Mariarosa Mancuso, la Lettura (Corriere della Sera) 03/06/2012, 3 giugno 2012
CURARSI CON I LIBRI
Non leggere tutti quei libri: rovinano gli occhi e fanno venire la gobba. Non andare troppo al cinema: sono storie e immagini che mettono in testa idee strane. I lettori e gli spettatori seriali con qualche annetto sulle spalle se lo sono sentiti ripetere spesso. Lo stesso effetto deleterio fu attribuito ai fumetti e poi alla tv, prima che i videogiochi fossero considerati l’origine di tutti i mali: perdita di tempo, attenzione a sprazzi, confusione tra realtà e fantasia.
Contrordine: libri e film, se dobbiamo dare retta alla nuova precettistica, sono un toccasana. Non nel senso dilettantesco che ognuno di noi ha sperimentato almeno una volta: sprofondarsi in un romanzo o nel buio della sala distrae dai pensieri cupi (basta evitare i film da festival, o uno di quei romanzi rompicapo che fanno di tutto per ostacolare il piacere). Nel senso che una dieta adeguata di titoli cura i malanni e raddrizza le storture dell’animo. Così sostengono gli esperti, che per la maggior parte si sono autonominati tali.
Già sapevamo, dal libro di Lou Marinoff uscito da Piemme, che Platone è meglio del Prozac (pazienza se poi Platone e compagnia sono ridotti a sagge zie prodighe di consigli). Gli ultimi arrivi sugli scaffali sono più perentori. Ça ne va pas?, a firma di Jean-Joseph Julaud, è il titolo di un volumetto che si propone come «Manuale di terapia poetica» (editore Cherche-midi). Pillole di carta e di celluloide è un libro appena uscito da Franco Angeli, a firma Ferdinando Galassi.
Nell’armadietto di pronto intervento si affiancano a Libroterapia di Miro Silvera, seguito da Cinema & videoterapia (Salani), che non trascura le virtù curative dello schermo casalingo. A Nancy Peske e Beverly West dobbiamo Cinematerapia e Cinematerapia 2 — c’è sempre bisogno di un richiamo, come per le vaccinazioni. Da Feltrinelli, sono accompagnati dall’impegnativa promessa: Un film dopo l’altro verso la felicità. Senza dimenticare il filone Cinema per manager, Letteratura per manager, o Shakespeare per il business (meglio delle settimane di sopravvivenza nella foresta per rafforzare lo spirito imprenditoriale).
Alcuni sono divertimenti letterari: consigli d’autore, tra l’ovvio e il bizzarro, mascherati da scorciatoie per il benessere. Altri cavalcano la fortunata serie Adelphi che propose Schopenhauer come maestro di vita (l’arte di essere felici, l’arte di ottenere ragione, l’arte di farsi rispettare, di conoscere se stessi, perfino di trattare le donne). Troviamo manuali aziendali alla ricerca spasmodica di un fiore all’occhiello culturale e compilation di titoli-medicina alternativi alla psicoterapia e agli psicofarmaci. Cinematerapia® (con il marchio registrato presso il ministero dell’Industria e delle attività produttive) si presenta come sito ufficiale della disciplina.
Una bella fetta della nostra esistenza viene così sottratta al piacere e relegata nel regno delle pratiche salutari. Triste risultato, e del tutto in contrasto con quel che leggiamo nei libri. Nei romanzi, la letteratura non salva la vita, bensì la rovina. Basta pensare al Don Chisciotte di Cervantes o a Madame Bovary di Gustave Flaubert, per non parlare degli effetti nefasti causati alla gioventù del tempo da I dolori del giovane Werther.
«Leggere è una passione esclusiva paragonabile al gioco e al terrorismo» ha scritto in Mutandine di chiffon Carlo Fruttero, che sicuramente aveva letto più libri di noi (e anche di chi compila certe liste da sanatorio). «Vizio impunito», sosteneva Valéry Larbaud: neanche lui credeva alla lettura che guarisce. Bibliofili e collezionisti sono ancora peggio: non esitano a tramare o a uccidere per procurarsi il prezioso volume dei loro sogni. Un bel catalogo, che va dai falsari per dispetto ai lettori bulimici, è in Bibliofollia di Alberto Castoldi (Bruno Mondadori).
