COL MULLAH
• [...] l’esperto di cose militari Andrea Margelletti (uno che ha avuto il fegato di dire che i civili morti sotto i bombardamenti americani nella prima guerra del Golfo erano «qualche decina», mentre sono stati 86.164 uomini, 39.612 donne e 32.195 bambini) […].(p. 243)
«il Fatto Quotidiano», 17 aprile 2010
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BARATTI IRANIANI
• […] Abdul Salam Zaeef, ex ambasciatore del governo talebano a Islamabad, […] All’inviato del «Corriere», Lorenzo Cremonesi, che gli chiedeva se i guerriglieri non fossero indotti alla trattativa perché nell’ultima offensiva di Petraeus avrebbero perso quasi 5000 uomini, Zaeef ha risposto: «[…] Se uccidono mio fratello devi morire pur di vendicarlo... […] Siamo fatti così. La guerra è parte della nostra cultura. Più ci ammazzano e più diventiamo coriacei. [...]» (p. 245)
«il Fatto Quotidiano», 23 ottobre 2010
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L’UOMO, LA MACCHINA E IL DENARO
• Abbiamo cercato di comprarli in tutti i modi, i Talebani, ma non ci siamo riusciti. Sulla testa del Mullah Omar, dopo la sua rocambolesca fuga in moto, pendeva una taglia di 25 milioni di dollari. [...] Ma non se n’è trovato uno solo che tradisse Omar. Quando Abdul Salam Zaeef, ex ambasciatore talebano in Pakistan, fu catturato e imprigionato, venne sottoposto al consueto trattamento tipo «Abu Ghraib», spogliato nudo dai militari americani, uomini e donne e deriso mentre un commilitone scattava fotografie […]. Racconta Zaeef (My life with the Taliban) che gli americani volevano da lui una cosa sola: delle indicazioni per trovare il Mullah, in cambio gli offrivano la libertà e molti soldi. Zaeef rispose: «Non c’è prezzo per la vita di un amico e di un compagno di battaglia». La Cia, toccando il fondo dell’ignominia e del ridicolo, non sapendo cos’altro fare per «conquistare i cuori e le menti degli afghani» è arrivata a offrire ai capi tribali, che hanno più mogli, il viagra. […] Non si può comprare chi non fa del denaro la propria priorità. Omar, quando era al potere, viveva in un ufficio amministrativo di sette stanze, zeppo di funzionari che lo aiutavano nel suo lavoro e le sue tre mogli e i cinque figli hanno continuato ad abitare nel poverissimo villaggio della sua giovinezza, Singesar, senza cambiare in alcun modo il loro modesto tenore di vita, né Singesar ha ricevuto alcun vantaggio […]. (pp. 245-246)
«il Fatto Quotidiano», 13 novembre 2010
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MA GLI ERRORI DELLA NATO RISCHIANO DI PROVOCARE UNA NUOVA GUERRA CIVILE
• […] gli americani, nei tentativi sempre più affannosi di trovare un accordo con i guerriglieri, si sono lasciati convincere che uno dei negoziatori fosse Akhtar Mansour, ministro dell’Aviazione all’epoca del governo del Mullah Omar, e per indurlo a un atteggiamento «morbido» gli hanno dato una paccata di dollari. «Una trattativa che conferma come i ribelli siano sotto pressione», aveva commentato trionfalmente il mitico generale Petraeus. Peccato che Mansour non fosse Mansour […] ma un negoziante di Quetta che presi i dollari si è fatto uccel di bosco. (p. 247)
• […] due dei «signori della guerra», Ismail Khan e Rashid Dostum, […]. Dostum, […] sarebbe anche disposto ad allearsi con i Talebani. Ma non può. Perché questi non gli perdonano il massacro nel 2001 di 600 prigionieri, uccisi e mutilati, di Mazar i-Sharif che Dostum commentò così: «Li abbiamo trattati in modo fraterno». (p. 248)
«Il Gazzettino», 26 novembre 2010
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LIBERATE KABUL, NON SAKINEH
• […] in Afghanistan il 40 per cento dei ricoverati in ospedale sono bambini al di sotto dei quattordici anni. (p. 249)
«il Fatto Quotidiano», 18 dicembre 2010
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LETTERE DAL FRONTE
• […] la lettera che Matteo Miotto, l’alpino ucciso in combattimento in Afghanistan, scrisse un paio di mesi fa dopo la morte di quattro suoi commilitoni. […] Scrive Matteo: «Questi popoli hanno saputo conservare le proprie radici, dopo che i migliori eserciti, le più grosse armate hanno marciato sulle loro case, invano. L’essenza del popolo afghano è viva, le loro tradizioni si ripetono immutate, possiamo ritenerle sbagliate, arcaiche, ma da migliaia di anni sono rimaste immutate. Gente che nasce, vive e muore per amore delle proprie radici, della propria terra e di essa si nutre. Allora capisci che questo strano popolo dalle usanze a volte anche stravaganti ha qualcosa da insegnare anche a noi». (p. 250)
«il Fatto Quotidiano», 8 gennaio 2011
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L’INIZIO DELLA FINE (Articolo riportato per intero)
Le rivolte popolari in Tunisia, Egitto, Libia, Algeria, Marocco, Bahrein segnano l’inizio della fine dell’Impero americano, e occidentale, in quelle regioni. Da quando hanno vinto la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti, nonostante tutte le loro belle parole di democrazia, hanno sostenuto i dittatori più infami, corrotti e sanguinari, purché gli facessero comodo, quando non hanno fomentato direttamente dei golpe militari. E questa realpolitik imperialista gli si è sempre ritorta contro o li ha messi in situazioni insostenibili.
