Giorgio Santilli, Il Sole 24 Ore 3/6/2012, 3 giugno 2012
«LA SFIDA È EUROPEA, ORA ENTRIAMO NEI BUS URBANI»
Non si rassegna affatto all’arrivo dei treni e degli autobus francesi e tedeschi nelle città italiane. E si prepara al contrattacco. «Parteciperemo alla gara per il trasporto urbano di Firenze. Nonostante i requisiti di fatturato molto alti richiesti dal bando, noi saremo alla gara per l’Ataf con l’obiettivo di vincerla». È noto che il modello di Mauro Moretti, da cinque anni amministratore delegato di Ferrovie italiane, non sia quello di una liberalizzazione del trasporto fatta solo sul suolo italiano. «La competizione – spiega – si fa sul mercato europeo e in questa chiave non ha alcun senso consentire ai nostri concorrenti francesi e tedeschi di entrare nel nostro mercato, mantenendo intatto il loro. Per il Paese questo significa perdere nel giro di dieci anni non solo le grandi imprese di servizi, ma anche le filiere industriali collegate, proprio come è successo alla "scuola inglese", con la politica di liberalizzazione interna, nel trasporto, nel gas, nell’acqua. Noi dobbiamo porci il problema degli effetti che queste politiche produrranno sul tessuto imprenditoriale del Paese. Il principio della liberalizzazione europea deve essere interpretato oggi come superamento dei mercati nazionali, è irrealistica qualunque altra interpretazione».
Moretti ha espresso più volte questa posizione «priva di ideologia, che riflette il bilancio di quanto accaduto negli ultimi venti anni». Ma la gara per gli autobus di Firenze, cui seguirà quella di Torino per la Gtt («parteciperemo anche lì»), dice qualcosa di nuovo e di più sul modello che ha in testa Moretti: gli autobus targati Fs nelle grandi città italiane prefigurano un operatore integrato ferro-gomma con una strategia di espansione nazionale ed europea. La costruzione di un "campione nazionale" – o se si preferisce di una «impresa leader nazionale» – che va in senso opposto a quello del ridimensionamento del monopolista sul segmento ferroviario, per effetto delle liberalizzazioni e della nuova stagione di gare varate dal Governo Monti.
Operazione non facile, quella che progetta Moretti: avrebbe bisogno di un «piano nazionale» o almeno del sostegno di una politica del trasporto in Italia che non si vede all’orizzonte. E qualche vagito di liberalizzazione non basta certo a sopperire questo vuoto.
Ingegner Moretti, di cosa ha bisogno il trasporto urbano?
Anzitutto, dico che sostenibilità di vita nelle grandi aree urbane vuol dire più treni. Pochi contesterebbero in Europa questo concetto elementare, credo. Eppure, noi stiamo andando esattamente in controtendenza, se facciamo eccezione per alcuni casi limitati, come Lombardia, Emilia Romagna e Toscana. Tutte le Regioni stanno tagliando i servizi e i fondi, chi il 5%, chi il 10%, chi oltre il 20%.
Tagli lineari che confermano l’assenza di politiche e di scelte da parte delle Regioni, alle prese con le ristrettezze di bilancio.
Le Regioni devono razionalizzare altre spese e decidere di fare una politica per il trasporto ferroviario. È vero, in genere i tagli ai servizi sono lineari. Ma ci sono anche esperimenti coraggiosi, come in Piemonte, dove la Regione ha iniziato a vedere quanto costa ogni passeggero e ha scelto di tagliare i servizi con domanda scarsa, concentrando le risorse su quelli con maggiore domanda. Una politica di concentrazione, che, a parità di risorse, favorisce i pendolari. Ovviamente questo ha scatenato proteste fortissime che sono la rappresentazione di quello che il Paese ha davanti: dovrebbe fare spending review ma ogni volta che tenta di adottare criteri seri e fondati per fare una spending review intelligente, ha una infinità di ostacoli che quasi mai si ha la forza di superare.
