Sergio Romano, Corriere della Sera 2/6/2012, 2 giugno 2012
Nella risposta a un lettore lei ha affermato che Fidel Castro è un nazionalista più che un comunista; e fin qua mi pare che non ci siano dubbi
Nella risposta a un lettore lei ha affermato che Fidel Castro è un nazionalista più che un comunista; e fin qua mi pare che non ci siano dubbi. Penso che l’avvocato cubano abbia dedicato più la sua vita al suo Paese che alla dottrina politica. Magari ne avessimo anche da noi statisti così! Ma anche Josip Broz, meglio conosciuto con il nome di battaglia di Tito, potrebbe identificarsi come un Fidel Castro del passato, europeo diciamo, visto che ha saputo tener testa non solo a Hitler ma soprattutto a Stalin. Come si potrebbero identificare le due figure, non solamente per la differenza di latitudine, ma anche epocale? Berto Binelli bertobinelli@ libero.it Caro Binelli, Il confronto è interessante, ma le differenze sono forse più importanti delle analogie. Castro è anzitutto un giovane educato dai gesuiti e cresciuto in una buona famiglia della borghesia rurale cubana. Decide di battersi con un regime poliziesco e corrotto, vassallo delle grandi industrie americane. Ma sembra essere, almeno agli inizi, una sorta di liberale progressista e romantico, ansioso di fare per Cuba ciò che altri libertadores latino-americani avevano realizzato per i loro Paesi nel corso dell’Ottocento. I marxisti, se mai, sono il fratello Raul, Che Guevara, altri amici e collaboratori. Se le grandi aziende degli Stati Uniti e il loro governo avessero adottato un altro atteggiamento, Fidel, forse, avrebbe creato un regime diverso, autoritario ma non totalitario, più simile al Brasile di Getulio Vargas e al Venezuela di Hugo Chavez che alla Romania di Ceausescu. Ma dal momento in cui l’Unione Sovietica divenne il maggiore pilastro dell’indipendenza cubana contro il colosso del Nord, Castro si calò entusiasticamente nel ruolo del profeta rivoluzionario e divenne un istrionesco paladino del comunismo latino-americano. Nessun altro regime gli avrebbe regalato un palcoscenico altrettanto vasto dove avrebbe potuto pronunciare, senza il timore di essere interrotto, i suoi interminabili discorsi. Tito è un personaggio molto più complesso e interessante. Fu soldato dell’esercito austro-ungarico durante la Grande guerra e combatté con i rossi durante la guerra civile. Maturò politicamente, dopo il ritorno in patria, in un ambiente mitteleuropeo molto più colto e informato di quello latino-americano. La sua guerra di liberazione non fu una serie di piccole operazioni di guerriglia condotte contro un esercito privo di qualsiasi coesione morale e ideale. Fu un conflitto di considerevoli proporzioni, combattuto contro due eserciti europei, durante il quale Tito poté contare su uomini di buon livello intellettuale e considerevoli capacità organizzative. Anche Tito, come Castro, fu un leader nazionale e ne dette una prova quando cercò di sfruttare la sua vittoria nella Seconda guerra mondiale per estendere l’influenza della Jugoslavia all’intera penisola balcanica. Anche Tito, come Castro, sfidò la collera di una grande potenza e difese l’indipendenza del proprio Paese dalle interferenze dell’Unione Sovietica. A differenza di Castro, tuttavia, Tito costrinse il suo grande avversario, dopo la morte di Stalin, alla riconciliazione con Belgrado. E uscì dallo scontro con l’Urss doppiamente vincitore. Pur riconoscendo i meriti e le qualità di Tito, gli storici constateranno che la sua Jugoslavia fu una creazione fragile e si sfaldò pochi anni dopo la sua morte. Ma il confronto con Castro, in questo caso, è prematuro. Potremo farlo soltanto quando avremo assistito alla fine del regime castrista a Cuba.