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 2012  giugno 03 Domenica calendario

PIERO OTTONE

Ci voleva la regina d’Inghilterra perché io tornassi a scrivere qualche riga per il Corriere, dopo essere passato (nel 1977) a Repubblica. Elisabetta II: una vecchia conoscenza, oserei dire. Ero a Londra nel 1953, quando diventò regina. Ed ero a Londra quando fu invitata in visita ufficiale all’ambasciata d’Italia: anch’io le fui presentato, ben vestito, con i colleghi degli altri giornali. Ebbene: è rimasto un ricordo impudico. Le cameriere dell’ambasciata erano stupite per la disinvoltura con cui Sua Maestà, finito il pranzo, si intratteneva con le dame di compagnia, quando si erano ritirate per qualche minuto, diciamo così, in intimità (le signore inglesi dicono: per incipriarsi il naso. È un eufemismo). Una cattiva regina, dunque? No: piuttosto una regina vera, una regina all’antica. Che non si concede alla stampa: come la Prima Elisabetta, regnante, beata lei, quando i giornali non esistevano. Le incombenze della popolarità, le battute, le frasi a effetto erano devolute al consorte: incontrai infatti Filippo, come i miei colleghi, più di una volta, ascoltai le sue amenità. E al comandante Colville, segretario particolare, era affidato il compito di affrontare, e di atterrire, i giovani signori che ronzavano intorno a Margaret, sorella un po’ frivola. La regina ha sempre fatto la regina: punto e basta. Ma lo ha fatto bene.
(corrispondente dal 1948 al 1962, con due intervalli)

RENZO CIANFANELLI
A Londra nell’estate del 1977, l’anno del Silver Jubilee, c’era un sole smagliante. La gente festeggiava Queen Lizzie con un misto molto britannico di orgoglio e di autoironia. Nelle Council Houses, le tristi case popolari (oggi privatizzate), imperversavano i «buntings», i trofei di bandierine di plastica made in Hong Kong. A Covent Garden, non ancora travolto dal turismo globale, la folla faceva incetta di reggiseni e perfino di rotoli di carta igienica con l’Union Jack. A Hyde Park, per tutta la notte, mezzo milione di britannici sempre meno vestiti ballavano e inneggiavano alla regina, incuranti dei sarcasmi dei «toffs» (gli snob) di Chelsea, e soprattutto di Hampstead, il quartiere dei progressisti a elevato livello di reddito.
Da allora, quando le «regine» erano due, Elisabetta II e Margaret Thatcher, che cosa è cambiato? Londra oggi è multietnica e globalizzata, come e anzi più di New York. Quella che gli inglesi chiamano Britain, senza più quel «Great» che suonerebbe ridicolo, ha perso l’impero. La sua economia è indebitata e tutt’altro che solida. Ma i britannici restano sempre una piccola, grande nazione, che soprattutto nei momenti difficili non si divide.
(corrispondente dal 1974 al 1986)

MINO VIGNOLO
Trevor, membro della upper class, mi parlava della sua anziana madre: «Ha sempre amato i cavalli e i cani più degli esseri umani, figli compresi. È un tratto comune delle classi alte inglesi. Sua Maestà è uguale a mia madre». Ero a Londra da pochi mesi e tale giudizio mi aveva colpito. L’osservazione degli eventi nel corso del tempo ha contribuito a metter a fuoco l’immagine. La regina Elisabetta ama cavalli e cani, ma ciò non significa indifferenza verso il genere umano. È una perfetta professionista, attenta a non mettere mai un piede in fallo, maestra di sangue freddo. Consapevole di non poter permettersi le scivolate della sorella Margaret, era restia a mostrare i sentimenti in pubblico. Ma sul finire del 1992, in un discorso alla Guildhall, la sua voce era scossa e l’espressione sconvolta quando rievocava l’«annus horribilis» al tramonto, anno segnato da separazioni e divorzi e dall’incendio del castello di Windsor. Che fosse soggetta come tutti gli esseri umani a simpatie e antipatie già era emerso prima di quel discorso. Voci di palazzo parlavano di una cordiale antipatia nei riguardi di Margaret Thatcher, la figlia del droghiere diventata onnipotente primo ministro. La regina si lamentava con i suoi collaboratori perché l’interlocutrice nei colloqui settimanali non la faceva mai parlare.
(corrispondente dal 1986 al 1995)

