Carlo Lottieri, Il Giornale 1/6/2012, 1 giugno 2012
Fumo e Coca Cola, nuovi divieti Schiavi del moralismo di Stato – Non se ne può più. Ormai il moralismo di Stato sta veramente perdendo ogni senso della misura
Fumo e Coca Cola, nuovi divieti Schiavi del moralismo di Stato – Non se ne può più. Ormai il moralismo di Stato sta veramente perdendo ogni senso della misura. Prima l’annuncio del ministero della Sanità di una tassa di 3 centesimi sulle bevande gassate, ieri la decisione del sindaco di New York di vietare le confezioni extra large di Coca Cola. E ora riparte la guerra ai fumatori, che insieme agli automobilisti è ormai una delle categorie più vessate da questo Stato invadente, irrispettoso e impiccione. Non ho mai fumato e, per quel poco che ne capisco, ritengo che le sigarette facciano male alla salute. Si tratta però di una questione che riguarda ognuno di noi in scelte del tutto personali. Tra le tante declinazioni della libertà, c’è anche quella di fumare, giocare al casinò, condurre una vita sessualmente sregolata, scalare le vette e praticare altre attività variamente pericolose, ma che non mettono a rischio la vita altrui. Questo mi pare il punto cruciale: nei Paesi liberi il diritto è lì a impedire che le mie attività non invadano la sfera altrui ( la vita e la proprietà degli altri uomini), mentre nei Paesi illiberali il potere utilizza la legislazione per indirizzare i comportamenti verso questo o quell’obiettivo, impedendoci di esistere in senso pieno. Finché la battaglia è culturale non c’è nulla da dire. Non mi crea alcun problema il fatto che i salutisti di mezzo mondo ieri abbiano festeggiato il «No Tobacco Day», un po’ come nel passato taluni predicatori evangelici si lanciavano in campagne contro l’alcool o la prostituzione. Questo va bene: ognuno ha il diritto di dire quello che pensa e diffondere gli stili comportamentali che più ritiene appropriati. Ma oggi il puritanesimo dominante non si limita a ciò. Il tema della campagna 2012 contro il fumo, infatti, punta a impedire ogni manipolazione della legislazione da parte dell’industria del tabacco e il legislatore. La cosa è comprensibile, ma vale per ogni ambito: anche nelle relazioni, ad esempio, tra politici e sindacati. È giusto che gli interessi di parte non prevalgano sul diritto. Il problema è che partendo da qui si vorrebbe impedire alle aziende del tabacco di avere ogni contatto con le amministrazioni e la politica: come se, in questo o in altri ambiti, si potesse agire con competenza senza avvalersi delle informazioni di chi opera nel settore. Non bastasse tutto ciò, i talebani in guerra con il tabacco vorrebbero imporre nuove regole sulle confezioni. Non contenti di averci funestato la vita con un package che ricorda, con una volgarità insopportabile, ogni possibile malattia che può venire dal fumo, ora si vorrebbe introdurre un pacchetto uguale per tutte le marche, insieme alla proibizione di esporre le sigarette nelle tabaccherie. Siamo ormai al fanatismo e al venir meno di ogni rispetto per la libertà altrui. Questo è il punto. Fumare può anche essere un comportamento poco opportuno, ma è una scelta che va lasciata al singolo. La grande tradizione morale dell’Occidente ha sempre distinto tra i vizi (legittimi) e i reati (illegittimi, perché aggressivi). Trasformare i vizi in reati significa fare degli esseri umani una mandria destinata a regimi di carattere orwelliano. È per questo che, da non fumatore, molti anni fa ho accettato di aderire alle iniziative contro lo Stato etico salutista condotte, con grande verve e coraggio, da Gian Turci. Non si tratta solo di rispettare la persona nei suoi diritti, Si tratta anche di comprendere come la responsabilità morale ( verso sé, verso gli altri, verso la società nel suo insieme) può crescere solo in un contesto di libertà. Non è un caso se i moralisti del fumo, del sesso o del cibo sono in linea di massima sempre pronti a introdurre gabelle, imposte e prelievi a carico dei peccatori. Lo Stato che ci vuole impedire di fumare è lo stesso che ci colpisce nelle proprietà e nei diritti fondamentali. Diciamogli di smettere.