Il sostegno al dittatore cubano Batista ha generato il castrismo. II golpe militare organizzato da Henry Kissinger contro Salvador Allende, colpevole di esser socialista e non prono agli interessi yankee, ha portato il Cile, sia pur col tempo, nella «linea Chàvez» di indipendenza di buona parte dell’America latina dall’ingombrante tutela di Washington. Il sostegno al patinato Scià di Persia che rappresentava sì e no il 2 per cento della popolazione iraniana, una borghesia ricchissima mentre il resto del paese moriva di fame, e che governava con la Savak, la più famigerata polizia segreta del Medio Oriente, il che è tutto dire, ha partorito il khomeinismo da cui ha origine la riscossa islamica. Il sostanziale sostegno ai «signori della guerra» somali ha aperto la strada alle Corti islamiche, molto simili ai Talebani afghani, che avevano riportato in quel paese, precipitato nel più pieno arbitrio, l’ordine e la legge, sia pur un duro ordine e una dura legge, la Sharia.
Il sostegno ai «signori della guerra afghani», Massud, Dostum, Ismail Khan, contro i Talebani che avevano portato sei anni di pace in Afghanistan dopo tanti di guerra, li ha messi in una situazione insostenibile, avendo i guerriglieri ripreso il controllo dell’80 per cento del paese, per cui oggi vanno in giro col piattino pietendo dal Mullah Omar una mediazione. Ma l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan ha svegliato i Talebani pakistani che all’inizio erano un movimento religioso, sia pur integralista, ma pacifico e per nulla eversivo, tanto è vero che sostenevano il governo di Benazir Bhutto, e che ora si sono armati, fanno guerriglia e puntano a conquistare il potere a Islamabad. Con la differenza che l’Afghanistan, armato com’è in modo antidiluviano, non costituisce pericolo per nessuno anche se al potere tornassero i Talebani, il Pakistan invece ha l’atomica. Per inseguire un pericolo immaginario gli americani ne hanno creato uno reale.
Negli ultimi decenni gli Usa hanno sostenuto il dittatore tunisino Ben Ali, testé fuggito con la cassa di fronte al furore del suo popolo, il dittatore egiziano Mubarak cacciato a pedate e ora agonizzante nella sua villa di Sharm el Sheik, hanno sostenuto, nel 1991, i generali tagliagole algerini quando nelle prime elezioni libere di quel paese il Fis (Fronte islamico di salvezza) ebbe la sventura di vincerle, col 78 per cento dei consensi, e allora quei generali in combutta con l’Occidente cancellarono le elezioni e col pretesto che il Fis avrebbe instaurato una dittatura ribadirono la legittimità di quella che c’era già.
