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 2012  giugno 02 Sabato calendario

ROMA —

Uno chiede lo scontrino al bar, la ricevuta al ristorante. Magari si fa dare pure la fattura dall’idraulico, sprezzante del pericolo e anche dell’aumento. Ma non è che poi il suo contributo all’evasione fiscale lo dà ogni mattina, mentre gira lo zucchero nel bicchierino di plastica e si concede due pettegolezzi con i colleghi in corridoio? Caffè, cracker, biscottini, per i più fortunati lo yogurt che almeno non ingrassi o addirittura la frutta. Quello delle macchinette automatiche è un settore che rema controcorrente nel fiume difficile della crisi. Tra uffici, scuole, ospedali, stazioni e altre location, i distributori self service hanno superato in Italia i 2 milioni e mezzo, uno ogni 25 abitanti. Nell’ultimo anno il giro d’affari è salito a 2,6 miliardi, lo stesso di Facebook per farsi un’idea. E guardando al 2010 si registra un’invidiabile +2,2 per cento. Forse è proprio la crisi ad aiutare, perché i prezzi delle macchinette sono più bassi rispetto a una colazione al bar. Resta un’ombra, però.
Il vending, i tecnici lo chiamano così, è uno dei pochi settori del commercio dove non c’è l’obbligo dello scontrino. Non l’unico, certo, pensate alle edicole. Ma in un momento in cui il Fisco cerca persino i centesimi per far quadrare i conti, ecco che si torna a parlare di loro, delle macchinette, di quei 2 miliardi e passa pagati senza scontrino. Insomma, del rischio evasione in pausa caffè. La questione l’ha sollevata Oreste Saccone, a lungo direttore centrale aggiunto all’Agenzia delle Entrate e adesso componente del comitato direttivo di Lef, l’Associazione per la legalità e l’equità fiscale. «Io non voglio accusare nessuno — spiega — ma mentre i commercianti tradizionali chiudono il percorso con lo scontrino, per questo settore manca un elemento per incrociare i dati a valle. Nell’ultima parte della catena, insomma, c’è un vuoto di controllo». Quando nel 1997 fu introdotto l’obbligo dello scontrino o della ricevuta, le macchinette vennero lasciate fuori dalla legge perché il settore era ancora marginale. Dieci anni dopo il governo Prodi pensò di mettere sotto controllo anche loro, con una specie di scatola nera che registrava a distanza il numero dei prodotti venduti, sul modello dei nuovi videopoker. La norma venne inserita nella Finanziaria approvata alla fine del 2007, l’obbligo sarebbe dovuto scattare dall’inizio del 2009. Ma venne subito cancellata dal governo Berlusconi e non è mai stata operativa. Adesso è proprio Saccone a proporla di nuovo, tra le proteste dei diretti interessati.
«A me sembra una battaglia più ideologica che basata su motivazioni concrete» dice Lucio Pinetti, presidente di Confida, l’associazione italiana dei distributori automatici. E spiega: «Non essere obbligati a emettere lo scontrino fiscale non vuol dire essere evasori fiscali. Ogni azienda ha una precisa contabilità delle forniture e dei prodotti che vende con le sue macchinette. Bastano le verifiche documentali per accertare che sia tutto a posto. Nelle nostre aziende le ispezioni arrivano e non mi sembra che finora ci siano stati casi di evasione». Ma se non c’è nulla da nascondere perché non provare quelle scatole nere? «Dal punto di vista tecnico — dice Pinetti — il sistema sarebbe difficile da applicare. Servirebbe una linea telefonica, fissa o cellulare. Ma a differenza dei videopoker, istallati quasi tutti nei bar, i nostri distributori sono in zone dove non sempre c’è copertura. Pensate alla fabbrica nel paesino di montagna: e allora che facciamo, alcuni sono controllati e altri no?».
Le imprese sono tante, più di mille, anche se in cinque controllano la metà del mercato. «Ma tutte hanno una funzione sociale — dice ancora Pinetti — perché la distribuzione automatica nasce per portare la pausa caffè nelle fabbriche. Guardi che la crisi ha colpito anche noi, i margini di guadagno si sono ridotti quasi a zero. E c’è il rischio che nel 2012 molte aziende siano costrette ad alzare i prezzi». Con la possibilità che la pausa caffè, se possibile assieme allo scontrino, si trasferisca di nuovo fuori, nel bar all’angolo.
Lorenzo Salvia