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 2012  giugno 03 Domenica calendario

L’enorme differenziale nei rendimenti fra titoli italiani e tedeschi è angoscia quotidiana. Si possono fare tutti i sacrifici di questo mondo, ma con un costo del denaro così elevato non si va da nessuna parte

L’enorme differenziale nei rendimenti fra titoli italiani e tedeschi è angoscia quotidiana. Si possono fare tutti i sacrifici di questo mondo, ma con un costo del denaro così elevato non si va da nessuna parte. Non è sostenibile un’Unione monetaria nella quale un’azienda meccanica della Brianza si finanzia pagando il denaro quattro volte più caro della propria concorrente tedesca. L’imprenditore italiano può innovare e fare salti mortali nella competitività, ma il tedesco prima o poi gli sottrarrà quote di mercato e finirà per rilevarne l’attività. Lo Stato può elevare il prelievo fiscale, ed è quello che purtroppo è accaduto, ma ciò che ha raccolto non finanzierà la crescita, il reddito, l’occupazione se servirà solo per pagare i debitori, oltre a nutrire una spesa pubblica inefficiente. Non ha più senso avere una moneta unica se, come è accaduto nell’ultimo mese, 200 miliardi di capitali sono affluiti in Germania (che ha un debito all’80 per cento del Pil, in valore assoluto superiore al nostro) dalla periferia dell’Unione. A tassi reali negativi! I Paesi deboli hanno le loro colpe, e non possono pretendere che i cittadini tedeschi garantiscano debiti che non hanno contratto, ma non si è visto nemmeno nella letteratura fantasy che un povero prestasse i soldi a un ricco e questo pretendesse pure di essere pagato. L’usura alla rovescia. Colpisce e sgomenta anche il senso di rassegnazione di gran parte della classe dirigente europea, soprattutto mediterranea. Come se la fine della moneta unica fosse ormai inevitabile. Una profezia che rischia di avverarsi. Il silenzio di coloro che hanno combattuto la battaglia europeista è in Italia assordante. L’euro è orfano dei suoi padri nonostante lo stato di salute sul mercato dei cambi sia tutt’altro che precario. Un paradosso. Il Governatore della Banca d’Italia, Visco, ha spiegato nella sua relazione che se l’Unione monetaria fosse uno Stato federale potrebbe esibire conti migliori degli Stati Uniti e nessuno avrebbe dubbi sulla solvibilità dei suoi membri e delle banche, al di là del livello dei debiti sovrani. L’euro non può morire: costerebbe troppo (mille miliardi? Forse l’impatto non è nemmeno misurabile). E anche la Germania pagherebbe un prezzo elevatissimo. Va difeso a tutti i livelli. Anche dall’accidia degli europeisti e dal fatalismo di tecnici, economisti e imprenditori che si vedono come apolidi della globalizzazione, estranei ai destini del Paese. Se non ci credono loro, perché dovrebbero crederci i cittadini che scontano sulla loro pelle gli effetti peggiori, tra prezzi alti e redditi in discesa? Uno scatto d’orgoglio e di responsabilità da parte delle leadership europee è urgente. E non solo dei governi. Gli strumenti di cui si parla in questi giorni sono indispensabili per arrestare la scommessa dei mercati sulla fine dell’euro, dalla garanzia europea sui depositi bancari, alla piena operatività dei fondi di salvataggio, ma nel breve l’Unione deve dimostrare di esistere come entità politica. Battere un colpo. Oggi è un fantasma a sovranità tedesca. Il ruolo dell’Italia, grazie al recupero di immagine e di centralità del governo Monti, è fondamentale. L’asse franco-tedesco è tutto da reinventare dopo l’avvento di Hollande. L’atteggiamento del presidente del Consiglio europeo Van Rompuy e del presidente della Commissione Barroso è meno timido nei confronti di Berlino. La preoccupata pressione di Obama spinge per soluzioni più credibili dei 25 modesti esiti dei vertici europei succedutisi da quando è scoppiata la crisi finanziaria, scatenata — è bene ricordarlo — dal disordine americano. Uno spazio negoziale esiste e non vede per la prima volta l’Italia ai margini. Decisioni forti potrebbero determinare un diverso atteggiamento della Banca centrale europea. Mario Draghi lo ripete (e lo aspetta) da mesi: se la politica chiarisse con atti concreti che la moneta unica non ha alternative, costi quel che costi, la Bce si sentirebbe autorizzata a intervenire riducendo spread che, come ha ricordato Visco, non riflettono più la reale salute delle economie europee. E la speculazione verrebbe di colpo frenata. In caso contrario, l’Unione potrebbe accorgersi già a metà giugno, quando i greci torneranno alle urne e i francesi voteranno per le Legislative, di aver perso quel consenso popolare faticosamente confermato dal referendum irlandese. Il moltiplicarsi di movimenti antieuropei, caratterizzati da estremismi di varia natura (xenofobi, razzisti e persino nazisti), è il prodotto più evidente dell’intossicazione politica di un’Europa prigioniera di se stessa, incapace di crescere. Ma non l’unico. La tentazione qualunquista e populista di far saltare i tavoli, e non solo in Italia, coltivando inutili scorciatoie elettorali, scioperi fiscali, stampando moneta o aprendo i rubinetti della spesa, con l’unico scopo di raccogliere un facile consenso, è ugualmente pericolosa. Ma se la leadership dell’Unione non reagirà presto, la responsabilità storica del degrado delle democrazie europee sarà esclusivamente sua. Colpa della rigidità di Berlino e dell’appeasement dei suoi alleati. P.s. Un report della Jp Morgan intitolato «The German Question» nota una terrificante similitudine tra gli spread attuali e quelli fra i redditi nazionali europei prima di tre guerre: 1870, 1914, 1939. Possiamo stare tranquilli solo pensando che lo studio è opera di un banca d’affari americana che non si è accorta che stava perdendo miliardi di dollari sui propri titoli e il cui amministratore, italian style, è ancora al suo posto. Ferruccio de Bortoli