Ora le rivolte nel Maghreb, in Egitto, nel Bahrein (dove c’è la solita base americana), in Libia (anche Gheddafi era diventato potabile da quando si era messo in affari con l’Occidente), cambiano tutti i termini della questione. È vero che gli americani sono già riusciti a mettere il cappello sulla rivoluzione popolare egiziana trasformandola in un golpe militare. Ma d’ora in poi gli sarà molto più difficile controllare le varie situazioni. Lo sbocco di queste rivolte, si dice, è imprevedibile. Non proprio. È molto probabile che questi popoli una volta liberatisi dei dittatori, finiscano, prima o poi, per rendersi indipendenti anche dal burattinaio che, per decenni, li ha manovrati a suo uso e consumo. (pp. 251-253)
«il Fatto Quotidiano», 26 febbraio 2011
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IL NEMICO IMMAGINARIO
• Il talebanismo non è nato in Afghanistan, ma in Pakistan a opera di Fazlur Rehman, leader di un partito fondamentalista, Jamat-e-Ulema Islam, che reclutava i suoi sostenitori fra gli studenti delle madrasse (talib vuol dire studente). Ma era un movimento pacifico. Diventerà armato in Afghanistan per combattere i «signori della guerra». (p. 253)
«il Fatto Quotidiano», 5 marzo 2011
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AFGHANISTAN: UNA PACE DI CARTA
• […] I leghisti spingono da tempo anche per il ritiro dei nostri soldati dall’Afghanistan, la cui presenza ci costa 800 milioni di euro l’anno […]. Tanti per noi, anche se non paragonabili ai 40 miliardi di dollari degli Stati Uniti […]. (p. 255)
• Durante il periodo talebano a Kabul vivevano un milione e 200.000 persone, oggi ce ne sono cinque milioni e mezzo. […] La disoccupazione era all’8 per cento, oggi è al 40 e in alcune regioni all’80. L’artigianato locale è stato distrutto (adesso i burqa li fanno i cinesi). Nell’Afghanistan governato dai Talebani non c’era corruzione, oggi è endemica […]. Ma la corruzione forse più devastante è quella della magistratura. Per avere una sentenza bisogna pagare, per averla favorevole bisogna strapagare. Tanto che gli afghani, anche quelli che non condividono la Sharia, preferiscono rivolgersi ai tribunali talebani perché in assenza di qualsiasi giustizia la loro è perlomeno una giustizia, sia pur spiccia. (p. 255)
«il Fatto Quotidiano», 23 aprile 2011
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ORA SI TRATTA CON IL MULLAH OMAR?
• […] dopo dieci anni di inutile guerra all’Afghanistan che ha causato 60.000 morti fra i civili, 35.000 fra i guerriglieri talebani e 2441 caduti fra i soldati della Coalizione. (p. 256)
• Omar e Osama erano ai ferri corti già nel 1998 dopo gli attentati alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania, attribuiti a Bin Laden, che provocarono 223 morti e 4000 feriti. Poco dopo 75 missili Cruise si abbatterono sulle montagne di Khost, dove gli americani ritenevano che si trovasse Bin Laden con i suoi campi di addestramento. Non centrarono il bersaglio, ma fecero un bel po’ di morti. I bombardamenti proseguirono per qualche mese. Bin Laden era quindi diventato un problema anche per il governo talebano. [...] E venne l’11 settembre. Mentre le folle di tutti i paesi del mondo arabo scendevano in piazza per manifestare la loro gioia, fra i tanti attestati di solidarietà e di cordoglio che arrivarono agli Stati Uniti ce n’era anche uno del governo talebano. Un comunicato ufficiale che diceva: «Bismillah ar-Rahaman ar-Rahim (nel nome di Allah, della grazia e della compassione). Noi condanniamo fortemente i fatti che sono avvenuti negli Stati Uniti al World Trade Center e al Pentagono. Condividiamo il dolore di tutti coloro che hanno perso i loro familiari e i loro cari in questi incidenti. Tutti i responsabili devono essere assicurati alla giustizia. Noi vogliamo che siano puniti e ci auguriamo che l’America sia paziente e prudente nelle sue azioni». E allora perché il Mullah Omar si rifiutò di estradare Bin Laden come volevano gli Stati Uniti? Perché Omar, […] chiedeva che ci fosse una seria inchiesta sugli attentati dell’11 settembre e delle prove che alle spalle ci fosse davvero Osama Bin Laden. Gli americani […] risposero arrogantemente: «Le prove le abbiamo date ai nostri alleati». A questa risposta il governo dei Talebani replicò […] che a quelle condizioni, senza un’inchiesta, senza prove non poteva consegnare una persona […] che era comunque un ospite del loro paese e sotto la loro tutela […]. Il Mullah Omar si è giocato un paese e la sua vita stessa non per difendere Bin Laden, […] ma per una questione di principio e di dignità. (pp. 256-257)
