Flavio Vanetti, Corriere della Sera 3/6/2012, 3 giugno 2012
Sandro Gamba, 80 anni... come? «Da ‘‘sopravvissuto’’ a una esistenza spericolata fin da bambino
Sandro Gamba, 80 anni... come? «Da ‘‘sopravvissuto’’ a una esistenza spericolata fin da bambino. Ho superato tutto: ora zoppico un po’, ma sono felice di come sono; la salute regge, il cervello funziona». Il «canestro» di otto decenni? «Quando ho sposato Stella. Mi ha sopportato e mi ha supportato. Avevamo una bimba, poi la piccola è morta e lei è rimasta da sola a casa. Ero sempre via, quando tornavo chiedevo dove fossero gli interruttori... Anche per questo mi sono imposto di smettere, come allenatore, ai 60 anni». Avrebbe potuto fare l’astronauta. «Vero. La Nasa chiese i dati biomedici degli atleti dei Giochi di Roma: fui invitato a un test di selezione, rientravo nei parametri. Rinunciai perché papà era morto e a casa c’era bisogno di qualcuno che guadagnasse. Ma soprattutto, amavo il basket». Però ha fatto l’astronauta tra i canestri. Com’è stato il viaggio? «Fantastico. Ho avuto un vantaggio: mi divertivo, avrei giocato sempre. Per due volte, nel ’52 e nel ’56, mancai i Giochi: nel primo caso perché ero riserva e a nessuno venne... il ‘‘cagotto’’, nel secondo perché l’Italia non mandò la squadra a Melbourne. Nel ’60 mi ruppi un ginocchio, ma pur di non perdere Roma mi allenavo di notte. Di giorno lavoravo come ispettore della Simmenthal. Il mio motto era ‘‘voglio diventare il migliore’’». Pur essendo una bandiera dell’Olimpia, non l’ha mai allenata da «capo». «Rubini mi avvisò che avrei preso presto il suo posto perché — disse — ‘‘il basket ora è pieno di tecnica e io non ci capisco un tubo’’. Ma nel ’72 vincemmo lo scudetto e nessuno mi parlò. Silenzio pure l’anno dopo, quando perdemmo: arrivò invece la telefonata di Varese e io me ne andai. Bogoncelli, il presidente, mi attaccò il telefono». Entrambi non ci sono più, ma facciamo finta che non sia così. Lei è su una torre e deve buttare giù o Bogoncelli o Rubini: chi sceglie? «Dalla torre non butterei nessuno. Ma per una cena prenderei Rubini. Un giorno mi chiesero: ‘‘Perché non sorride mai’’. Risposta: ‘‘Eh, non lo so; lo conosco solo da 40 anni...’’». A Varese i tifosi urlavano «m... Milano»: lo faceva anche Gamba? «Noooo! Allenavo e basta». Dia corpo al «Frankenstein» ideale del basket. «La testa di Ossola; il tiro di Bradley, o di Riva, o di Morse; il tronco di Meneghin; i piedi di McAdoo; il cuore di Stefanini o di Riminucci; le gambe di Yelverton: funambolico, ma tanti dimenticano che era un eccelso difensore». Meglio lei o il Nikolic del quale prese il posto a Varese? «Differenti. Aza era lo scienziato del basket; ma io portai in dote i primi studi profondi sul basket statunitense». A proposito: la prendevano in giro per le sue t-shirt made in Usa... «Invidia. Le avevo solo io». La bestia nera? «Cardaioli con la sua ‘‘zonetta’’. E i meccanismi perfetti dei canturini». La poesia nel basket è stata... «Individualmente, Bradley; come squadra, il Simm di un paio di stagioni: ma c’era la Ignis tra i piedi...». Vale più un trionfo sportivo o l’essere nella Hall of Fame? «Essere a Springfield è come aver vinto il Nobel». Da ex c.t.: la nazionale ha futuro? «Se i club spendono il 90% del budget per la prima squadra...». Siena batterà il record dei 5 scudetti di fila della Borletti? «Ho la sensazione di sì». Milano si è lamentata: vittima di poteri forti e degli arbitri. «Mi pare una polemica esagerata. Io non ne ho mai fatte sugli arbitri». Perché si è dedicato alla psicologia dello sport? «Perché a Roma vidi Bill Nieder che ripeteva a se stesso: ‘‘Sono il migliore, vinco io’’. Conquistò l’oro nel peso... La motivazione è tutto, nello sport». C’è un canestro mancato nei suoi 80 anni? «Aver rinunciato ad allenare la Cina ai Giochi 2008. Mi sarei arricchito. Ma quando ricevetti l’offerta avevo 71 anni. E a 60 avevo smesso come coach: sono stato coerente». Flavio Vanetti