Giorgio Pressburger, Corriere della Sera 3/6/2012, 3 giugno 2012
Il pensiero pratico sta costruendo un uomo di sola prassi: niente astrazione, niente sogni, niente immaginazione, niente intuizioni
Il pensiero pratico sta costruendo un uomo di sola prassi: niente astrazione, niente sogni, niente immaginazione, niente intuizioni. Anche la scienza meno utilitarista, la matematica, viene indirizzata, da decenni, centinaia di anni, verso attività mentali traducibili in atti, come l’economia. Si imparenta con essa fin dai tempi almeno del matematico e mercante fiorentino Fibonacci, cioè dal Trecento, ma forse anche da prima. Nel Novecento geniali matematici come von Neumann («l’uomo più intelligente che in quel momento vivesse sulla Terra», per Wigner) o Nash o Gödel hanno elaborato sistemi di pensiero e teorie per studiare l’economia, le strategie, i giochi, le guerre, i massacri. Ma d’altra parte, la matematica, i matematici s’interessano con altrettanto fervore di filosofia, teologia, logica, letteratura, cioè del pensiero astratto. L’uomo ha bisogno di andare fino in fondo nelle indagini sul senso della sua presenza nell’universo, o meglio, del «multiverso», dato che oggi si ipotizza l’esistenza di infiniti universi. Quindi, da un lato l’avidità senza fondo: senza limite, la distruzione (le teorie dei giochi possono portare anche a questo); uno dei possibili modelli per «Il dottor Stranamore», il celeberrimo film di Kubrick, era proprio von Neumann, insieme al suo connazionale ungherese Teller. Dall’altro lato la più alta, più astratta speculazione, fino a porsi il problema di Dio e della sua esistenza. Il grande matematico ceco, Kurt Gödel, si è occupato di tutto lo scibile, dall’informatica alla religione, alla biologia, la pittura, la letteratura. Ha fornito forse qualche utilità immediatamente pratica alla sua epoca? Forse sì, ma poche. La sua ossessiva applicazione a risolvere il problema della metafisica lo ha portato a vere e proprie idee fisse, manie di persecuzione e altre forme autolesive. È morto in una casa di cura, vittima di una forma di anoressia, di rifiuto del cibo. Le sue opere scientifiche, matematiche, e quelle semplicemente speculative (non di speculazione economica, ma proprio l’opposto!) sono un contributo insostituibile allo studio della mente dell’uomo. Allo stesso modo, nella storia del nostro Paese, non si può fare a meno delle scoperte matematiche di Fibonacci, di Galilei o di Peano. Il concetto dello zero che Fibonacci ha importato in Europa, anzi nella civiltà occidentale, dai Paesi arabi e dall’India, pare un puro esercizio mentale e niente altro. Non lo è, ma anche se fosse così, che male ci sarebbe? Le speculazioni di Platone sull’anima, quelle di Leibnitz sulle monadi, entità chiuse in sé stesse, come l’uomo, quelle di Husserl sulla fenomenologia non sono forse servite a nulla, sono da buttare alle ortiche, di fronte al concetto di spread o di Pil, del quale oggi abbiamo piena la testa? Oppure le maniacali ricerche del matematico Georg Ferdinand Cantor (1845-1918) circa la paternità dei testi teatrali di Shakespeare sono puri atti di follia? Cantor, in base a sue supposizioni, ha cercato per quarant’anni la dimostrazione del fatto che le opere, tutte le opere di Shakespeare, fossero creazione del filosofo e statista del Seicento, Francis Bacon. Una sua ricerca interessantissima è stata ristampata quest’anno nella tipografia di un orfanotrofio tedesco impegnato a ripubblicare edizioni ormai introvabili. Cantor era un matematico geniale. Ha inventato la teoria degli insiemi, che ha rivoluzionato il concetto di matematica. Ha inventato i numeri transfiniti, cioè l’insieme dei quali è più grande dell’insieme (infinito) di tutti i numeri. In un piccolo saggio pubblicato da lui stesso (Trentadue poesie funebri su Francis Bacon) egli si schiera con coloro che attribuiscono a Bacon le opere shakespeariane. Lo fa in base al ritrovamento casuale dell’edizione cinquecentesca di questo libro commemorativo. Anche Cantor ha finito in modo infelice la vita: soffriva di depressione e questo l’ha portato a più riprese in varie case di cura, in una delle quali poi è morto. Anche lui come Gödel si occupava di questioni religiose e di parapsicologia. Questi uomini avevano preso su di sé la responsabilità del destino del genere umano. Veniamo all’Italia. Odifreddi, matematico contemporaneo, non si accontenta della sua professione. È uscita di recente la ristampa tascabile di un suo libro scritto in forma di lettera a papa Ratzinger, Caro Papa ti scrivo, (Mondadori). Odifreddi però, è un puro ateo pur essendo stato seminarista diligente e impegnato nello studio che lo avrebbe dovuto portare al sacerdozio cattolico. Poi ha lasciato il seminario, e oggi è un convinto ateo. Ora è in uscita sempre da Mondadori il suo Diamo spazio al tempo. Anche qui, i massimi sistemi dell’universo vengono spiegati a noi, a tutti, in modo efficace e diretto. Tutte queste opere non sono puri saggi, lavori divulgativi e basta: sono in qualche modo libri di narrativa, c’è da seguirne le vicende e i personaggi, anche quando questi non sono altri che Dio stesso. Qualcosa di simile accade con i saggi di Freud che possono essere considerati racconti, ritratti tra i più appassionanti della borghesia europea d’inizio Novecento. La narrativa oggi, da molte case editrici, viene considerata come intrattenimento, spettacolo o spettacolino, o truculento gran guignol. C’è qualche volta l’ombra della matematica (La solitudine dei numeri primi di Giordano) ma è un’ombra pallida. In realtà sono esistiti matematici che hanno creato opere di d’intrattenimento, ma ad altissimo livello, come Lewis Carroll, autore di Alice nel Paese delle meraviglie. Carroll era professore di matematica a Oxford, ma ha scritto Alice per bambini e per adulti insieme. Conosco un drammaturgo — per discrezione non ne faccio il nome — che per costruire i suoi dialoghi segue schemi matematici atti a stabilire la frequenza di interventi dei vari personaggi, il numero delle parole di ciascuna battuta, persino il numero di sillabe dei vari tipi di intervento. E Musil, laureato in matematica e ingegneria, poneva al centro di un suo celebre romanzo (I tormenti del giovane Törless) la questione dei numeri immaginari, di come possano turbare la psiche di un allievo ufficiale. Ma, anche oggi, nonostante lo strapotere dell’economia, la cultura occidentale, per fortuna, non si limita alla sola prassi quotidiana; arriva spesso ad altezze impensabili, svincolandosi da questioni di pura utilità. Parecchi giovani intraprendono quel tipo di studi che non assicura loro alcun futuro lavoro, almeno all’apparenza, ma grande appagamento della mente. In realtà molti laureati di filosofia oggi vengono chiamati a dirigere aziende e industrie; perché è necessaria la forza dell’elaborazione: in poche parole, del pensiero astratto.