Stefania Berbenni, Panorama 6/6/2012, 6 giugno 2012
Meglio ridere che fare sesso – Per Paolo Sorrentino la vita è «un’invenzione un po’ del cazzo», «è imbarazzante», «è lei stessa che è imperdonabile»
Meglio ridere che fare sesso – Per Paolo Sorrentino la vita è «un’invenzione un po’ del cazzo», «è imbarazzante», «è lei stessa che è imperdonabile». Siamo nei paraggi del cinismo alla Emil Cioran o del nichilismo russo (nulla ha senso). Per fortuna c’è l’imbuto, compare all’improvviso in uno degli ultimi capitoli del suo nuovo libro, Tony Pagoda e i suoi amici (Feltrinelli, 160 pagine, 14 euro). Benedetto imbuto. Se non ci fosse, finiremmo per perdere il meglio dell’umana permanenza terrena: la risata. E invece l’imbuto incanala razionalità, budella, colori e neri della vita e ne cava quel gesto sonoro, esistenziale, grandioso. In un giorno cattivo, quando Sorrentino aveva poco più di 16 anni, la sua risata capitolò annientata da una fuga di gas letale per entrambi i genitori del regista napoletano. Forse per questo in tutti i suoi film ci sono personaggi doloranti, solitarii forse per questo chiude il suo secondo libro con una frase icastica: «Io tutto avevo messo in conto, meno la felicità». Toglie il fiato... Per un lungo periodo l’urgenza è stata sopravvivere. Quando hai provato un evento traumatico da adolescente, non arrivi neanche a pensare di poter essere di nuovo felice. E invece è successo. Sono stato fortunato. Ho incontrato mia moglie, ho due figli. E ha il cinema. E questo libro che parla del presente, con nomi e cognomi: Costanze, il mago Silvan, Venditti, Carmen Russo e i suoi 28 cani, impallinando l’Italia delle veline e della volgarità. Volgarità fa rima con cinismo e disincanto. Non c’è più stile, ne autoironia. Tanti si prendono troppo sul serio. Però lei definisce gli italiani dei sempliciotti, dei bambini. In senso buono. La gente semplice ha una grande capacità di rimboccarsi le maniche, se non crolliamo come la Spagna o la Grecia è grazie a loro che mettono ancora entusia- smo e lavoro, mentre la classe politica è chiaramente allo sfascio. 11 Paese va avanti perché c’è questa forza invisibile. Un voto al governo di Mario Monti? Faccio fatica ad avere un’opinione. Mi fa più piacere che ci siano costoro, rispetto al passato. Gente abituata al fare. Che sba- glia però nel sottovalutare enormemente i simboli, considerati un cascame superfluo. Spieghi meglio... Le auto blu, i tagli alla politica... Lo so che incidono per lo zero virgola zero sul bilancio, ma mentre tutti fanno sacrifici non si può fare finta di niente. I simboli vanno rispettati. E il monologo antivelina per bocca di Carmen Russo? Quella è quasi una minestrina riscaldata. È una deriva in voga da anni: si ambisce al successo attraverso strade che non prendo- no minimamente in considerazione il saper fare. Siamo un Paese con il fiato molto molto corto perché non abbiamo la meritocrazia. Impareremo mai noi italiani a rispettare le regole, pagare tutti le tasse, non fare i furbi, premiare i migliori? Non a breve termine. Da lunghissima data si «insegna» il contrario. La Democrazia cristiana ha spadroneggiato per decenni radicando l’idea che il posto di lavoro si avesse per raccomandazione o voto di scambio. E che la furbizia fosse una specie di salvacondotto. Elsa Fomero & C. non ce la faranno mai. Hanno un compito molto difficile. Tutte quelle frasi di scoramento, squallore esistenziale.» È un pessimista nato? Si accumulano belle e brutte sensazioni nella vita, in totale anarchia. In certi momenti trovare non dico un senso, ma un minimo, «minimissimo» comun denominatore è dura. Arrivi a pensare che resistenza sia in fondo abbastanza miserabile. Per fortuna c’è la risata. Le altre fonti di gioia sono fugaci: la gioventù scompare, sesso e amore sono sopravva- lutati, mentre si sottovalutano l’amidzia e il ridere. «La cultura ha lo scopo finale di rendere la gente ilare» scrive. Deve creare le condizioni per fartela spassare. «Una risata vi seppellirà» era il motto rivoluzionario del Sessantotto. Se si fosse tenuto fede a questo slogan, sareb- bero andate meglio le cose. Invece c’è stata la deriva ideologica, comportamentale, la lotta armata. Si sono presi troppo sul serio, quelli. Un monito per Pier Luigi Bersani? Sono uno abbastanza sempliciotto. Al pari di tanti, ho il rifiuto per la politica: faccio fatica ad appassionarmi. Non so quasi nulla dell’attuale Pd, non so rispondere. Che parola avrebbe portato da Fazio- Saviano? L’hanno invitata? No, ma non sarei andato. Troppo complicato portare una sola parola. Azzardo: donne. Nel primo libro, «Hanno tutti ragione», diceva «le donne sanno cos’è il sesso», in questo dice che se non 10 fanno scoppia la guerra... Ho il sospetto che le donne la sappiano più lunga su tutto. Io mi dimeno come uno scemo su ogni cosa, arriva mia moglie e con calma trova subito la soluzione. Come se la conoscesse già da prima. Noi uomini sul sesso siamo più elementari, ci frega l’ansia da prestazione che obnubila tutto. Nel suo studio c’è la statuetta di Drugo, 11 protagonista del «Grande Lebowski», un altro outsider come lo è il Tony Pagoda dei suoi libri e Cheyenne di «This must be thè piace», il suo film. Ci sarà un perché. Mi piacciono i lavori dei fratelli Coen e Lebowski è un personaggio lento e pigro. E questo me lo rende vicino e simpatico. Io sono lento anche nell’apprendimento. L’ultimo racconto del libro ha sua madre come protagonista. E confessa di avere preso da lei creatività e imprevedibilità. Sono cresciuto in un ambiente dove l’arte non aveva posto ne alle pareti ne nei discorsi. Mio padre lavorava in banca, mia madre era casalinga. Ma, come spesso accade, in questi ambienti monotoni e ripetitivi c’è una grande esplosione di fantasia. Si era parlato di un suo film su Massimo D’Alema, un altro su Silvio Berlusconi, uno sulla Roma cafona. Ad agosto comincerà a girare «La grande bellezza». Cosa dobbiamo aspettarci? Mai pensato di girare un film su D’Alema. E per Berlusconi è ancora presto, ha inciso moltissimo nella vita di questo Paese, Ma il cinema lavora bene sulla riflessione. Per «La grande bellezza» ha chiamato ancora Toni Servillo. Dicono che l’intesa sia basata anche sul fatidico imbuto che funziona fra voi due: ridete molto. È così. Lui è un grande raccontatore. Certe volte ci scambiarne un’occhiata e ci godiamo quello che ci succede intorno, tensioni, qual- cuno che si prende sul serio. E noi ridiamo. Ma ha capito quanto è importante ridere?