Michele Anselmi, la Lettura (Corriere della Sera) 03/06/2012, 3 giugno 2012
IL PALAZZO DEL CINEMA - R
accontano che Gabriele Salvatores, sempre attratto dal metaforico Sud del mondo, abbia sospirato un giorno a un amico critico di cinema: «Beato te che vivi all’Esquilino, la Roma multietnica del futuro». Quello, sorridendo, rispose: «Se è così bello, perché non vieni anche tu qui?». E l’altro: «Francamente mi trovo meglio a via Margutta».
Si può capire il regista di Mediterraneo: vivere dalle parti di piazza Vittorio Emanuele II, per tutti a Roma solo piazza Vittorio, è più facile a dirsi che a farsi, nonostante una certa vulgata progressista affermatasi nell’ultimo decennio in merito al mondo variopinto, «parigino» e appunto multietnico, legato al quartiere umbertino costruito dopo il 1870. Piazza Vittorio è la più ampia della capitale: con i suoi 316 metri di lunghezza per 174 di larghezza, i palazzi eleganti e simmetrici disegnati dall’architetto Gaetano Koch, lo stesso della Banca d’Italia, alti fino a 25 metri, con soffitti affrescati e portici sorretti da 280 colonne.
Se Salvatores, pur sedotto dagli odori speziati dei ristoranti indiani e cinesi, da quell’aria un po’ da suk arabo, dai prezzi popolari dei magazzini Mas, ha preferito conservare la casa a un passo da piazza di Spagna, è altrettanto vero che in tanti, del suo ambiente, si sono invece trasferiti all’Esquilino. Con una predilezione speciale per lo straordinario palazzo, dotato di tre altane, che dà proprio sui giardini della piazza, lato via Principe Eugenio. Quasi un falansterio del cinema, anche se l’utopia comunarda di Charles Fourier c’entra poco o nulla.
In quel complesso abitano i registi Matteo Garrone, Anna Negri, Claudia Florio, Enzo Monteleone (con la compagna montatrice Cecilia Zanuso), i musicisti Mario Tronco, ex Avion Travel nonché animatore dell’Orchestra di piazza Vittorio, e Daniel Bacalov; da qualche mese Paolo Sorrentino, il quale, spostandosi di qualche centinaio di metri rispetto al cinema Royal, s’è aggiudicato forse l’appartamento più ambito: l’attico di 250 metri quadrati con altana centrale, dotato di alti finestroni, ampie terrazze e vista meravigliosa su Roma. A pochi metri, nello stabile attiguo, sempre disegnato da Koch, vive Marco Bechis; dietro, direzione teatro Ambra Jovinelli, gli attori Thomas Trabacchi, Carlotta Natoli, Ignazio Oliva, il teatrante Memé Perlini. Dalla parte opposta e speculare della piazza, variamente disseminati, abitano lo sceneggiatore e scrittore Francesco Piccolo, il regista Mario Martone, il critico Enrico Ghezzi, il responsabile cinema di Raitre Francesco Di Pace, la scrittrice Melissa Panarello, fino a poco tempo fa la regista Francesca Comencini; appena più giù, in via Emanuele Filiberto, la cineasta Antonietta De Lillo; più dietro, dalle parti di via Merulana, il regista Mimmo Calopresti e l’attore americano Willem Dafoe con la compagna Giada Colagrande.
Perché così in tanti? Un mix di fascinazione antropologica, prezzi accettabili (non più ora), metrature generose, soffitti soppalcabili, l’idea di distaccarsi dai quartieri «storici» abitati dalla gente di cinema, sia pure nelle diverse configurazioni ideologiche: Trastevere, Testaccio, Prati, Parioli…
D’altro canto, l’Esquilino è da sempre un luogo prediletto dal cinema, ancora prima che le ondate migratorie lo sfregiassero. A piazza Vittorio il disoccupato Lamberto Maggiorani di Ladri di biciclette va a cercare il prezioso velocipede che gli hanno rubato, con esiti disastrosi. E sono rari i film italiani girati a Roma che non si affaccino nella celebre piazza. Anzi parecchi sono ambientati proprio nel suddetto «palazzo dei registi». Da Estate romana dello stesso Garrone, con la buffa scena dell’enorme mappamondo di cartapesta da far scendere per le scale, a Riprendimi di Anna Negri, da Manuale d’amore 3 di Giovanni Veronesi a Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio di Isotta Toso, da Good morning, Aman di Claudio Noce a 20 sigarette di Aureliano Amadei e Luce dei miei occhi di Giuseppe Piccioni. Perfino Ettore Scola, nel suo Gente di Roma del 2003, trasportò nei giardini di piazza Vittorio, all’ombra del rudere romano detto «Trofei di Mario», una scena cruciale: col povero disoccupato che ogni mattina esce di casa fingendo di andare a lavorare, per non dirlo alla moglie, e invece passa le sue giornate sulla panchina.
