Jenner Meletti, la Repubblica 2/6/2012, 2 giugno 2012
"Prima le fabbriche, poi le case così ricostruiremo l´Emilia ferita" – MIRANDOLA – Era un ragazzino, il sindaco Maino Benatti, quando il terremoto del 1976 sconvolse il Friuli
"Prima le fabbriche, poi le case così ricostruiremo l´Emilia ferita" – MIRANDOLA – Era un ragazzino, il sindaco Maino Benatti, quando il terremoto del 1976 sconvolse il Friuli. Ma l´altra sera, nella tendopoli, ha incontrato la Protezione civile di quella Regione che ha saputo ricostruirsi e rinascere dopo il sisma. I friulani – hanno portato tende e cucine perfettamente organizzate – hanno ricordato al sindaco la loro strategia. «Prima le fabbriche e le chiese, poi le case». Solo riaprendo i luoghi di lavoro poteva arrivare la ripresa economica, solo ricostruendo le chiese uomini e donne potevano ritrovare la loro identità, e quindi la forza di reagire. Adesso, davanti alla scuola media diventata il nuovo municipio, il sindaco sta studiando la ricostruzione della sua città. «Sono d´accordo con la scelta del Friuli. Con una piccola modifica. Io dico: prima le fabbriche e il lavoro, e solo dopo potremo pensare alle case, alle scuole, alle chiese, ai monumenti. Se le aziende restano chiuse, non ci sono gli stipendi e senza gli stipendi Mirandola non può tornare al benessere di cui godeva prima del terremoto. Prima riavviamo la macchina, poi possiamo decidere dove andare. E la nostra macchina è l´economia, con il biomedicale, con la metalmeccanica che costruisce pezzi di Ferrari». Non ci saranno tempi brevi. Prima di decidere come costruire in futuro bisogna capire cosa sia successo nel recente passato, con i capannoni caduti come foglie secche. Il procuratore capo di Modena, Vito Zincani, che ha aperto un´inchiesta sui crolli, dice che «per i morti ci saranno molti indagati». L´indagine è appena iniziata ma vuole dare risposte precise. Anche le squadre che debbono decidere quali siano i capannoni agibili e quali no (con ingegneri dei vigili del fuoco e altri tecnici specializzati) sono ai primi passi. «Per due giorni dopo il secondo terremoto – dice Manlio Benatti – non sono nemmeno uscite, perché altre scosse avrebbero potuto uccidere chi doveva rilevare i danni». «E molti ingegneri, architetti e geometri privati – dice Fernando Ferioli, primo cittadino di Finale Emilia – che dopo la prima scossa erano arrivati qua in tanti per fare le perizie, dopo il secondo terremoto non si sono fatti vedere. Hanno paura di assumersi responsabilità pesanti. Dopo il 20 maggio a Medolla una fabbrica era stata dichiarata agibile, e il 27 maggio in quella stessa azienda ci sono stati quattro morti». Adesso che chi ha fame può trovare un pasto caldo e i malati sono stati portati in ospedali lontani, si può cominciare a pensare alla città del futuro. «Speriamo – racconta il sindaco di Mirandola – di finire i sopralluoghi nelle aziende – oggi ci sono sette squadre al lavoro – entro due settimane». Ci sono cento imprese solo nel biomedicale, con quattromila addetti, e nell´intero polo produttivo della città dei Pico, con un giro d´affari di 3,6 miliardi, lavorano 15 mila persone. Già dopo la prima scossa, l´80 per cento delle imprese risultavano danneggiate. «Bisognerà mettere in sicurezza tutti i capannoni. Come zona sismica, eravamo al livello 3, il più soft. La batosta che ci è arrivata ci ha dato anche una lezione, spiegandoci che non è vero che siamo su una terra non pericolosa. Dovremo "legare" i capannoni, renderli davvero sicuri. E subito dopo, dovremo rimettere le persone nelle loro case. Dopo le fabbriche, controlleremo ogni abitazione. Le new town come all´Aquila? Non se ne parla. Al massimo troveremo un´area, piccola, dove chi non ha interesse a ricostruire un edificio non pregiato in centro, possa costruirsi lì la nuova abitazione». Assieme alle case delle donne e degli uomini, si studierà come riaprire le case degli scolari e dei ragazzi, le