Margherita de Bac, Corriere della Sera 4/6/2012, 4 giugno 2012
ROMA —
«Sarà un lavoro di cesello. Niente tagli lineari e automatici. Il principio è quello di salvaguardare la qualità dei servizi».
Conferma la sua strategia il ministro della Salute Renato Balduzzi: «La revisione della spesa verrà eseguita con ponderazione e ragionevolezza. Spending review non significa tagliare ma riqualificare. Non ci interessa portare a casa il risultato in fretta. Vogliamo intervenire con equilibrio. Il nostro sistema sanitario pubblico è un bene che ci viene invidiato e molti Paesi ci prendono a modello», chiarisce. I tecnici del ministero sono al lavoro. La sanità dovrà infatti dare un contributo sostanzioso al programma di risparmi previsti dal governo entro il 2012 per scongiurare l’aumento dell’Iva.
È vero che il supercommissario Enrico Bondi, incaricato dal governo di trovare risorse pari a circa 4 miliardi, ha calcolato per la sanità un sacrificio di circa 1 miliardo e 200 mila euro almeno?
«Finora non c’è stata nessuna indicazione precisa. Le ipotesi nascono dalla circostanza che la spesa generale rivedibile è stata fissata a 390-397 miliardi e di questa quasi un quarto riguarda la sanità. Certo faremo la nostra parte ma senza creare danni ai cittadini e rischiare di compromettere il loro diritto alla salute».
Lei ha dichiarato che finora sono stati censiti 7 miliardi di spesa della sanità indagabili, cioè da rivedere. Da dove arriveranno i risparmi?
«Sette miliardi sono l’ammontare della spesa per l’acquisto di beni, servizi e dispositivi medici finora censiti. La stiamo riconsiderando da parecchi mesi sulla base della manovra dello scorso anno che già prevedeva un intervento in questo settore. Non è facile trovare il prezzo medio di riferimento, cioè quello che dovrà essere applicato uniformemente in ogni Regione italiana, nell’ambito di una tipologia di prodotti così diversificata. Un esempio. Se in una Asl una siringa costa 5 volte di più rispetto a un’altra Asl non c’è scampo. Quello è uno spreco e va colpito».
Dunque niente sforbiciate alla cieca?
«Il lavoro è solo l’inizio e non è detto che i risparmi verranno tutti da qui anche se non c’è molto altro da tagliare. La spesa della sanità è assorbita per un terzo dal personale e in quel settore tutto ciò che potevamo fare è stato fatto, pensiamo soltanto al blocco del turnover. Certo non arriveremo a bloccare gli stipendi e licenziare, come in Grecia».
La farmaceutica è stata sempre utilizzata dai governi come bancomat, un settore da cui prelevare risorse. Sono previsti tagli anche qui?
«La farmaceutica è già oggetto di revisione dallo scorso luglio a prescindere dalla revisione straordinaria della spesa. Il comparto dei farmaci è già sotto la lente. I margini di risparmio non sono infiniti ma ci sono».
Diversi tribunali amministrativi e il Consiglio di Stato hanno bloccato provvedimenti di chiusura di piccoli ospedali da parte di Regioni in deficit. Che ne pensa, è una contraddizione rispetto alla necessità di recuperare il disavanzo?
«Non è automatico che un piccolo ospedale debba essere chiuso. Questo può succedere se attorno viene disegnata una adeguata rete di servizi territoriali. Quando è così diventa difficile che un organismo giurisdizionale riesca a intervenire e a bloccare dichiarandole illegittime le iniziative della Regione. Ogni azione pubblica deve essere portata avanti secondo criteri di ragionevolezza e imparzialità. Quando il taglio di posti letto è basato su un piano di riorganizzazione meditato è meno esposto a ricorsi e sollecitazioni giurisdizionali che vanno in senso opposto».
Ma i piccoli ospedali con meno di 120 posti letto non sono stati giudicati insicuri e costosi e dunque da chiudere e trasformare?
«Si tratta di una regola con eccezioni che dipendono dal contesto in cui si trovano e dallo stato economico della Regione. Non conta il numero dei posti letto ma cosa c’è prima e dopo l’ospedale che, se è circondato da una rete assistenziale sul territorio, dovrebbe servire solo per il ricovero di pazienti in fase acuta».
Dunque se manca una strategia d’insieme è inevitabile che gli atti delle Regioni vengano contestati?
«L’obiettivo non dovrebbe essere di ripianare i debiti e di uscire dalla gabbia dei cosiddetti piani di rientro, cioè gli accordi presi dalle Regioni con lo Stato per raggiungere il pareggio di bilancio. L’obiettivo è rendere virtuoso ed efficiente il sistema riorganizzandolo».
Invece la tentazione di alcune Regioni è tagliare senza ragionevolezza?
«Chi ha questa tentazione potrà anche uscire dai piani di rientro col rischio che debba rientrarci subito dopo. Servono operazioni strutturali, ad esempio avere il coraggio di ridurre un numero esagerato di reparti che nel raggio di pochi chilometri appartengono alla stessa disciplina. Oppure il coraggio di tagliare alcuni primariati. Eliminare i doppioni e la duplicazione di servizi inutili e costosi. Non è difficile scoprire quanti e dove sono».
Nel 2014 i ticket così come sono stati previsti dalla legge finanziaria dello scorso luglio diventeranno insostenibili per i cittadini. Lei ha lanciato l’ipotesi di una franchigia in base al reddito sulle prestazioni sanitarie. Va avanti lungo questa strada malgrado le critiche?
«Il sistema attuale è già insostenibile, opaco e non sempre equo. Le franchigie, accompagnate da altri strumenti di compartecipazione, introdurrebbero equità. Si pagherebbe in base alla disponibilità economica e al bisogno. Chi critica la proposta non mi sembra ne abbia lanciate di migliori. È una soluzione diversa da quelle classiche ma ancora da definire».
Margherita De Bac