Già, proprio i giardini di piazza Vittorio, sul finire dell’Ottocento gran vanto romano per la quantità di piante rare, il suggestivo laghetto e il gruppo marmoreo di Mario Rutelli, bisnonno di Francesco, sono oggi al centro di una battaglia ingaggiata pure da registi, attori e scrittori del quartiere. Il 12 maggio scorso un affollato sit-in, presenti Sorrentino, Monteleone, Oliva, Calopresti e altri vip del cinema, ha protestato contro il costoso progetto di ristrutturazione proposto dal sindaco Alemanno. Roba da due milioni di euro, decisamente troppi con l’aria che tira, tanto più considerando i tempi romani di realizzazione.
«Siamo i geni dello straordinario. Nel resto d’Europa le manutenzioni sono ordinarie, noi non ne siamo capaci. Tutto il giardino è in condizioni pietose. Invece di pensare a nuovi ingressi, una grande fontana, piste ciclabili e da jogging, perché il sindaco non fa un salto da queste parti?», scandisce Monteleone. «Questo è un giardino, non un campo sportivo, peraltro già ristrutturato in maniera devastante vent’anni fa. Certi piani faraonici sono una sciocchezza, meglio aggiustare il travertino sfondato, pulire per terra, coprire le pozze d’acqua che si formano ogni volta che piove» continua il regista di El Alamein. Dello stesso parere Sorrentino: «Mi pare stravagante spendere tanti soldi nei giardini mentre, tutt’attorno, ci sono aree degradate che avrebbero bisogno urgente di interventi».
In effetti il «Comitato Piazza Vittorio Partecipata» ha qualche ragione, e chissà che il sostegno dei cineasti, raramente disponibili a impegnarsi in battaglie di quartiere, non convinca l’amministrazione comunale a recedere. Peraltro lavori così lunghi e complessi sancirebbero la chiusura della tradizionale cine-rassegna estiva che si svolge proprio nei giardini. «L’unica cosa che dà vita alla piazza, altrimenti dopo le 8 di sera c’è il coprifuoco» rimarca Sorrentino. Insomma l’idea dei cineasti mobilitati è che i soldi disponibili siano da usare «per ripulire anche le zone esterne ai cancelli, bonificare i portici, restaurare la pavimentazione, ripristinare i marciapiedi, pulire i tombini, proteggere gli alberi e potenziare l’illuminazione».
Rivendicazioni concrete, mentre gli impegni di lavoro premono. Garrone è appena tornato da Cannes dove ha vinto il Grand Prix della giuria con Reality. Sorrentino sta preparando La grande bellezza, primo ciak ad agosto con Servillo, Verdone e Ferilli. Monteleone, dopo la fiction su Walter Chiari, non ha perso la speranza di girare I fantasmi di Portopalo. «Guardi, nel mio caso la moda non conta. Sono venuto ad abitare qui 15 anni fa perché la casa è bella, stava in alto, non costava moltissimo e il quartiere è ben collegato. Però confesso: mi piaceva ’sto casino poco romano e molto parigino. Purtroppo nella Roma devastata dall’incuria anche i cinesi diventano subito romani», confessa Monteleone. Ogni mattina, dal suo terrazzo sull’altana sinistra, saluta Sorrentino. Difficile, invece, che Nanni Moretti si avvicini, lui ama Monteverde vecchio. Però mai dire mai: sembrava che Ferzan Ozpetek non potesse mai allontanarsi dal prediletto gasometro a un passo dalla piramide Cestia, invece s’è comprato un atticone con vista Colosseo.
Michele Anselmi