Umberto Broccoli, Sette 1/6/2012, 1 giugno 2012
Ciao, Ciao Ancora un’estate, quella del 1965. In quell’anno, a febbraio si assegna l’Oscar della moneta alla lira per la ripresa spettacolare da una delle tante crisi economiche della seconda metà del secolo scorso: incredibile ma vero
Ciao, Ciao Ancora un’estate, quella del 1965. In quell’anno, a febbraio si assegna l’Oscar della moneta alla lira per la ripresa spettacolare da una delle tante crisi economiche della seconda metà del secolo scorso: incredibile ma vero. Anni vissuti pensando al domani, nel nome del progresso. Cinque anni di boom economico e di stupore, in Italia e all’estero. In genere le famiglie dispongono del necessario, molte persino del superfluo. Entro il 1965 scopriamo che oltre la metà delle famiglie ha un frigorifero, il 49% un televisore, il 23% una lavatrice. Poco più di cinque milioni di auto in circolazione e il territorio è coperto di cantieri: prima casa in città, seconda casa al mare. Sembrava semplice potersi permettere la villeggiatura, perché il boom impazzava. Telefono in casa, doppio televisore, doppia auto, doppia casa, doppio brodo e (spesso) doppia vita. La moglie si spediva al mare con i bambini e il marito toglieva la fede dal dito e tornava scapolo per la villeggiatura. Anni ingenui anche nella trasgressione. Si cercava, si voleva e – quando si raggiungeva – era fondata sulla verità nascosta anche se, di fatto, era una verità palese. Si sapeva e si tollerava. Quel momento storico era rigorosamente fondato sul “si fa, ma non si dice”, con la complicità delle stesse vittime. Le mogli facevano finta di niente: talvolta si lasciavano persino corteggiare, ma nemmeno poi tanto. In quell’Italietta del benessere, la trasgressione maschile rientrava negli schemi. Quella femminile poteva essere punita anche ai sensi del codice penale: l’adulterio era un reato, tanto più grave se l’adultera era lei. Addio vecchia Italia, del dopo dopoguerra: è sbocciato il benessere. E con il benessere, la spensieratezza, la voglia di divertirsi, di vivere storie delle vacanze quando si arriva al mare sperando di incontrare (dopo un anno) la passione lasciata sulla spiaggia un anno prima. Amore come L’alfabeto Morse. Questo era il pensiero espresso con chiarezza da Petula Clark, trionfatrice al Festivalbar nel settembre del 1965. Parola, molti anni dopo, di Franco Tettamanti sul Corriere della Sera: «A vincere è Petula Clark con “Ciao, ciao”, versione italiana di “Downtown”». Fino a Petula la fine d’agosto avrebbe portato la fine di tutto, come sentenziava un filosofo di quei tempi, Antonio il Piccolo. E se Dionigi il Piccolo giganteggiava nel VI secolo dopo Cristo, nel primo decennio della seconda metà degli anni 60 del XX secolo, la fine di tutto era teorizzata da Antonio il Piccolo, Little Tony: «Lo so verrà per me la fine d’agosto e… sarà la fine di tutto, tu ritornerai dagli amici tuoi e di me di me ti scorderai…». Petula inserisce una variante: il ritorno al mare dopo un anno e la ripresa della storia chiusa nel settembre dell’anno prima. «Ecco mi hai visto / e tu mi vieni incontro correndo / e stai sorridendomi. ciao ciao, / grido chiamandoti, ciao ciao, / amore abbracciami, / ciao ciao sono tornata da te!». Quel “Ciao, ciao” diventa il motivo conduttore della vacanza del 1965, destinata a finire ancora una volta a settembre, esattamente come si era chiusa l’anno prima: «Ma poi verrà il tempo che partirò / alla stazione verrai / la mano tu agiti / ciao ciao / io sto per piangere / ciao ciao / il treno va e grido / ciao ciao / non ti scordare di me» (tra parentesi: quasi tutte le parole sono pronunciate con gli accenti sbagliati e si cantavano così, come storpiava amorevolmente Petula). “Ciao, ciao” è forse l’ultimo relitto dell’Italia dell’anteguerra, nella quale era possibile immaginare una storia d’amore a segmenti, come l’alfabeto morse: un segmento un anno, un altro l’anno dopo e così via, come se il tempo non passasse. Di lì a un anno sarebbe arrivata “Se telefonando”, nella quale è una donna a chiudere tutto, dopo una sola notte, con una telefonata. E, a bene vedere, “Ciao, ciao” è un saluto a una certa Italia. Ciao ciao a quel Paese di agricoltori, di contadine con il fazzoletto nero sulla testa e di asinelli carichi di fieno. Ciao ciao ai costumi severi e ai costumi da bagno interi: è benvenuto il bikini, stigmatizzato ufficialmente e guardato di nascosto. Ciao ciao, comunque: ci si saluta tutti, con più confidenza, il “tu” si affaccia nei rapporti sociali e il buongiorno è sostituito dal ciao. Ciao ciao.