Ernesto Galli della Loggia 2/6/2012, 2 giugno 2012
Dopo aver goduto per tanto tempo i vantaggi del «partito personale», da qualche mese i deputati e i senatori del Pdl ne stanno, invece, avvertendo pesantemente il prezzo
Dopo aver goduto per tanto tempo i vantaggi del «partito personale», da qualche mese i deputati e i senatori del Pdl ne stanno, invece, avvertendo pesantemente il prezzo. Ma attenzione: partito personale può voler dire cose assai diverse. Può significare il partito stretto intorno al suo capo, il quale per l’appunto con la sua persona riesce a rappresentarne simbolicamente i valori, lo stile e i programmi, costruendo intorno a sé, legati alla sua figura carismatica e da essa ispirata, un seguito di massa e insieme un gruppo dirigente, entrambi fedeli a tutta prova. Oppure può significare semplicemente un partito che esiste solo in virtù delle risorse pratiche e simboliche di un singolo individuo, il quale, grazie all’uso di tali risorse unicamente a lui imputabili, e da lui solo gestite, riesce a conquistare il consenso elettorale e l’appoggio di un gruppo più o meno ristretto intorno a lui. Caso in cui, però, più che di «partito personale» è giusto parlare di «partito padronale». Il Pdl è stato da sempre, per l’appunto, un partito del genere. E continua a esserlo nella sua crisi attuale: anzi, lo è tanto più da quando è stato costretto ad abbandonare il governo. In qualunque altro partito, infatti, pure il più carismatico immaginabile, dopo un insuccesso così clamoroso come quello che è occorso al governo Berlusconi, si sarebbe aperta comunque una discussione sui motivi, e naturalmente sulle responsabilità; su ciò che non si era capito e non si era fatto e sul perché; sugli errori o le insufficienze di questo e di quello. Magari arrivando perfino a discutere l’azione del leader. Nel Pdl invece niente. Sorprendentemente, nessuno o quasi, specie tra gli esponenti di qualche rilievo, sembra avere niente da dire. Nessuno sembra cercare o chiedere una spiegazione. Nessuno sembra porsi il problema di quanto è accaduto. Eppure di queste cose, in realtà, nel Pdl si parla e come. Ma se ne parla dietro le quinte, di nascosto dal pubblico. E cioè in modo che quanto si pensa e si dice finisce per non avere alcun significato politico. La ragione è chiara: tutti sanno che il partito è letteralmente cosa di Berlusconi, che solo da lui dipende la sua politica, e che solo lui, pertanto, ha vero e unico titolo a parlare. Chiunque si azzardasse a farlo al posto suo — specialmente se con un discorso critico circa il passato (quando a decidere, di nuovo, era sempre e soltanto Berlusconi) — lo farebbe a proprio rischio e pericolo. Rischio e pericolo che però ben pochi hanno intenzione di correre. Il silenzio attuale, insomma, è la riprova che i cosiddetti dirigenti del Pdl in realtà non hanno mai diretto nulla. In senso proprio essi non sono mai esistiti politicamente, non hanno mai avuto vera statura politica personale come conseguenza di una qualche forza o merito propri. In alcuni casi forza e merito ci sono pure stati, beninteso, ma il fatto è che nel Pdl non hanno mai contato nulla senza il favore del Supremo, senza l’assenso di Berlusconi. E così anche oggi come ieri è solo il gesto del Principe che conta. Dunque, acqua in bocca: in attesa che sia lui ad aprirla per primo. E dire che invece proprio l’odierna situazione di crisi rende, o dovrebbe rendere, in realtà più facile ai rappresentanti del Pdl di parlare, di dire quello che pensano. Dal momento che se finora il silenzio poteva essere giustificato con il fatto che «i voti ce li ha solo Berlusconi», ora, viceversa, proprio ciò appare sempre meno vero. Come si è visto alle amministrative, gli elettori sembrano aver capito, infatti, che è proprio Berlusconi a non aver funzionato come leader, è lui per primo che ha fallito, e gli stanno negando i propri voti in dosi massicce che promettono di esserlo sempre di più. Ma non solo. Ai deputati e ai senatori del Pdl dovrebbe apparire preziosa l’occasione odierna di poter parlare, di aprire una vera discussione critica, anche per provare ad acquistare finalmente quella statura politica che finora non sono mai riusciti ad avere. Un’occasione che tra l’altro potrebbe rivelarsi anche l’ultima. Invece ancora e sempre nulla. Sorprendentemente nel Pdl continua a non sentirsi alcuno dotato di qualche autorevolezza capace di parlare con la voce della verità. Ancora e sempre tutti aspettano, allineati e coperti, gli ordini di Berlusconi. E così tutti prendono sul serio, almeno all’apparenza, l’idea patetica che il problema sia quello del contenitore, quella di inventarsi un nome nuovo, o di mettere dei «giovani» al posto dei «vecchi»; tutti fingono di credere che sia ancora possibile, a tempo quasi scaduto, tirare fuori dal cappello il coniglio del presidenzialismo o l’idea pazza che l’Italia si metta a stampare euro in proprio. Tutti fingono volenterosamente che bastino espedienti simili per far tornare l’età dell’oro. La quale invece è finita per sempre, messa in fuga dagli errori di un anziano demiurgo che ormai ha smarrito i suoi poteri.