Marco Ascione, la Lettura (Corriere della Sera) 03/06/2012, 3 giugno 2012
L’AGENDA DIGITALE? COPIAMOLA DALL’ESTONIA
Il compiaciuto, totale sgretolamento di faldoni, uffici competenti, moduli H, B o C, solleciti, bolli, ricevute, code e rimandi a «superiori autorità» che avviluppano senza lasciare scampo. Ossia: la burocrazia che si sbriciola grazie all’innovazione che avanza. Ma è proprio così che funziona? In Italia, timidamente, due paroline — agenda e digitale — stanno aprendo una breccia. In Estonia, per dire, tutto cominciò nel 1991, con l’affrancamento dalla morente Unione Sovietica e la conquista di un posto in prima fila sull’Enterprise. Risultato: a Tallinn nei parcheggi si paga col telefonino, i seggi elettorali sono online, la dichiarazione dei redditi si compila via internet e sul web si pesca anche la ricetta del medico. Naturalmente quasi ovunque c’è copertura wi-fi. E le riunioni di governo si svolgono da anni senza alcun uso della carta. La chiave di accesso al mondo 2.0 è una carta di identità elettronica di cui quasi tutti i cittadini sono dotati. Più libertà e democrazia, forse, ma anche lo spettro di un Grande Fratello che ogni cosa controlla, ma che, pare, spaventa non troppo. Certo, l’«E-stoni@», che non a caso è anche la patria di Skype, è un piccolo Stato, favorito nel suo lancio nell’iperuranio tecnologico dagli storici rapporti con vicini nordici high-tech, come Finlandia e Scandinavia, nonché da un regime fiscale capace di attrarre capitali esteri.
Sono circa 200 gli italiani che hanno impiantato lì conti correnti e attività. Come il modenese Carlo Accorsi, imprenditore immobiliare, giunto a Tallinn per l’Erasmus nel 2002 e mai più tornato indietro: «C’è un dinamismo che mi ha sorpreso. Aprire un’azienda è semplicissimo. La rete si è rivelata determinante per lo sviluppo del Paese. E confermo quello che a noi può apparire incredibile: si vota online, l’ha fatto la mia compagna. In dieci minuti. L’Italia, purtroppo, è ancora molto lontana».
Altro vantaggio competitivo, per Tallin, è stata la possibilità di ripartire da zero. «Abbiamo avuto un’opportunità unica — spiega alla «Lettura» Siim Sikkut, consigliere per la politica tecnologica del governo estone —, quella di rifondare il nostro Stato dal nulla (dopo aver ottenuto l’indipendenza, ndr). Decidemmo allora di saltare tutti i vecchi modelli e di impostare ogni aspetto in chiave digitale». Un e-Stato che, pur senza aver scalato del tutto le graduatorie internazionali dell’innovazione, ha finito per rappresentare un caso di scuola. Per l’approccio ancor prima che per i risultati. «Anche perché le classifiche — risponde Sikkut — non tengono conto della misura in cui è utilizzata la carta di identità digitale e di che uso i cittadini fanno dei servizi pubblici online: il 94% della dichiarazione delle tasse, il 25% dei voti alle ultime politiche, il 66% di risposte al censimento». Una politica che negli ultimi anni ha impattato sul prodotto interno lordo per il 4-5%, «più della media europea sebbene siamo lontani dall’8-10% della Finlandia, leggermente in discesa per il calo di Nokia».
Tutto questo comporta, naturalmente, una notevole esposizione del privato. «Gli stranieri sono spesso preoccupati di questo aspetto — risponde Tiit Paananen, l’ingegnere a capo di Skype in Estonia —. Noi siamo convinti che il sistema sia in grado di proteggere i dati sensibili delle persone, anche perché queste informazioni possono essere usate solo se la legge lo consente. Per capirci, la polizia attraverso la targa della macchina verifica tutte le informazioni connesse all’auto, come l’assicurazione. Questo peraltro significa che si può essere perdonati se si gira senza documenti perché gli agenti, una volta che il conducente comunica nome e cognome, possono verificare online, attraverso la foto, se l’identità è autentica e quali sono i dati collegati. Sebbene, per legge, almeno la carta di identità bisogna averla con sé».
Questo è quello che accade in un Paese a banda larga. Piccolo e snello. Un conto è cablare Tallinn, un altro scendere da Bolzano a Lampedusa. Ma il caso della repubblica baltica, su cui a più riprese si è concentrata in questi mesi la stampa internazionale, aiuta a fissare le coordinate dell’universo digitale, che si ricompone a ritmi sempre più veloci. Gli stessi indicatori mutano. È noto: Estremo Oriente, Scandinavia e Stati Uniti (Obama ha appena lanciato una nuova offensiva: tasse e passaporto sugli smartphone) costituiscono la punta avanzata, con incursioni dei Paesi in via di sviluppo. Quanto sia ampia la distanza che separa questo gruppo dagli altri lo descrive una rielaborazione delle classifiche internazionali, appena ultimata dagli Osservatori del Politecnico di Milano. Nella Corea del Sud, per citare uno dei casi più avanzati, la maggior parte della popolazione è connessa già dal 2003, l’e-ticketing è ampiamente diffuso, l’e-commerce è a livelli superiori al 90%, i servizi pubblici sono online 24 ore su 24 e il Paese si è impegnato a fornire Internet ad alta velocità a tutte le scuole primarie e secondarie. O ancora: in Australia il balzo delle famiglie connesse a una rete a banda larga è stato impressionante, passando dal 28% del 2004 al 78% del 2008. E si punta al 90% entro il 2020, con «un investimento di 43 miliardi di dollari in otto anni».
Internet e Pil danzano insieme. Analisi di McKinsey su 13 Paesi: nel quinquennio 2004-2009 gli investimenti digitali hanno contribuito per il 33% alla crescita del prodotto interno lordo in Svezia, per il 24% in Germania, il 23% nel Regno Unito, fino al 12% dell’Italia. «Il messaggio è chiaro — commenta il professor Andrea Rangone, che ha coordinato lo studio del Politecnico di Milano — nei Paesi maturi, come l’Italia, lo sviluppo si può creare quasi solo con l’innovazione high-tech, digitale in particolare».
Un percorso impervio. Per velocità media delle connessioni a Internet l’Italia si colloca al ventiduesimo posto, umiliata, in questo, dalla Romania (prima in Europa). In Islanda il 97,8% dei cittadini può accedere alla Rete, e molti grandi Paesi figurano nelle prime venti posizioni con tassi di penetrazione nettamente superiori all’80%: giù in fondo, al 58esimo posto ci sono gli italiani con il 58,7%. A Roma il governo tecnico ha rialzato la palla della sfida digitale con una laboriosa cabina di regia (sei gruppi al lavoro, tre ministeri di riferimento). «I governi — suggeriscono dall’Estonia — possono fare molto per mettere a disposizione i servizi utili per lo sviluppo tecnologico. Non occorre necessariamente un piano ampio, basta andare avanti. Progetto dopo progetto».
Marco Ascione