«il Fatto Quotidiano», 5 maggio 2011
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BIN LADEN, MESSINSCENA CHE PUÒ ESSERE UTILE ALLA PACE IN AFGHANISTAN
• Gli americani avrebbero potuto parare subito il colpo pubblicando una foto autentica di Bin Laden morto. Non lo hanno fatto e non lo faranno […]. Poi ci si è sbarazzati frettolosamente del cadavere buttandolo in mare e impedendo così ogni verifica. […] Io mi sento quindi autorizzato a non credere a una sola parola di quanto hanno raccontato gli americani. Penso che Bin Laden sia morto da molti anni ma che agli americani faccia comodo averlo fatto «morire» adesso. […] «Washington Post» […] Il quotidiano americano sostiene che la morte di Osama faciliterà l’«exit strategy» dall’Afghanistan […]. (p. 258)
«II Gazzettino», Il Conformista, 6 maggio 2011
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BUFALE SUL MULLAH OMAR
• Lunedì tutte le televisioni del mondo, dalla Cnn alla tv di Stato iraniana, alle nostre, hanno dato come notizia di testa la morte del Mullah Omar avvenuta in uno scontro coi servizi segreti pakistani. […] È esattamente la sesta volta che si dà il Mullah Omar per morto, catturato, arrestato, ucciso, accoppato, ferito, in fin di vita. Anche la notizia di lunedì era una bufala. […] I servizi pakistani sostenevano che stavano prendendo tempo per fare delle verifiche sul corpo del Mullah Omar per un’identificazione certa. Ora, Omar è alto un metro e novantotto, ha un’orbita vuota perché ha perso un occhio in battaglia e quattro profonde ferite sul corpo. Non dovrebbe essere poi così difficile identificarlo. […] Insomma è finito tutto nella solita bolla di sapone. (p. 260)
• […] il Mullah Omar è l’unico interlocutore possibile per quella «exit strategy» cui gli Stati Uniti pensano e lavorano da un paio di anni senza cavare un ragno dal buco proprio perché, finora, si sono rifiutati di trattare col capo dei Talebani […]. Ma anche il Mullah Omar, oggi, ha interesse a trattare. Si è ripreso il 75 per cento del territorio, ma più in là non può andare. Le grandi città, Kabul, Herat, Mazar i-Sharif, restano fuori dalla portata della guerriglia per l’enorme disparità degli armamenti. […] La situazione è quindi di stallo. […] Gli afghani hanno il tempo dalla loro, come sempre, gli Stati Uniti no, perché per quella «guerra che non si può vincere» spendono, in un momento di crisi economica, 40 miliardi di dollari l’anno e immobilizzano 130.000 soldati (più i 40.000 degli alleati) […]. (pp. 260-261)
«il Fatto Quotidiano», 25 maggio 2011.
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MA QUALE PACE
• Con Roberto Marchini i caduti italiani in Afghanistan sono saliti a 40. Cifra che impressiona ma che, in dieci anni di guerra, non è particolarmente rilevante. I danesi, con un contingente che è un quarto del nostro, ne hanno avuti altrettanti. Gli inglesi 364 su 9500 (stime ad aprile) cioè, proporzionalmente, il quintuplo degli italiani. (p. 261)
• Talebani […] ne sono morti più di 30.000. Poi ci sono circa 60.000 vittime civili afghane. (p. 261)
• Ma non so se fosse proprio un «bravo ragazzo» il tenente colonnello Cristiano Congiu, protagonista e poi vittima di un incidente avvenuto il 4 giugno nella valle del Panshir dove si era recato con un’amica americana. Su uno stretto sentiero passava un carretto trainato da un asinello e condotto da un ragazzo, Mohtuadin. Dietro seguivano a piedi quattro o cinque uomini, tutti disarmati, cosa rara in Afghanistan. Erano contadini che si recavano al lavoro. Il carretto ha urtato inavvertitamente la donna facendola ruzzolare a terra. Ne è nato un diverbio. Congiu ha estratto la pistola e ha sparato ferendo gravemente il ragazzo all’addome (gli verrà asportato un rene all’ospedale di Anabah). Gli altri sono fuggiti verso il loro villaggio, ma sono tornati poco dopo, armati, e hanno freddato il Congiu con un colpo alla testa. I nostri giornali hanno titolato: «Militare italiano ucciso da criminali comuni». (p. 262)
