Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 02/06/2012, 2 giugno 2012
VELENI E ACCUSE INCROCIATIE SULL’ASSE MILANO-TRIESTE
Ma è proprio vero che tutto si svolge, oggi come ieri, sull’asse Mediobanca-Generali o nel 2012 la scena è calcata anche da altri, meno ovvi protagonisti? Prima dell’incontro fatale in Mediobanca, Giovanni Perissinotto aveva ricevuto da Lorenzo Pellicioli una lettera personale nella quale l’esponente della De Agostini gli prospettava il ritiro perché gli azionisti intendevano nominare un altro capo azienda, fatalmente esterno, che potesse costruire in Generali una nuova equity story, apprezzabile dai mercati finanziari. Ma Perissinotto scrive nella notte ai consiglieri per attribuire la regia della sua defenestrazione a Mediobanca, primo azionista della compagnia del Leone. A Mediobanca attribuisce l’«irrazionale sospetto» che le Generali supportino la Palladio di Roberto Meneguzzo, socio eccellente della compagnia, nella battaglia per Fonsai contro l’Unipol sostenuta da Mediobanca nonostante la cattiva salute della compagnia bolognese. Che cosa sta accadendo, al di là delle apparenze?
Perissinotto, diciamolo, esagera un pò il ruolo di piazzetta Cuccia. A dare fuoco alle polveri è stato Leonardo Del Vecchio, il signor Luxottica che ha messo su dal nulla un gruppo oggi valutato quanto le ultracentenarie e blasonate Generali: 12-13 miliardi. Del Vecchio non deve nulla a Mediobanca. Francesco Gaetano Caltagirone ha mezzi meno evidenti, ma assai robusti. Idem il gruppo De Agostini e la Fondazione Crt. Queste potenze economiche non sono tributarie di Mediobanca come invece lo sono state per decenni Fiat, Pirelli, Falck, Orlando e tanti altri. A quei vecchi gruppi industriali Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi davano metà consigli e metà denari. Con questi nuovi, padroni in casa loro, i banchieri epigoni, Alberto Nagel e Renato Pagliaro, si limitano, se richiesti, ai consigli.
Quando Del Vecchio rivela di aver convinto lui, con Pellicioli, il prudente Nagel al cambio della guardia, non racconta solo la piccola storia delle persone, ma illumina anche l’evoluzione del sistema finanziario italiano. In questo sistema Mediobanca non è più il sole attorno al quale ruotavano i pianeti privati, ma un corpo celeste che opera talvolta in competizione e tal’altra in alleanza con altri di diverso calibro come Unicredit, Intesa Sanpaolo, le stesse Generali, la Cassa depositi e prestiti, le merchant bank estere. L’immagine stereotipata della secretive bank che con modi machiavellici tiene in pugno l’Italia è vecchia e superata: il Testo unico bancario, che rimosse il monopolio di Mediobanca, risale al 1993; la scalata di Unicredit, Capitalia e Monte dei Paschi alle Generali, con la benevola neutralità di Intesa, fece capire già nel 2003 che Mediobanca poteva essere scalzata in ogni momento dalle sue posizioni a Trieste. Non a caso, negli ultimi anni si è formato un gruppo di investitori di peso analogo (Del Vecchio, Caltagirone, De Agostini, Fondazione Crt) con il quale Mediobanca deve fare i conti. Si racconta che Nagel non abbia espresso voto favorevole alla lista per le Generali allora capeggiata da Geronzi, e tuttavia quella lista passò. D’altra parte, nonostante le previsioni nere del Financial Times, ieri il Leone ha guadagnato in una Borsa al ribasso.
Il fronte del cambiamento ostenta sicurezza. Conta sulla disponibilità dell’altro amministratore delegato, Sergio Balbinot, e del direttore generale, Raffaele Agrusti, a rimanere al proprio posto anche con Mario Greco capo azienda. Diversamente da Perissinotto, che ha passato tutta la vita in Generali ed è arrivato al vertice sospinto da Mediobanca, Greco non appartiene alla scuderia di piazzetta Cuccia. Ha fatto la Ras ed è emigrato in Svizzera perché, all’indomani della fusione tra Intesa e Sanpaolo, si trovò in rotta con Corrado Passera: il banchiere, ora ministro dello Sviluppo economico, non credeva in Eurizon, il braccio secolare del San Paolo nelle assicurazioni e nella gestione del risparmio che Greco aveva costruito e voleva quotare in Borsa. Alla Zurigo ha avuto successo fuori dall’economia di relazione. Come Vittorio Colao in Vodafone o Diego Piacentini in Amazon. A Meneguzzo, che lo esortava a ripensarci prospettandogli le riserve di Passera, Del Vecchio ha risposto: «Passera presenti una lista all’assemblea delle Generali e, se avrà i voti, deciderà come vuole».
Ma in consiglio non mancheranno voci a sostegno del leader sotto attacco. Diego Della Valle, il signor Tod’s, criticherà l’urgenza con cui è stata convocata la riunione e si chiederà, alla Del Vecchio, se il principio della performance nel giudizio sui manager possa valere anche in Mediobanca, di cui lui è azionista insoddisfatto. Interessante sarà ascoltare Alessandro Pedersoli, legale di grande esperienza che rappresenta il mondo Cariplo e Intesa, dove Perissinotto gode di ampia stima.
Se Perissinotto venderà cara la pelle e i suoi critici faranno valere le proprie ragioni, si potrà forse sollevare il velo sia sui rapporti tra i soci e la compagnia sia sulla storia antica e recente del Leone: la sfortunata scalata alla Assurances Générales de France nel 1997, quando un Perissinotto ancor giovane collaborava con Antoine Bernheim e Gerardo Braggiotti; la conquista monopolistica dell’Ina; la strana acquisizione della Toro che se fosse stata fatta quando la Fiat vendeva sarebbe costata meno; la discussa Opa sulle quote di minoranza di Alleanza; il più recente acquisto della Banca del Gottardo e la formazione dei put nell’alleanza con la PPF di Petr Kellner.
Perissinotto accusa Mediobanca di sovrapporre i suoi interessi a quelli della compagnia. Oggi sarà l’occasione per chiarire se l’ammontare dei flussi verso Milano è quello modesto che Trieste ha sempre detto o se si è taciuto qualcosa. Ma soprattutto sarà l’occasione per circostanziare la clamorosa accusa che Perissinotto muove a Mediobanca: aver promosso la mozione di sfiducia perché lui non avrebbe esercitato la sua influenza su Meneguzzo e la Palladio per scoraggiarli dal proseguire, assieme alla Sator di Matteo Arpe, nella battaglia su Fonsai contro Unipol e Mediobanca. La materia è scottante. Si tratta di società quotate e concorrenti. E’ possibile che gli attaccanti si limitino a incalzare il management sulle iniziative da prendere per sottrarre clienti al concorrente in panne. Ma i veri lati del problema sono due: se esistano circostanze di fatto nelle quali esponenti di Mediobanca abbiano richiesto un tale intervento; quali rapporti tra Generali e Palladio darebbero a Perissinotto un’influenza che non viene negata. Si sa della quota di Generali nel fondo Vei Capital, cruciale nel sistema Palladio. Non è chiaro se Trieste abbia il diritto di veto su operazioni nel settore assicurativo; se Generali o una sua controllata abbiano mai detenuto gli strumenti finanziari di PFH1 Spa, società controllante di Palladio, collocati nel 2007 dalla Hong Kong Shangai Banking Corporation e dalla medesima ricomprati e consegnati alla Palladio nell’estate del 2011.
Massimo Mucchetti