Daniele Martini, il Fatto Quotidiano 3/6/2012, 3 giugno 2012
PIÙ VALGONO, MENO PAGANO: ESENTATI 50 MILA PALAZZI (RUSPOLI, TORLONIA...)
Che bello possedere un palazzo dove la Storia ha lasciato la sua impronta e ogni pietra parla del passato. Che pacchia, poi, poter concedere qualche ala della prestigiosa dimora ad alberghi a 5 stelle e boutique super-lusso e a fine mese passare all’incasso incamerando decine di migliaia di euro d’affitto e in qualche caso addirittura centinaia di migliaia. E che goduria, infine, fare marameo al fisco e pagare un obolo poco più che simbolico di tasse. Succede anche questo nel pittoresco paese chiamato Italia.
CAPITA che mentre la gente comune aspetta la campagna di primavera del fisco con la stessa trepidazione con cui nel Medioevo gli abitanti delle città aspettavano i Lanzichenecchi, ci siano privilegiati proprietari di palazzi da mille e una notte omaggiati con l’esenzione, di fatto, da qualsiasi gravame fiscale. Nelle vie intorno a piazza di Spagna a Roma, per esempio, sono più le dimore artistiche e di rilevanza storica di quelle normali. E basta una passeggiata per constatare che quasi tutte hanno affittato pezzi interi del pianterreno alle griffe della moda e del lusso.
Da palazzo Ruspoli che fu la dimora romana dell’imperatore Napoleone III e che ora in un’ala che dà su piazza San Lorenzo in Lucina ospita un lussuosissimo negozio di Louis Vuitton, a palazzo Torlonia in via Bocca di Leone in cui si affacciano Max Mara e Valentino. Da palazzo Bezzi Scala che fu casa di Guglielmo Marconi e che fino a poco tempo fa era sede di Zegna e ora si appresta a fare posto a Balenciaga, a palazzo Caffarelli dalle cui vetrine scintillano gli ori di Bulgari. Basta chiedere a chi sa per sentirsi dire che per quelle bomboniere del lusso gli esercenti pagano di affitto cifre da urlo. Cifre su cui i proprietari per anni non hanno sborsato, appunto, praticamente niente di tasse. Chiariamo subito: per una volta tanto non si tratta né di evasione né di elusione fiscale. A questi signori il privilegio è stato consegnato dalla legge su un piatto d’argento. Una norma risalente a 21 anni fa stabilisce che agli immobili di interesse storico e artistico viene applicata “la minore delle tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato”. In pratica le similregge dei centri storici di Roma, Firenze e Venezia pagano di tasse quanto l’ultima bicocca attigua.
A metà degli anni Duemila, a qualcuno sembrò che una roba del genere fosse troppo anche in un paese come l’Italia, dove i contribuenti onesti sono presi a schiaffi e quelli che non pagano trattati con i guanti bianchi, e la questione se le agevolazioni dovessero valere anche per gli immobili storici dai quali i proprietari ricavavano un reddito (e che reddito!) finì in Cassazione. Che però suggellò il privilegio dichiarando che le agevolazioni erano valide “tanto se si tratti di immobili concessi in locazione a uso abitativo quanto se si tratti di locazioni a uso diverso”.
I PROPRIETARI furono perfino esentati dall’obbligo di indicare nel 730 o in Unico “l’importo del canone di locazione”. Cioè furono invitati a comportarsi come se quelle centinaia di migliaia di euro all’anno (in alcuni casi milioni) incassati con gli affitti nemmeno esistessero.
È chiaro che, stando così le cose, lo Stato si è autocondannato a rinunciare a una mole ingente di gettito, centinaia di milioni di euro secondo le stime più attendibili, essendo circa 50 mila gli immobili vinco-lati. Nessuno, però, sa a quanto ammonti con esattezza il minor gettito, perché pur avendo concesso gli sgravi, lo Stato poi si è dimenticato di stilare un elenco delle dimore storiche per verificare chi avesse diritto alle esenzioni e chi no. La lista non ce l’ha l’Agenzia delle Entrate, che pure per legge deve valutare la veridicità delle dichiarazioni dei redditi e che non si capisce come possa svolgere il compito con le dimore storiche. Non ce l’ha il Demanio, che si limita a censire solo gli immobili usati dagli uffici statali e dalla Pubblica amministrazione. E neppure il ministero dei Beni culturali ha un database: lì dicono che le varie soprintendenze provinciali lo stanno preparando da quasi un decennio.
Forse un elenco parziale ce l’ha l’Associazione delle dimore storiche presieduta da Moroello Diaz Della Vittoria Pallavicini, ma si rifiuta di fornirlo sulla base di una difesa a oltranza della privacy degli iscritti. L’unico elenco ufficiale noto è quello messo in rete dalla Soprintendenza di Bolzano, comprendente appena una decina di immobili vincolati.
DICONO che dall’anno prossimo la fiera delle tasse forse dovrebbe finire e anche le dimore storiche dovranno pagare in base alla rendita catastale effettiva o sul reddito percepito (gli affitti), comunque ridotto del 35 per cento. Non saranno cancellati tutti i privilegi, però, perché quegli immobili continueranno a pagare l’Imu con uno sconto del 50 per cento.