• […] Gli italiani sono odiati esattamente come tutti gli altri invasori, solo un gradino sotto gli americani che sono i più odiati di tutti. (p. 262)
• Sono dieci anni che la Nato è lì. Gli olandesi se ne sono andati nell’agosto del 2010, i canadesi, i francesi e i polacchi se la fileranno entro la fine del 2012. Gli stessi americani scanno trattando col Mullah Omar improvvisamente elevato al rango di «talebano buono». E noi restiamo lì, come allocchi, ad ammazzare e a farci ammazzare senza un vero perché. (pp. 262-263)
«il Fatto Quotidiano», 16 luglio 2011
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ITALIANI IN AFGHANISTAN GIÀ ODIATI COME «INVASORI». E ORA LA GRANA DELLE TORTURE
• Secondo un rapporto dell’Onu pubblicato il 10 ottobre, di cui nessuno dei nostri giornali o televisioni ha dato notizia, ci sono «prove schiaccianti» che «sospetti Talebani» detenuti nel carcere di Herat, costruito dagli italiani, vengano torturati. […] I metodi sono i soliti, quelli che ornai la «cultura superiore», quando può agire con le mani libere, ci ha abituato a conoscere: il detenuto viene appeso alla parete a testa in giù oppure legato e bendato, viene bastonato sulle piante dei piedi nudi con dei cavi elettrici e, poi costretto a camminare su una superficie ghiaiosa oppure ancora deprivato dal sonno e così via. Guantánamo e Abu Ghraib hanno fatto scuola. La responsabilità degli italiani non è, ovviamente, quella di aver costruito il carcere dove avvengono questi orrori, ma sta nel fatto che il distretto di Herat è sotto la nostra guida e che a noi spetta la supervisione delle carceri. Anche se le torture sono state compiute materialmente dagli agenti segreti afghani è molto improbabile, è anzi da escludere che i nostri comandi non sapessero […]. (p. 263).
• I Talebani non hanno mai torturato i loro prigionieri. Possono giustiziarli, se lo ritengono giusto, ma finché conservano lo status di prigionieri li trattano con rispetto e, se stranieri, addirittura, in un certo senso, come «ospiti» (vedi i casi di Torsello, di Mastrogiacomo o del soldato americano Bowe Berghdal catturato un paio di anni fa). (p. 264)
«II Gazzettino», Il Conformista, 14 ottobre 2011
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TRATTATIVA ALLO SCOPERTO TRA USA E MULLAH OMAR
• […] Mullah Omar, il capo indiscusso degli insorti, sul quale pende tuttora una taglia di 25 milioni di dollari ma che è anche l’unico che ha l’autorità per fermare la guerriglia. La storia delle trattative comincia nel 2008 quando in Arabia Saudita, sotto il patrocinio del re Abdullah, uomini di Omar si incontrarono con emissari del presidente fantoccio dell’Afghanistan, Hamid Karzai. In quell’occasione Omar fu durissimo: promise a Karzai solo un salvacondotto per lui e la sua cricca. Karzai sarebbe stato ben felice di filarsela negli Stati Uniti con la montagna di soldi rapinati al suo paese. Ma gli americani glielo impedirono e cercarono, con le elezioni farsa del 2009, di trovare un altro presidente, più presentabile, ma non lo trovarono. Ultimamente Omar si era fatto più morbido con Karzai e gli aveva proposto due opzioni. 1) Tu sei per gli americani il legittimo presidente dell’Afghanistan, democraticamente eletto. In questa tua veste pretendi che le truppe straniere lascino immediatamente il paese. 2) Unisciti a noi, alla guerriglia, riscatterai dieci anni di collaborazionismo con gli americani e poi potrai avere ancora un ruolo in Afghanistan. Karzai era lì lì per accettare («Se le truppe straniere continuano a comportarsi con questa arroganza finisce che mi alleo con i Talebani»). Questo ha convinto gli americani a rompere gli indugi e a trattare direttamente col Mullah Omar, tagliando fuori Karzai. […] La trattativa si presenta difficilissima. Gli americani vogliono comunque mantenere in Afghanistan basi aeree e un contingente di terra sia pur molto ridotto. Il Mullah Omar ha posto come condizione che alla fine delle trattative non un solo soldato straniero rimanga sul suolo afghano. (pp. 264-265)
«II Gazzettino», Il Conformista, 6 gennaio 2012
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LA CULTURA SUPERIORE (n.b. Articolo intero)