«Se una ragazza è in odore di gran leggitrice di romanzi, storna da sé ogni possibilità di matrimonio», scrive Giuseppe Rovani nel suo romanzo Cento anni. Molto prima, nei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, un libro avidamente letto dalla regina di Lilliput alla luce di una candela provoca un incendio nel palazzo (il gigante Gulliver lo spegnerà con una copiosa pisciata).
Per contrappasso, le cineguaritrici Nancy Peske e Beverly West seguono l’agenda delle ragazze sull’orlo di una crisi di nervi: come liberarsi di un uomo insopportabile, come consolarsi dopo essere state scaricate, come superare le crisi adolescenziali, come sopravvivere a una famiglia disastrata. Perlopiù, viene adottata la tecnica del «chiodo scaccia chiodo»: ti racconto problemi più gravi dei tuoi, vedrai che il buonumore torna.
«Quando il medico fa ridere il malato, è già un buon segno» scriveva Molière nel Malato immaginario. Jean-Joseph Julaud adotta la frase per la sua terapia poetica, utile per l’anima e per il corpo. Si va dalle punture di insetti ai morsi dei serpenti, dall’impotenza alla cellulite, dall’insonnia alle malattie veneree, dalle allergie al daltonismo, dalla malinconia alle crisi di fegato, dalla tristezza alla balbuzie. Poeti consigliati: molto Paul Verlaine, un po’ di Stephane Mallarmé, Charles Baudelaire quanto basta. Solo di lingua francese, come se i principi attivi andassero perduti in traduzione.
«Libri e film per curare la propria mente» annuncia Ferdinando Galassi, che non proviene dalla letteratura o dal cinema ma dalla scienza psichiatrica. Per prima cosa mette in guardia dai libri e dai film che mettono in cattiva luce la professione. Poiché le serie tv son fuori dal suo orizzonte, dimentica la medaglia assegnata dall’Associazione psicoanalitica americana alla dottoressa Melfi, strizzacervelli di Tony Soprano, come «miglior terapeuta vista in una fiction». E il comportamento poco ortodosso del professionista ingaggiato da Dan Draper in Mad Men: ha in cura la moglie Betty, spiattella tutto al marito che paga il conto. E la seduttiva battuta di Michelle Pfeiffer, alias Catwoman, in Batman Returns: «Noi psicotici siamo da letto e da lettino».
Film e libri sono schedati da Galassi e dalla sua équipe di collaboratori in stile «bugiardino», il foglietto dentro la scatola delle medicine: indicazioni, proprietà, posologia, effetti collaterali perfino. Nei casi urgenti, basta scorrere la lista di disturbi e le relative cure. Scopriamo che le fobie si combattono sia con La coscienza di Zeno di Italo Svevo, sia con Il giorno in più di Fabio Volo, sia con Paulo Coelho, Veronika decide di morire.
Tra i film, ai fobici viene raccomandato Il discorso del re di Tom Hooper (più adatto ai balbuzienti). Lasciano perplessi i consigli anti-depressione: Umberto D. di Vittorio De Sica, Europa 51 di Roberto Rossellini, Repulsion di Roman Polanski: film che non hanno mai migliorato l’umore di nessuno (fanno eccezione i cinefili cronici o incurabili).
Siamo circondati. Urgono controveleni, rimedi casalinghi, strategie dispettose e guastatrici contro la medicalizzazione della lettura o del cinema (e siamo sicuri che prima o poi l’orribile sorte toccherà anche alle serie tv). I libri e il cinema già non fanno ingrassare, non alzano il colesterolo, non rovinano il fegato, non procurano allergie, non mandano in overdose. Lasciateci almeno l’idea che siano un piacere sfrenato, colpevole, anche un po’ perverso.
Mariarosa Mancuso