Voi qualche risultato l’avete ottenuto in fatto di spending review, con la riduzione di 30mila unità di personale.
Dal 2006 al 2011 abbiamo abbattuto tutti i costi operativi, a un ritmo del 7% l’anno. Un taglio di 1,8 miliardi che dimostra come una spending review severa e intelligente sia possibile oggi in Italia. Ad alcune condizioni: non tagliare ciò che crea valore per l’azienda e accompagnare questa operazione con iniezioni di tecnologia che aumentino la produttività e la qualità del prodotto. Abbiamo ridotto il personale e i costi, ma abbiamo espanso il fatturato e abbiamo portato la puntualità dei nostri treni Frecciarossa e Frecciargento al 96% e i nostri treni regionali al 91%. Siamo al livello e talvolta al di sopra della media europea.
Avete già subito qualche impatto sul vostro mercato dall’avvio del servizio di Ntv? E che cosa prevedete per il 2012?
Per ora non abbiamo un sensibile impatto sul nostro mercato, ma probabilmente arriverà quando la flotta di Ntv sarà più consistente. Nel budget 2012 abbiamo tenuto un atteggiamento prudenziale, interrompendo il trend di crescita, ma confermando nella sostanza i livelli di fatturato del 2011.
State risentendo della crisi economica?
Ne abbiamo risentito sul traffico internazionale di merci, soprattutto nell’import. Ora dobbiamo valutare le conseguenze del terremoto sull’export. Sul traffico passeggeri, cresce ancora il traffico di mercato, mentre una importante riduzione la registriamo sul servizio universale, per effetto dei tagli dei contributi pubblici.
Torniamo al trasporto locale. Il Governo ha deciso di tagliarvi sei anni di contratti blindati per aprire una nuova stagione di gare nel trasporto regionale. Che strategia adotterete?
I contratti non erano blindati, ma erano frutto di negoziazioni con le Regioni sulla base del catalogo. Certo è che un taglio di sei anni con 18 miliardi di portafoglio non è piacevole, specie in un momento in cui la competizione è europea contro Sncf e Db. Peraltro, appare in controtendenza rispetto all’Europa la politica di sussidi alla gomma: il contributo al treno è mediamente di 10,8 centesimi senza ammortamenti per passeggero-chilometro contro i 17,2 della gomma e gli oltre 20 che ricevono in Germania e Francia i nostri competitor. Aggiungiamo che i fondi per acquistare servizi sono scesi dai 1.800 milioni di due anni fa ai 1.600 dello scorso anno a 1.200 quest’anno. Si rischia di fare gare senza fondi sufficienti. Quella formula 6+6 serviva a garantire le condizioni per finanziare un investimento in materiale rotabile che ora non farà nessuno.
La prima gara sarà quella dell’Emilia Romagna. Come vi presenterete? Da soli? Alleati con una società regionale come avete fatto in Lombardia con Trenord? O pensate a una società del Nord, come vi suggerisce Trenord?
Una società per il Nord, espandendo Trenord, non ha senso, perché in questo mercato le scelte sono su scala regionale. Abbiamo già un consorzio con le ferrovie emiliane e credo che dove esistono esperienze regionali sia giusto farle crescere. Questo non risponde solo a un calcolo, ma anche a una strategia. Articoliamo le nostre risorse e facciamo germogliare nuove realtà imprenditoriali anche per coprire una carenza di imprese grandi. Trenord in fondo è la seconda impresa italiana e questa articolazione potrà aiutarci anche nel processo di internazionalizzazione.
Voi siete entrati nel mercato regionale tedesco con l’acquisizione di Arriva Deutschland, ora Netinera. Come sta andando?
Cresciamo, abbiamo una quota del 6% del mercato di ferrovia e bus. La conferma che la nostra strategia di internazionalizzazione è giusta. Vale per il trasporto regionale, per quello di lunga percorrenza e ovviamente per le merci, dove Tx Logistics ha rafforzato la presenza in Germania con una crescita del fatturato del 340% in cinque anni e ora sarà una delle leve per espandere ancora la nostra azione, soprattutto verso la Polonia. Avremo bisogno però di nuove alleanze.