ALESSIO ALTICHIERI
A nche la regina si diverte, naturalmente. Buckingham Palace, marzo 2005: Elisabetta ospita Carlo Azeglio Ciampi alla cena di Stato, culmine della visita del presidente italiano nel Regno Unito. Occasione solenne, eppure amichevole. La corona esibisce i suoi tesori, tanto che la sala dei banchetti espone come trofei, appesi alle pareti, i giganteschi piatti «vermeil» che mostrano come, volendo, si potrebbe mangiare nell’oro. Ma Italia e Gran Bretagna sono nazioni amiche, si stimano a vicenda. Sia la sovrana che il presidente ricordano Mazzini esule a Londra, lei aggiunge Zeffirelli regista d’opere, lui Winston Churchill che auspicava gli Stati Uniti d’Europa. Menù leggero, aperto da una minestrina, ed è subito dopo cena, in piedi, a bere un liquorino. Ciampi è stanco, la visita è stata serrata, e le coppie, quella reale e quella presidenziale, si ritirano presto. Chi resta, ormai rilassato, fa capannello attorno al principe Carlo, senza Camilla, che racconta i suoi viaggi in Italia. Poi, d’improvviso, silenzio: Elisabetta è rientrata, a sorpresa, senza Ciampi. «L’abbiamo messo a letto», dice, con un sorriso che le brilla negli occhi. Fatto un rapido calcolo, capiamo che la regina, 1926, si sente una ragazza rispetto al presidente, 1920. E noi con lei sorridiamo, divertiti della sovrana impertinenza.
(corrispondente dal 1995 al 2005)

GUIDO SANTEVECCHI
S ul cartoncino bianco, al centro, la corona con le iniziali «E II R», che stanno per Elisabetta Seconda Regina. Sotto c’è scritto a inchiostro di china: «The Lord Chamberlain is commanded by Her Majesty to invite Mr... to a Garden Party at Buckingham Palace». Seguono una serie di raccomandazioni sul «dress code», l’abbigliamento: «morning coat» (il tight a coda di rondine) o «lounge suit» (un sobrio vestito scuro). E un consiglio: impermeabile leggero o ombrello, la tipica estate britannica comprende pioggia abbondante. Anche per quel pomeriggio del luglio 2011 il Lord Ciambellano centrò la previsione, ma nel giardino di Buckingham Palace gli ombrelli si chiusero tutti appena sul terrazzo comparve Elisabetta II, con il principe Filippo un passo indietro: nessuno voleva perdersi lo spettacolo della sovrana. Elisabetta è passata graziosamente a un paio di metri, concedendo l’illusione di aver notato tutti, compreso il corrispondente del Corriere; poi è stato il momento del tè, della limonata, dei sandwich e dei cioccolatini con coroncina di marzapane. Ora il cartoncino del party è incorniciato sulla mia scrivania a Milano, perché anche i repubblicani possono ammirare una Regina.
(corrispondente dal 2006 al 2009)

FABIO CAVALERA
P uò accadere di vedersela lì davanti, con un impermeabile chiaro, il foulard in testa e la immancabile borsetta in mano. Il passo lento ma sicuro, ancora in forma (sono 86 le primavere trascorse), come una nonna qualsiasi che va dai nipoti nel Norfolk. Indimenticabile. Il 17 dicembre 2009 «Ma’am», Sua Maestà, era alla stazione di King’s Cross, quella della partenza di Harry Potter, per salire coi comuni mortali sul treno verso Sandringham.
Certo, in prima classe. Ma con discrezione. La cosa più normale al mondo. Un gesto banale (poi ripetuto) che però racconta molto di questa Elisabetta, nuova versione austerity: discreta e sensibile agli umori della gente. Ed è ciò per cui la rispettano. Potrebbe viaggiare con il royal train extralusso. Ma non è tempo di sprechi. E allora la signora di Buckingham Palace compera il biglietto e viaggia così, alla pari dei suoi sudditi. Perché gli eccessi suonano male. Non c’è che dire: persino i Windsor hanno qualcosa da insegnare all’Italia delle 70 mila auto blu. Lei, Elisabetta, al massimo tira fuori cavalli e carrozze per le grandi feste: l’eccezione che è spettacolo.
(corrispondente dal 2009)