La cultura superiore. Piscia sui cadaveri dei nemici uccisi, piscia sui prigionieri, dopo averli denudati, derisi, fotografati, portati in giro in carriola per renderli più ridicoli, piscia sui loro simboli religiosi. Pisciano i soldati della cultura superiore, quasi spurgo simbolico del marciume del mondo cui appartengono, ma non sanno più combattere. Per questo il più potente, moderno, sofisticato, tecnologico, robotico esercito che abbia mai calcato la scena, dopo dieci anni di occupazione sta perdendo la partita in Afghanistan ed è costretto a pietire dal nemico una qualsiasi «exit strategy» che mascheri la vergognosa sconfitta. Che oltre, e primo, che militare è morale. I Talebani sono feroci e crudeli in battaglia, certo, ma non pisciano sui nemici uccisi, non pisciano sui prigionieri ma li trattano, finché conservano questo status, con rispetto e, se sono stranieri, come ospiti. Possono uccidere, e uccidono, ma non torturano. Hanno conservato il senso di sé e della propria e altrui dignità, valori prepolitici, prereligiosi, di cui la cultura superiore si è completamente svuotata. Hanno provato a corromperli in tutti i modi, i Talebani, ma non ci sono riusciti. Sulla testa del Mullah Omar, pende una taglia di 25 milioni di dollari, ma in dieci anni non si è trovato un solo afghano disposto a tradirlo per una cifra che è enorme in sé e quasi inconcepibile da quelle parti. Nella cultura superiore uomini ricchi e potenti si vendono per un soggiorno in albergo, per un affitto, per un viaggio in aereo, per una nota spese mentre le donne, libere donne non oppresse dalla necessità, si fan comprare per mille euro o poco più. La Cia è arrivata al ridicolo di offrire agli anziani capi tribali afghani il viagra. A questi livelli si è abbassata la cultura superiore. Gli occidentali son sempre pronti ad accusare i propri nemici di perpetrare stupri (nel caso dei Talebani cosa ridicola, esclusa proprio dalla loro sessuofobia) ma non fanno che proiettare, come si dice in psicoanalisi, la propria ombra. Se i Talebani sono sessuofobi, gli occidentali sono sessuomani, ma non per un eccesso di virilità, bensì per il suo contrario, per impotenza, per estenuazione e son costretti a volare a Phuket per trarre, violando bambine, dal loro membro floscio, oltre che piscio, una goccia di sperma. Gli occidentali, affogati nella grascia del benessere, non sono più abituati al combattimento in senso proprio. Il sudore e la ferocia del corpo a corpo gli fa orrore, la vista del sangue, se non è televisivo, li manda in deliquio. Se appena possono i loro soldati evitano il combattimento. Usano quasi esclusivamente i caccia e i bombardieri contro un nemico che non ha aerei né contraerea ed è quindi inerme. E se in qualche caso vengono coinvolti in uno scontro ravvicinato, e subiscono le pesanti perdite che quotidianamente, con tranquilla coscienza, infliggono agli altri, lo sentono come un affronto, una slealtà, una vigliaccata, qualcosa di cui sdegnarsi, un atto illegittimo e immorale. Per gli occidentali è morale invece che aerei-robot colpiscano e uccidano teleguidati a 10.000 chilometri di distanza da piloti che non corrono alcun rischio, nemmeno quello di infangarsi le scarpe. [...] Questa è la cultura superiore. lo ci piscio sopra.
«il Fatto Quotidiano», 14 gennaio 2012
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IL CONFINE TRA GUERRIGLIA E TERRORISMO
• […] la sentenza del giudice milanese Clementina Forleo che, pur avendo riconosciuto che un gruppo di islamici reclutava fondamentalisti da mandare a combattere in Iraq e condannandoli per questo, li ha però assolti dall’accusa di terrorismo. […] «Condannare come terrorismo ogni guerriglia violenta - afferma il giudice - significherebbe negare l’elementare diritto di resistenza all’occupazione dello straniero e quello dell’autodeterminazione dei popoli solennemente sancito a Helsinki nel 1975 da quasi tutti gli Stati del mondo. È guerriglia - dice la sentenza - quando l’attacco violento è indirizzato su obiettivi militari, è terrorismo quando colpisce indiscriminatamente militari e civili.» (p. 273)
«Il Gazzettino», 27 aprile 2005
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IL COMBATTENTE CHE NON COMBATTE…
• Ha detto Barack Obama: «Se potessi farei combattere solo i robot per risparmiare le vite dei nostri soldati». Ma è il combattente che non combatte a perdere ogni legittimità, ogni dignità e onore.
Marzo 2012