Altre acquisizioni in vista?
Quando è possibile sì, ma anche semplicemente partnership, magari con un grande soggetto mondiale, non europeo.
Ci sono contatti in corso?
È prematuro parlarne.
C’è un progetto Moretti per la societarizzazione o per la quotazione in borsa di Fs o dell’Alta velocità?
Non c’è nessun progetto nel senso che il Governo non me l’ha chiesto e queste decisioni spettano all’azionista. Noi abbiamo fatto, però, tutto quello che è necessario e strumentale a un eventuale progetto di questo tipo. Per la struttura contabile ci siamo adeguati agli standard internazionale Ias, vincendo lo scorso anno anche l’oscar di bilancio. Per la governance, le articolazioni di business sono già proiettati in società. L’aspetto più critico, che induce a una valutazione sull’operazione, resta il debito pregresso. Quello che però era importante dimostrare è che anche un’azienda controllata dallo Stato può avere un’Ebitda del 22% e conti oggi migliori dei concorrenti francese e tedesco.
Quali sono gli aspetti critici da affrontare in questo anno che le resta di mandato?
Direi che il problema più serio che abbiamo resta il rafforzamento del capitale di Trenitalia. Se guardiamo ai risultati di bilancio, il percorso fatto è notevole. L’abbiamo presa in profondo rosso nel 2006 e ora ha 496 milioni di Ebit e 156 milioni di utile. La differenza è determinata dal peso del vecchio debito su cui c’è ancora molto da fare, nonostante un miglioramento del rapporto debito/equity. Nel 2006 avevamo un debito di 6 miliardi e un’equity di 900 milioni, oggi siamo a 5,8 miliardi e 1,8 miliardi. Il rapporto è passato da 6,4 a 3,2.
L’età elevata della flotta non è un’altra criticità? Soprattutto nell’Alta velocità, con la competizione crescente. Quando arriverà l’Etr 1000 o come si chiamerà il nuovo treno?
Quello è il nome dato dai tecnici, per ora, poi vedremo. Arriverà tra un anno esatto il prototipo, i primi treni in servizio nel settembre 2014. Per noi non è un problema perché il lavoro di revamping interno fatto ci copre fino al 2015-2016. Faccio notare che il beneficio del nuovo treno non sarà solo per l’Alta velocità, perché sposteremo i Frecciarossa attuali su nuove tratte non servite oggi, con una crescita generalizzata dell’offerta e della qualità del servizio. La nostra flotta, comunque, non ha un’età elevata: se guardiamo i concorrenti europei è tra le più giovani.
Che pensa dell’Autorità dei trasporti che il Governo avrebbe dovuto nominare il 31 maggio? Si dice in giro che ci sia stata una forte resistenza da parte vostra.
Assolutamente no. Sono favorevole all’Autorità e mi auguro che colmi un vuoto oggi esistente. Semmai sono preoccupato dei compiti eccessivamente gravosi che le sono stati affidati, contrariamente alle tradizioni anglosassoni. Perché il problema italiano è anche un problema di policy e non so se l’Autorità potrà svolgere quei compiti. Sarà in grado l’Autorità di colmare lo squilibrio di sovvenzioni che c’è oggi fra l’autotrasporto e il treno nel trasporto merci di lunga percorrenza? Nessun Paese in Europa incentiva la gomma sopra i 250 chilometri, un’altra follia dell’assenza di un "piano nazionale". Ricordando che lo scenario competitivo è europeo e non nazionale, l’Autorità non dovrebbe agire per depotenziare l’unica impresa nazionale di trasporti in grado di competere con gruppi 3-4 volte più grandi come Sncf e Db. Il rischio è non avere più strumenti nazionali per essere presenti in questa competizione.