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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Al Design Museum di Londra, fino al 9 luglio, è in corso una retrospettiva dei 20 anni del suo lavoro: Christian Louboutin, di cosa si tratta? «Di una mostra che traccia la storia del mio lavoro, curata da Donna Loveday

Al Design Museum di Londra, fino al 9 luglio, è in corso una retrospettiva dei 20 anni del suo lavoro: Christian Louboutin, di cosa si tratta? «Di una mostra che traccia la storia del mio lavoro, curata da Donna Loveday. In questa mostra non si vedono solo le scarpe ma anche il lavoro che c’è stato prima, la complessità artigianale alla base delle mie calzature. La curatrice ha dunque fatto ricostruire il mio atelier di Parigi con molti dettagli e tutte le tappe della fabbricazione. Ci sono anche delle fotografie con David Lynch scattate nel 2008 a Parigi». La sua è una vita dedicata alle scarpe. Come mai? «Per inseguire un’ossessione d’infanzia. Ho cominciato prestissimo senza pensare che diventasse un lavoro. Avevo 10-11 anni». Com’è nata la passione? «A quell’età andavo sempre a visitare un museo nel 12° Arrondissement: il museo delle colonie francesi, un edificio bellissimo. In questo museo c’era un grande poster con il disegno di una scarpa da donna barrato di rosso. Non capivo perché una scarpa fosse intanto così strana e poi anche sbarrata. Ho capito che tutto era sbarrato. Questo disegno mi è rimasto in mente, mi ha intrigato per molto tempo». E com’è diventato un mestiere? «Mi sono messo a ridisegnare la stessa scarpa raffigurata in quel poster cambiando continuamente i dettagli. Tutti mi davano delle scarpe, dei disegni di scarpe, e io dopo un po’ capii che poteva diventare un vero mestiere. Lo capii soprattutto quando, a 15 anni, mi regalarono un libro di Roger Vivier. Era il catalogo di una retrospettiva del suo lavoro. A quell’epoca adoravo le ballerine, e andavo continuamente a vedere il Music-hall con un mio amico». Le sue scarpe hanno la suola rossa. Com’è nato questo simbolo? «La maggior parte delle scarpe hanno origine da un disegno. Nel ’92 avevo creato una serie di scarpe ispirate alla pop-art: colori primari molto forti. Guardando bene il prototipo mi sono detto che la suola nera in quelle scarpe prendeva una parte troppo grande. A fianco a me c’era una ragazza che si laccava le unghie di rosso, ho preso il suo vasetto e non so per quale motivo ho dipinto la suola di quel colore. Così è nata la suola rossa». Ma lei disegna ancora tutte le sue scarpe? «Sì tutte, ogni collezione. Sono 400-500 disegni, 200 modelli per collezionee alla fine rimangono 120-150 modelli. Da vent’anni a questa parte». A suo giudizio, perché hanno tanto successo le sue scarpe? «Sono stato educato dalle donne, ero il più piccolo, avevo tre sorelle e una madre. Mio padre era sempre via. Vivevo come in un harem. Quindi conosco bene le donne. Il successo viene da un amore e da un grande rispetto per le donne per le loro qualità e per i loro desideri. Quando disegno, io sono contemporaneamente tre persone: lo stilista, l’amico delle donne e l’uomo. E’ un combattimento continuo. Lo stilista fa un disegno e non gli importa niente di come queste scarpe vengono portate o non portate, ma per fare una scarpa di successo bisogna mettersi nei panni delle donne». E dove le fa le sue scarpe? «Le disegno ovunque e sono fabbricate in Italia». Perché proprioi n Italia, se lei è francese? «Io sono francese, ma per le scarpe da donna la mano artigianale francese è troppo maschile. In Italia è più più preziosa, più delicata. Più femminile, insomma». Chi è stato il suo maestro? «Ho adorato monsieur Roger Vivier. Amo molto il lavoro degli anni ’40 e ’50 di Ferragamo e anche il lavoro di André Perugia degli anni ’30-’40». Lei che rapporto ha con la moda? «Non ho mai creato un vestito. Quando disegno scarpe non penso alla moda, e le donne me le immagino nude». Come sono cambiate le donne negli ultimi 20 anni e di conseguenza le calzature femminili? «Quando ho cominciato, la scarpa aveva un rapporto con le stagioni. Oggi non esiste più la scarpa stagionale: non esistono gli stivali d’inverno e i sandali d’estate, tutto si confonde. Io ho sempre amato i tacchi alti: il tacco alto di 20 anni fa oggi, però, è un tacco medio. I tacchi si sono alzati e sono importanti anche sul lavoro. Una donna mi ha confidato che compra le mie scarpe con il tacco molto alto perché la mettono all’altezza del suo capo, e così può guardarlo dritto negli occhi. Insomma, l’altezza non è soltanto la gamba più lunga: è chiaro questo concetto?». Dove hanno più successo le sue scarpe? «Vendo in ogni continente, dall’Australia all’Asia, dall’Africa all’Europa. Ma il mio primo mercato è senz’altro l’America. Ho 56 negozi sparsi nel mondo. In Asia, per esempio, ne ho 3 in Cina, 4 in Giappone, 2 a Hong Kong e Singapore... In Europa ne ho 3 a Parigi e Londra, poi ne ho uno a Madrid, uno a Berlino, e ne aprirò uno a Roma, Istanbul e Dubai».