scuole. «Ci sono rimaste solo una materna, la Toti; un nido, la Civetta e questa scuola media Dante Alighieri, che però adesso è "occupata" da noi del municipio. La Provincia, padrona delle superiori, ha stanziato 5,5 milioni. Speriamo di aggiustare tutto entro settembre, altrimenti dovremo fare ricorso a prefabbricati». È cambiato, lo skyline di Mirandola, con i crolli di chiese e campanili. «Non metto certo chiese e monumenti all´ultimo posto ma, lo ripeto, senza la ripresa economica anche discutere di come ricostruire sarebbe inutile, perché mancherebbero i soldi. Chiese e palazzi sono la nostra identità e la nostra storia. Non potremmo vivere senza queste antiche pietre. Abbiamo perso il Duomo, la chiesa di San Francesco e quella del Gesù, che è il Pantheon dei Pico. Mi dicono che per fortuna le loro tombe sembrano intatte, rimaste appese a una parete nella chiesa oggi a cielo aperto». Nel Castello ci sono crepe preoccupanti. «Dentro c´è il museo civico – raccontano Caterina Dellacasa, assessore alla cultura e Gianpaolo Ziroldi, dirigente del Comune – con tele del Guercino e di Sante Peranda, pittore di corte dei Pico. Alcune sono state recuperate oggi da coraggiosissimi vigili del fuoco. Noi non vogliamo perdere nemmeno un pezzo della nostra identità. Magari metteremo un numero su ogni pietra caduta, per rimetterla al posto dove era stata messa cinquecento o mille anni fa. In zona rossa ci sono anche scuole che sono monumenti, come la scuola elementare Dante Alighieri che ha cento anni. Abbiamo poi il liceo classico Pico, grandi istituti tecnici da cui escono anche i nuovi operai del biomedicale. A Mirandola arrivano studenti anche dal mantovano. Non vogliamo perderli». Ci sono tesori spaccati anche fuori dalle città. A Quarantoli c´è una pieve che l´anno prossimo, se riuscirà a risorgere, compirà mille anni. Ha un fianco sventrato e un pezzo di facciata a terra. Dallo squarcio si vedono le tre navate in romanico perfetto. Un uomo arriva di corsa, come al capezzale di un amico ferito. «Lì sono stato battezzato – dice Angelo Parenti – e mi sono sposato. Non sono rottami, questi. Sono la nostra vita». Strade di campagna dove il frumento sta diventando biondo. «Se sono riusciti a recuperare gli affreschi di Giotto caduti ad Assisi – dice il sindaco di Concordia, Carlo Marchini – anche noi riusciremo a ricostruire la chiesa madre, dedicata alla Conversione di San Paolo, e anche il municipio, che è una villa del ‘600. Certo sarà dura. Il Comune è imploso dentro, non si distingue un piano dall´altro. Dovremo invece tirare giù la torretta della caserma dei carabinieri. Era la casa del Fascio, anni ´30. Rischia di finire sul corso principale». Racconta che i responsabili della Sovrintendenza ai monumenti sono rimasti «sconvolti», quando hanno fatto una prima ispezione nel centro chiuso. «Per fortuna il teatro del Popolo non sembra avere grossi problemi. Nella chiesa di Santa Caterina d´Egitto, invece, sono crollati il campanile e anche i cassettoni del soffitto, del ‘700». C´è ancora una preghiera alla Santa, sul muro della chiesa diroccata. «Rendici sereni nelle prove della vita e salvaci dalle insidie». C´è anche l´immagine di un «Crocefisso miracoloso» finito sotto le macerie. A pochi metri uno striscione annuncia una festa di paese, il Pork factor, si immagina a base di salsicce e braciole. Si dovrebbe tenere il 16 e 17 giugno, nel campo sportivo. Ma oggi il grande prato è pieno di tende, camper e roulotte. «L´immagine che più mi ha fatto male – dice il sindaco – è quella del nostro cimitero monumentale». È dentro al paese, ed è una rovina. Gli archi dell´ingresso sono crollati, come gran parte dei tetti che proteggono i loculi. Su un muro restano solo le lapidi di partigiani «trucidati qui dagli affiliati del nemico». Tombe di famiglia distrutte mostrano bare che dovranno essere portate in altri cimiteri. Non c´è pace nemmeno per i morti, in questo terremoto.